Joe Fallisi
L’anarchismo ha radici molto profonde e lontane, e verosimili precursori che risalgono a ben prima della modernità (così ci si riferisce, non a torto, persino ad Aristippo, ad Antifone, a Zenone, e poi a molte eresie a sfondo millenaristico ed escatologico del Medioevo, ai diggers della rivoluzione inglese del XVII secolo, a vari scrittori utopisti, a socialisti pre-marxisti francesi, tedeschi, inglesi...). Se ci si limita all'elaborazione teorica moderna, il suo punto di partenza è indubbiamente rappresentato dall'Indagine sulla giustizia politica di William Godwin, che risale a quattro anni dopo la Grande Rivoluzione. Com'è noto, cardini e feticci supremi del liberalismo sono la proprietà privata e l'"individuo" in quanto detentore, appunto, di diritti proprietari. Viceversa, nella concezione della società che aveva Godwin (tanto estremamente decentrata, quanto comunitaria), è il concetto stesso di "proprietà privata" ad essere bandito. Il pensatore inglese a questa conclusione giunse poco meno di un secolo prima di Proudhon, il quale poi la ribadì con estrema forza. E per Godwin, che considerava la proprietà privata un ostacolo al conseguimento del bene universale e un incentivo allo sviluppo dei peggiori sentimenti dell'uomo, la sua soppressione è intimamente connessa all'abolizione dello stesso "diritto", e di conseguenza del "governo" e dello "Stato". Non sto qui neanche ad entrare nel merito della successiva elaborazione-conferma, a tale riguardo, di un Bakunin, di un Kropotkin, di un Malatesta, persino di un Tolstoj... L'anarchia che ha segnato di sé la storia delle idee, e la Storia tout court, nell'ottocento e nel secolo scorso, non "deriva" affatto dalla "civiltà liberale", e con le prospettive asfittiche di quest'ultima, proprie della borghesia, ha lo stesso rapporto che intrattiene l'Everest con la collinetta di San Siro. Così l'individuo (non rinserrato nell'"azienda" interiore a contare le "entrate" e le "uscite" e a rincorrere come un autoprigioniero i suoi fantasmi), come il tipo di convivenza sociale (collettivista ma insieme libera) cui ha sempre teso sono anzi antitetici ai corrispettivi rivendicati ed esaltati in ambito borghese. Questa radicale alterità è d'altra parte il motivo per cui è sempre stato tacciato, in senso derisorio, di "utopismo"; o, viceversa, se ne è cercato di costruire e vendere, per il consumo spettacolare - anche dal suo interno -, un'immagine altrettanto derisoria e ancor più depotenziata (quella dell'anarchico idiosincratico, "artista", “individualista”). Quanto a ciò che si può riferire allo spirito e a comportamenti di gruppo libertari prima della codificazione sette-ottocentesca, è enorme. C'è chi, come Zerzan o Clastres, risale persino a epoche pre-storiche. Io concordo con loro.
Quanto a Proudhon, egli scrisse Che cos'è la proprietà? trentun anni prima della Comune di Parigi, di cui furono ardenti sostenitori e attori innanzi tutto proprio i suoi eredi mutualisti. Se ancora vivo, sarebbe stato con loro, ci si può scommettere. Del resto, nel 1848, quando la Storia bussò alla sua porta, lui c'era e le aprì. Proudhon esprimeva le aspirazioni di artigiani, piccoli imprenditori e contadini in un Paese con un'industria non ancora molto progredita, ma non bisogna sottovalutarlo. E' stato una fucina di idee, molte delle quali interessanti, e che andavano (o potevano andare) oltre i suoi stessi limiti: una teoria del plusvalore che precede quella marxiana, il mutualismo che abolisce il denaro - sostituito dai "buoni" -, il "credito gratuito", l'abolizione senza se e senza ma dello Stato, della Chiesa, dello sfruttamento e del potere borghese, l'orrore per il principio stesso di "nazionalità", la rivendicazione della democrazia diretta, la critica coraggiosa e lungimirante dell’usura ebraica e del rabbi di Treviri... Si sa con quanto veleno calunnioso, tipicamente talmudico, quest'ultimo cercò di oscurarne l’imagine e il ricordo. Invano.
Nessun commento:
Posta un commento