lunedì 29 aprile 2013

Uno spaccato di turpe storia recente ritratto da Alessandro Mezzano


Onore alla tua, vostra onestà.
Joe

Il giorno 29/apr/2013, alle ore 08.32, maufil ha scritto:

Quessto spaccato di turpe storia recente, ritratto da Alessandro Mezzano, è quanto mai veritiero e reale. Lo sottoscrivo in pieno, aggiungendo però che tutti gli squallidi persoggnai, qui citati e che oramai stanno finendo nell'imondezzaio della politica, non nascono per caso, ma sono gli epigoni, il frutto di 50 anni di missismo, un partito nato nel 1946 per traghettare i reduci del fascismo repubblicano su sponde di destra prima e filo atlantiche poi.
Un partito che nei suoi 50 anni ha SEMPRE lavorato contro gli interessi nazionali, tradendo quella Patria di cui a parole si riempiva la bocca. In ogni campo, soprattutto geopolitico, non solo atlantico, il Msi con i suoi De Marsanich, Romualdi, Almirante, Michelini e altri tristi figuri, ha tradito sempre gli interessi nazionali. Oggi, innumerevoli documentazioni, non solo dagli archivi statunitensi, stanno dimsotrando quello che abbiamo sempre saputo: il MSI nacque con una sporca operazione a cui contribuirono l'Oss di J. J. Angleton, che gia si era messo intasca vari reduci a comijnciare d J.V. Borghese, cosche massoniche, interessi industriali e il ministero democristiano dell'epoca. Il tuto sotto la benedizione interesata del Vaticano. In pratica un aborto politico.
Cosa si pretendeva dai suoi epigoni i quali, poi, molto scaltramente, avevano percepito che il serbatoio "nostalgico" da cui attingere voti dai gonzi, per ragioni anagrafiche si era esaurito?
MAURIZIO

Da: Alessandro Mezzano [mailto:alessandro.mezzano@alice.it]
Inviato: domenica 28 aprile 2013 22:07

Oggetto: NEMESI
NEMESI
Allegato di posta elettronica.jpeg

Allora, una volta c’era il M.S.I. ed i voti di quel movimento facevano comodo a Berlusconi che li “sdoganò” quando Fini si era candidato a sindaco di Roma.
Poi Berlusconi disse a Fini che era necessario un maquillage ”democratico ed antifascista” per essere digeriti ed accettati dall’elettorato “per bene” del suo partito che allora era Forza Italia e Fini obbedì di buon grado in forza della speranza di fare carriera e con il sogno di diventare il delfino del Berlusca..
A questo scopo inscenò la giravolta di Fiuggi e con lui anche Alemanno, Gasparri, la Meloni, La Russa e tutto il gruppo dirigente fecero il compitino e abiurarono quanto sino ad allora avevano sostenuto, dichiararono che Mussolini era stato “il male assoluto” e che i pilastri ideologici del nuovo partito che si chiamò Alleanza Nazionale erano i valori dell’antifascismo e della resistenza.
Lo fecero senza la minima vergogna e senza pudore così come una puttana non si vergogna a cambiare amante tra una marchetta e l’altra..!
Dopo le visite di rito di Fini Iscariota in Israele, le leccate di terga al rabbino capo di Roma e gli omaggi al museo della Shoa munito di Kippa e di scialle, Alleanza nazionale ebbe la purificazione necessaria per confluire nel nuovo partito di Berlusconi che si chiamò PDL.
Ma Fini e gli altri suoi complici non avevano fatto bene i conti con l’astuzia ed il pelo sullo stomaco di Berlusconi che, una volta acquisiti i voti che provenivano dal patrimonio ideale di Alleanza Nazionale, non aveva più bisogno di loro in quanto non più detentori di quell’elettorato che era sfuggito al loro controllo diretto per passare ad essere intruppato in quello più generale del PDL.
In ogni azienda, i venditori che non sono più in grado di portare fatturato, sono considerati un peso morto e sono licenziati.
Così, svanito il sogno di Fini Iscariota di diventare il delfino del Berlusca, lo si emarginò sempre di più sino a farlo litigare e rendere plausibile e giustificata agli occhi dell’elettorato la sua cacciata.
Restava il gruppo dirigente di Alleanza Nazionale che, anche lui, non portava più vantaggi al PDL e l’occasione delle ultime elezioni politiche ha permesso a Berlusconi di smarcarsi dividendo le forze e convincendo i fessacchiotti a fondare il partitino di Fratelli d’Italia che, guarda caso, ha avuto un eclatante risultato dell’1,9% e 6 eletti e tra i vecchi solo La Russa e la Meloni.
E’ di tutta evidenza che i meriti di quei personaggi non erano personali, ma erano la risultanza di un’eredità di voti che, quasi per inerzia, venivano dati in funzione di un indefinito nostalgismo e senza una motivazione ideale concreta tanto da potere essere acquisiti Dal PDL senza problemi.
Per questi motivi ora anche i “Fratelli d’Italia” si trovano, prossimi alla rottamazione politica, nell’anticamera dell’oblio e siamo certi che entro poco tempo faranno la fine degli Storace, dei Fini e degli Alemanno…
Restano in forza La Santanché, la Mussolini-Scicolone e Gasparri.
La prima, adusa a disinvolte piroette e capriole politiche, in forza di una certa attrattiva sessuale nonostante la non più giovane età, la seconda come “macchietta” per le scenette e le scenate in TV ed il terzo perché ha meriti organizzativi e ha saputo consolidare negli anni il suo ruolo di cortigiano “signor sì “..
Tutti e tre sono oramai figure secondarie che galleggiano a stento nel mare del PDL e non sappiamo quanto possano durare in funzione della loro utilità a Berlusconi..!
Siamo lieti di constare che a volte il tradimento non paga e che la nemesi storica colpisce coloro che per interesse, per cinismo, per miseria morale e per vigliaccheria cambiano bandiera e svendono gli ideali per trenta sudici denari..!!









Il 28/04/2013 22:13, Alessandro Mezzano ha scritto:

domenica 28 aprile 2013

Una nota molto istruttiva di Mussolini
















(Così, Benito Mussolini riferì al giovane giornalista triestino Yvon De Begnac durante i loro colloqui tra il 1934 e il 1943, che oggi ritroviamo nei famosi postumi "Taccuini mussoliniani").


"Il mio amico Ezra Pound ha ragione. La rivoluzione è guerra all’usura. È guerra all’usura pubblica e all’usura privata. Demolisce le tattiche delle battaglie di borsa. Distrugge i parassitismi di base, sui quali i moderati costruiscono le loro fortezze. Insegna a consumare al modo giusto, secondo logica di tempo, quel che è possibile produrre. Reagisce alle altalene del tasso di sconto, che fanno la sventura di chi chiede per investire nell’industria, e aumenta il mondo del risparmio, riducendone il coraggio, contraendone la volontà di ascesa, incrementandone la sfiducia nell’oggi, che è più letale ancora della sfiducia nel domani. Allorché il mio amico Ezra Pound mi donò le sue "considerazioni" sull’usura, mi disse che il potere non è del danaro, o del danaro soltanto, ma dell’usura soltanto, del danaro che produce danaro, che produce soltanto danaro, che non salva nessuno di noi, che lancia noi deboli nel gorgo dalla cui corrente altro danaro verrà espresso, come supremo male del mondo. Aggiunse in quel suo italiano, gaelico e slanghistico, infarcito di arcaismi tratti da Dante e dai cronachisti del trecento, che il potere del danaro e tutti gli uomini di questo potere regnano su un mondo del quale hanno monetizzato il cervello e trasformato la coscienza in lenzuoli di banconote. Il danaro che produce danaro.
La formula del mio amico Ezra Pound riassume la spaventosa condizione del nostro tempo. Il danaro non si consuma. Regge al contatto dell’umanità. Nulla cede delle proprie qualità deteriori. Contamina peggiorandoci in ragione della continua salita del suo corso tra i banchi e le grida della borsa nelle cui caverne l’umano viene, inesorabilmente, macinato. Il mio amico Pound ha le qualità del predicatore cui è nota la tempesta dell’anno mille, dell’anno "n volte mille" sempre alle porte della nostra casa di dannati all’autodistruzione. La lava del denaro, infuocata e onnivora, scende dalla montagna che il cielo ha lanciato contro di noi, mi ha detto il mio amico Pound; e nessuno, tra noi, si salverà. Il mio amico Pound ha continuato con voi, come mi avete detto, nella casa romana dello scrittore di cose navali Ubaldo degli Uberti, l’analisi di come il danaro produce soltanto danaro, e non beni che sollevino il nostro spirito dalla palude nella quale il suo potere ci ha immerso.
Non è ossessione la sua. Nessun uomo saggio, se ancora ne esistono, ha elementi per dichiarare esito di pericolosa paranoia il suo vedere, tra i blocchi di palazzi di Wall Street e tra le stanze dei banchieri della City, le pareti indistruttibili dell’inferno di oggi. I Kahn, i Morgan, i Morgenthau, i Toeplitz di tutte le terre egli vede alla testa dell’armata dell’oro. Pound piange i morti che quell’esercito fece. E vorrebbe sottrarre a ogni pericolo tutti noi esposti alla furia del potere dell’oro. Con il vostro amico Pound ho parlato di quello che Peguy ha scritto contro il potere dell’oro. Conosce quasi a memoria quelle pagine. Ne recita brani interi, senza dimenticarne alcuna parola. Il suo francese risale agli anni parigini in cui la gente di New York, di Boston, emigrata a Parigi, pensava ancora che l’occidente fosse fra noi. Illusa, quella gente, che scegliendo Parigi, il potere dell’oro sarebbe andato per stracci, almeno per questi migranti della letteratura. È, quel francese di Pound, come un prodotto del passato, come una denuncia del troppo che stiamo dimenticando, tutti noi che corriamo il rischio, o che già lo abbiamo corso, di finire maciullati dal potere dell’oro".

Il 28 aprile 1945 VENNE ASSASSINATO MUSSOLINI


Maurizio Barozzi ("RInascita", venerdì 27 aprile 2010)

Avremmo voluto scrivere queste note tra qualche centinaio di anni, quando si sarà lontano dai ricordi vivi, dagli interessi pol...itici contingenti e dalle passioni, cosicché si possa scrivere e leggere di Mussolini senza infatuazioni, odi o interessi di parte.
Non essendo però questo possibile, procediamo lo stesso, cercando di mantenerci nella pura rievocazione storica, anche perchè la valutazione su eventuali errori o successi, disastri o trionfi, responsabilità nella guerra o altro, appartiene più che altro alla dimensione soggettiva del pensiero ideologico e politico e del resto la polemica e la diatriba fascismo-antifascismo ci sembra oramai fuori luogo visto che, in un certo senso, il ciclo storico del fascismo si è chiuso nel 1945.
Esattamente 65 anni addietro, il 28 aprile 1945 tra le 9 e le 10 del mattino, Benito Mussolini, dopo essere stato ferito con un colpo di pistola al fianco, nella stanza dove, inerme prigioniero, era rinchiuso, venne trascinato in canottiera nel cortile della casa dei contadini De Maria in quel di Bonzanigo (Tremezzina), ed ivi ammazzato come un cane con circa altri otto colpi di armi da fuoco.
È quanto risulta dalla testimonianza della signora Dorina Mazzola, al tempo abitante a circa 150 metri da quella casa, una testimonianza (vedi anche M. Barozzi: "Morte Mussolini: la testimonianza di Dorina Mazzola di Bonzanigo", Rinascita 23 maggio 2009, presente anche nel sito Effedieffe: http://www.effedieffe.com/content/view/4619/148/ ) che, a differenza di tante altre versioni, strampalate e indimostrate, trova molti riscontri in alcuni rilievi di ordine tanatologico, balistico e del vestiario indosso al cadavere, nonchè è indirettamente confermata dall’incrocio di varie testimonianze tra cui un racconto di Savina Santi, la vedova di Guglielmo Cantoni (Sandrino) uno dei due partigiani che erano stati di guardia a Mussolini e la Petacci nascosti in quella casa. Disse la signora Santi, a Giorgio Pisanò, che il marito gli aveva riferito:
«Mussolini e la Petacci non sono stati uccisi nel pomeriggio e davanti al cancello di Villa Belmonte. Mio marito mi disse che quella mattina lui si trovava di guardia alla stanza dove c’erano i prigionieri, quando vide salire le scale Michele Moretti e altri due partigiani che non aveva mai visto nè conosciuto. I tre gli ordinarono di restare sul pianerottolo fuori della stanza ed entrarono nel locale. Mio marito, restando sul pianerottolo, udì uno dei tre che diceva: "adesso vi portiamo a Dongo per fucilarvi", e un altro gridare: "No, vi uccidiamo qui!". Poi mio marito udì altre voci concitate, le urla della donna e colpi d’arma da fuoco..., ma non so dove li hanno uccisi con certezza...» (vedesi G. Pisanò: "Gli ultimi cinque secondi di Mussolini" il Saggiatore 1996).
Nel momento di essere ucciso l’ex Duce gridò in faccia ai suoi assassini "Viva l’Italia" come fu, con doloroso e reticente parto, riferito nell’ottobre del 1990 dopo 45 anni di omertà e menzogne, da quel Michele Moretti (Pietro) il partigiano comunista presente ai fatti (vedesi: Giorgio Cavalleri: "Ombre sul lago" Ed. Piemme 1995).
Il Moretti, pur ribadendo la solita versione comunista di Walter Audisio (la "vulgata" come la definì Renzo De Felice) oramai pienamente sconfessata, così riferì al giornalista, scrittore e amico Cavalleri, quei momenti:
«...Mussolini non apparve troppo sorpreso e, quando ebbe l’arma puntata contro di sé, gridò con foga: "Viva l’Italia!"».
E a domanda del giornalista aggiunse: «Mi ha disturbato il "Viva l’Italia!" del duce?
No, Perchè, si riferiva alla sua Italia, non alla mia...».
E quel grido si accorda con tutta la vita umana e politica di Mussolini, un rivoluzionario, un politico, un giornalista ed uno statista, che aveva speso tutta la sua gestione del potere ai fini della grandezza dell’Italia. Si possono elevare ogni genere di accuse, si può non condividere il suo operato di governo, si può dire che la sua fu una politica errata e deleteria, ma si deve ammettere che egli indirizzò ogni sforzo a fare dell’Italia una piccola, ma importante potenza in Europa.
Non è esagerato affermare (basterebbe guardare i filmati Luce dell’epoca, sulle grandi opere allora in essere) che senza il ventennio di Mussolini, l’Italia sarebbe probabilmente rimasta come uno di quei paesi estremamente arretrati del sud Europa e dei Balcani. E basterebbe dare una sbirciatina alle riforme sociali, di cui la più rivoluzionaria di tutte, quella sulla socializzazione delle aziende, rimase incompiuta a seguito delle note vicende belliche, per rendersi conto che dal 1922 al 1945 agì nel nostro paese una volontà riformatrice e rivoluzionaria, a volte palese, a volte nascosta, a volte annacquata e distorta, spesso contraddittoria, ma sempre presente, nel pensiero, nella prassi e negli atti di governo di Mussolini.
È indubbio che l’azione di governo di Mussolini è stata quella di un dirigismo statale (così come normalmente dovrebbe essere) per il quale vige l’assunto che nello Stato e per gli interessi dello Stato devono prevalere gli aspetti etici e politici su quelli economici e finanziari.
Una costante questa che gli costò nel 1924 la vendetta delle cosche massoniche e di un «putrido ambiente politico-affaristico di capitalismo e finanza corrotta» (così come ebbe a definirlo lo stesso Mussolini), che per defenestrarlo gli gettarono ai piedi il cadavere di Matteotti e venti anni dopo lo portò dritto a Piazzale Loreto.
Altra costante dell’operato di governo di Mussolini è stata quella di anteporre a tutto i supremi interessi della Nazione e le sue necessità geopolitiche.
Le contraddizioni apparenti, i tentennamenti e i sotterfugi che si riscontrano nei suoi rapporti internazionali, derivano semplicemente dal fatto che Mussolini era ben coscio che lo sviluppo, la grandezza e l’indipendenza della Nazione, purtroppo una nazione estremamente povera di materie prime, ed economicamente e militarmente debole, potevano essere garantite solo a patto che in Europa, una delle due grandi forze antagoniste, quella della Gran Bretagna e quella della Germania, non prevalesse definitivamente sull’altra e quindi non dominasse il continente e neppure che si accordassero tra loro. Destreggiarsi in questo contesto, essendo al contempo consci che il vero nemico del fascismo e dell’Italia era la grande plutocrazia internazionale, non era certo facile.
La geopolitica di Mussolini quindi, da Locarno, a Stresa, a Monaco e fin nella "non belligeranza", nonchè nella conduzione di una "guerra parallela" con la Germania, fu sempre incentrata su questi presupposti. Era una geopolitica sostanzialmente antibritannica, per il fatto che gli inglesi avevano i loro interessi in contrasto con i nostri nel mediterraneo ed in Africa, ma questa geopolitica, allo stesso tempo peninsulare e insulare, doveva anche fare i conti con i tedeschi nel continente i quali, dopo il 1938 erano praticamente arrivati al Brennero. Ed è così che, nel contingente, si ebbero non pochi atteggiamenti anche antitedeschi.
Proprio nel numero corrente della rivista Storia in Rete, il bravissimo giornalista storico Fabio Andriola ha pubblicato un articolo ("Dagli amici mi salvi Dio che dagli amici mi salvo io") che riassume molti degli ambigui atteggiamenti italiani nei confronti della alleata Germania, una storia che non deve nè scandalizzare, nè sorprendere perchè risponde alle esigenze degli interessi nazionali.
Il fatto è che le leggi della geopolitica non sempre seguono le ideologie e gli ideali di partito, come del resto avveniva nella prassi politica e militare di Hitler, dove il nazionalsocialismo era inteso soprattutto conforme agli interessi della Germania e del popolo tedesco.
Oggi, a posteriori, gli storici o gli intellettuali possono anche considerare quegli eventi da un punto di vista superiore, comprendendoli in un quadro ideologico nel quale troviamo analogie tra il fascismo e il nazionalsocialismo, anzi anche in un quadro metastorico dove troviamo la presenza nelle due ideologie e nella stessa guerra del sangue contro l’oro da esse intrapresa, un aspetto ricorrente della "Tradizione", ma la politica contingente, internazionale è tutta altra cosa.
Insomma l’operato di Mussolini fu sempre ed esclusivamente dettato dalla massima degli antichi romani per la quale: «la salvezza della Patria è la legge suprema».
Come detto Mussolini fu certamente un "rivoluzionario" ed in effetti egli giunse ad una determinata ed originale visione dello Stato, della politica e della società attraverso le sue passate esperienze umane, politiche e culturali, che lo portarono a superare il socialismo internazionalista nel più naturale e praticabile "socialismo da realizzare nella nazione" non disgiunto dai valori del combattentismo interventista e quindi arrivò, attraverso un costante e spregiudicato pragmatismo e il sincretismo di tanti altri valori, al fascismo. Da rivoluzionario seppe controllare vittoriosamente il processo politico e insurrezionale che dalla costituzione dei Fasci di Combattimento nel 1919, lo portò al potere.
Purtroppo dovette fare i conti con il materiale umano che questo paese gli metteva a disposizione e spesso a chi gli rimproverava la mancanza di un più energico intervento rivoluzionario, una cosiddetta "seconda ondata", rispondeva che con il fango non si fanno le rivoluzioni, ma non usava la parola fango...
Nel 1943, dopo lo sfacelo e l’ignominia dell’8 settembre, sacrificò letteralmente la sua persona al fine di evitare che la vendetta tedesca sul nostro paese non assumesse le proporzioni che era facile prevedere, ma non fu solo questo il motivo della sua ultima discesa in campo: egli volle infatti cogliere la irripetibile occasione che gli si offriva nel momento in cui la Monarchia, il Vaticano e la grande Industria non potevano più condizionare il potere come in passato: il risultato fu la RSI con i suoi 18 punti del manifesto di Verona.
Negli ultimi giorni di aprile dovette purtroppo fare i conti con le tante defezioni, se non tradimenti o comunque remore, dei suoi seguaci. Basti considerare che mentre egli si allontanava costantemente dalle zone dove stavano per arrivare le truppe Alleate, rifiuta di trincerarsi nelle grandi città per non esporle ad una sicura distruzione e per non cadere prigioniero del nemico, altri gerarchi, uomini del suo governo, molti pur fedeli fascisti, preferirebbero invece arrendersi al più presto agli Alleati, anche perchè permeati da quella forma mentis, in definitiva filo occidentale, che gli faceva magari sperare di potersi non solo salvare, ma anche riciclare nel dopoguerra come anticomunisti e antisovietici. E molti speravano anche nell’ultima chance di un rifugio in Svizzera, mentre Mussolini, rimase sempre caparbiamente fermo nel proposito di restare sul suolo italiano, come la precisa e documentata ricostruzione di Marino Viganò, un ricercatore storico non certo di parte neofascista, ha dimostrato con il suo saggio: «Mussolini, i gerarchi e la "fuga" in Svizzera (1944-’45), Nuova Storia Contemporanea" N. 3, 2001».
E così andò a finire che Mussolini restò letteralmente imbottigliato in quel di Menaggio, senza poter consumare la sua ultima e minimale strategia temporizzatrice, spostandosi verso la Valtellina o i confini del Reich, nella speranza di giocarsi le importantissime ed esplosive documentazioni che portava seco, al fine di trattare una resa, a piede libero, nella quale salvare la vita ai fascisti e per la nazione mitigare le conseguenze della sconfitta.
Ma i comandanti fascisti con le residue milizie armate, rimasero scelleratamente impantanati a Como, dove finirono per accettare una "resa" che ha dell’incredibile e del vergognoso.
E pensare che se Mussolini lo avesse voluto si sarebbe potuto agevolmente salvare.
Già il 20 aprile ‘45, con la imminente presa di Bologna da parte degli Alleati (vi entreranno il giorno dopo) era oramai evidente che i tedeschi praticamente non combattevano più. Mussolini, volendo, avrebbe potuto mettersi in salvo e questo tanto più quando, il pomeriggio del 25 aprile all’Arcivescovado, venne ufficialmente a conoscenza che i tedeschi avevano raggiunto una intesa, all’insaputa degli italiani, per una imminente resa con gli Alleati, mettendo in crisi il ripiegamento dei fascisti. Diveniva quindi evidente che l’unica possibilità di salvezza sarebbe stata quella di prendere il volo verso l’estero lanciando il si salvi chi può.
Il socialista Carlo Silvestri, suo acerrimo avversario ai tempi del delitto Matteotti, che gli fu vicino fino all’ultimo, riferì che Mussolini non pensava minimamente di mettersi in salvo, ma anzi il suo cruccio e il suo ultimo desiderio era proprio quello di sacrificarsi in qualche modo, affinché questo suo sacrificio personale potesse tornare vantaggioso per l’Italia.
Vediamo allora alcune vicende, quelle storicamente accertate, circa gli svariati piani di salvataggio del Duce, ideati da autorità della RSI, da settori del partito fascista o del suo entourage, dove si riscontra il ricorrente e totale rifiuto di Mussolini di aderire ad uno qualsiasi di questi progetti, tanto che c’era persino chi pensava di condurlo all’ultimo momento in salvo, narcotizzato o contro la sua volontà.
Buffarini Guidi, l’ex ministro degli interni, per esempio, parlando con Piero Cosmin, ex capo della provincia di Verona e Ugo Noceto, capitano dell’Aeronautica (come ha raccontato quest’ultimo a Marino Viganò nel 1995) ebbe a dirgli nel febbraio del 1945:
«Qui le cose si mettono male, ormai non c’è più niente da fare e bisogna cercare di salvare Mussolini in qualche modo. Lui non vuole, ma bisogna cercare in modo assoluto di salvarlo, perché se Mussolini è in salvo, o in Spagna o in Argentina, può far del bene all’Italia. Lui non vuole, ma volente o nolente, bisogna portarlo via».
Nel corso di questo colloquio sopraggiunse anche Vittorio Mussolini, il figlio del Duce, il quale messo a parte di queste intenzioni si disse d’accordo, ma aggiunse subito:
«Guardate che però mio padre non vuole».
Ed ancora, pur con qualche variante di dettaglio tra una versione e l’altra:
al figlio Vittorio, che proprio negli ultimissimi giorni gli propose di nascondersi in una garçoniere, Mussolini rispose ironicamente: «Non ti pare che le garçoniere servono per altri scopi?!».
Ma in altra occasione il padre, di fronte all’insistenza del figlio, ebbe anche a rispondergli duramente: «Nessuno ti ha pregato di interessarti della mia personale salvezza».
Noto è poi l’avanzatissimo progetto del generale Ruggero Bonomi, sottosegretario all’aviazione RSI, che aveva predisposto sul campo di Ghedi (Brescia), dei trimotori "Savoia Marchetti 79" (rimasti a disposizione fino agli ultimi giorni di Milano) adatti a raggiungere località come la Spagna dove risiedeva la moglie del segretario del Duce, Luigi Gatti, disposta ad accoglierlo. Al ché, saputolo, Mussolini, più o meno, osservò con ironia: "È questa di Bonomi la soluzione migliore per risolvere la nostra situazione? E tutti gli altri fascisti, poi, dove li metteremmo in quell’aereo?".
Racconta Virgilio Pallottelli, tenente pilota, che ebbe modo di vedere Mussolini il 25 aprile a sera in Prefettura dopo il ritorno dall’Arcivescovado:
«... di corsa salgo dal Duce, è pallido e nervoso. Imploro di andare subito a Linate e volare verso la Spagna. Rifiuta gridandomi che lui non scappa:"Virgilio, andremo anche noi sulle montagne, come i partigiani. No, Virgilio non scappo in volo. Andiamo in Valtellina ad aspettare gli Alleati"».
Un complesso piano, invece, con un sommergibile atlantico e/o un aereo venne studiato da Tullio Tamburini, capo della Polizia della R.S.I. fino al giugno '44 ed ex prefetto di Trieste. Lo riferì lo stesso Tamburini a Ermanno Amicucci nel ’50. Il progetto coinvolgeva anche Augusto Cosulich, l'amministratore dei cantieri dell'Alto Adriatico di Monfalcone dove si fabbricavano navi e sommergibili, ma anche aeroplani.
Come ricostruisce Marino Viganò, nell’articolo "Quell’aereo per la Spagna", Nuova Storia Contemporanea N. 3, 2001, alla fine Tamburini portò al Duce carte geografiche, progetti, cifre, disegni e gli espose il suo piano in ogni particolare [...]. Mussolini stette ad ascoltarlo, fra l'interessato e il divertito [...]. Fatto sta che il piano non lo mise di buon umore. Dopo aver accennato, con riso amaro, a Verne e a Salgari, disse a Tamburini: "Queste faccende non rientrano fra i vostri compiti. Non dovete più occuparvene. Ho il mio piano e provvederò io al momento opportuno. Non me ne parlate mai più".
In questo progetto era stato coinvolto anche l’ufficiale sommergibilista Enzo Grossi, medaglia d’oro RSI, che lo raccontò nel 1963, confermando i ricordi di Antonio Bonino vice segretario del PFR per la sede di Maderno e di Tamburini. Ricordò Grossi:
« ...[Tamburini] Mi spiegò che con il beneplacito dei Giapponesi sarebbe stato allestito un grosso sommergibile che al mio comando doveva prendere il mare, al momento opportuno, con a bordo la famiglia di Mussolini e i miei congiunti.
Tutto era stato previsto per mantenere il segreto e per soddisfare le esigenze dei familiari dell'equipaggio; durata prevista della missione: un anno. Mi impegnai in senso affermativo. Tamburini si propose di parlarne a Mussolini. Qualche giorno dopo lo stesso Tamburini mi comunicava che tutto era andato a monte poiché il Duce si negava perentoriamente a quella che considerava una fuga. In occasione di un colloquio che ebbi nel mese di febbraio del 1945 Mussolini mi ringraziò per quanto ero disposto a fare e mi disse: comprendo perfettamente quali sentimenti hanno indotto Tamburini a progettare la nota missione sotto-marina e ringrazio anche voi su cui potrei fare il massimo affidamento, ma io non ho nessun interesse a vivere come un uomo qualunque» (vedesi: E. Amicucci, "", in: "Tempo" [Milano] 1950, N.. 19, e E. Grossi, "Dal Barbarigo a Dongo", "Un sommergibile per Mussolini", in: "Il Secolo d'Italia" 25 gennaio 1958).
In ogni caso, anche se non facile, ma certamente praticabile sarebbe stata la possibilità di porre in salvo il Duce sia in Spagna che in Sud America o forse in Svizzera o nasconderlo in qualche località segreta in Italia, anche se poi alquanto problematico sarebbe stato il "dopo" ovvero il "come" affrontare il dopoguerra, ma oltre 20 anni di segreti di Stato ed un compromettente carteggio con Churchill, gli avrebbero forse concesso la possibilità di salvare la pelle.
Ed invece, sul piano personale, si preoccupò unicamente di porre in salvo i suoi familiari mentre egli, con tutte le restanti autorità del governo repubblicano al seguito, andò incontro al suo destino.
Per concludere dobbiamo specificare, laddove sostenemmo che Mussolini era un rivoluzionario, che egli era prevalentemente un "rivoluzionario politico", dove la politica è anche l’arte del possibile, dell’inganno e del cinismo, e se pure egli non era un santo ed anzi utilizzò la violenza squadrista, mai mise mano ai plotoni d’esecuzione per il mantenimento del potere o fece ricorso all’assassinio per eliminare gli oppositori.
Chi storce la bocca al fatto che Mussolini utilizzò nella gestione del potere, gli Archivi dell’Ovra, spesso il ricatto, a volte la corruzione, per domare nemici e avversari, interni ed esterni al fascismo, dovrebbe sempre ricordare che, in alternativa, il monopolio del potere si può mantenere solamente con il sangue. Ma per Mussolini non era nella sua indole la risoluzione cruenta dei contrasti politici.
Ricorda la sorella Edvige come nel giugno 1934 egli inorridì alla notizia della eliminazione in Germania di Röhm e delle SA, mentre donna Rachele, la moglie, confidò che il Duce faceva la mascella feroce, ma era incapace di far del male ad una mosca.
Italo Balbo, nel giugno del 1925, parlando con Carlo Silvestri in merito alle conseguenze del delitto Matteotti, ebbe a fare una considerazione che si rivelò esatta:
«Ora invece per le conseguenze del delitto Matteotti Mussolini sarà costretto a fare il dittatore senza averne la stoffa. E saranno guai, perché un dittatore non deve avere paura del sangue.».
Su Mussolini così si espresse intelligentemente lo storico Attilio Tamaro:
«Il carattere dell’uomo non era nè quello di Cromwell, né quello di Stalin, perché non era né feroce, né inflessibile nella realizzazione delle sue idee. Era coerente più di quanto apparisse nei fini: non nei mezzi, né nelle idee, che stimava mezzi o strumenti».
Lo stesso Mussolini era conscio di questa sua inclinazione e debolezza ed ebbe a scrivere:
«La politica è un'arte difficilissima tra le difficili perchè lavora la materia inafferrabile, più oscillante, più incerta. La politica lavora sullo spirito degli uomini, che è una entità assai difficile da definirsi, perchè è mutevole. Mutevolissimo è lo spirito degli italiani. Quando io non ci sarò più, sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent'anni un popolo come l'italiano. Se non avessi fatto altro basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell'oblio. Altri forse potrà dominare col ferro e col fuoco, non col consenso come ho fatto io. (...) Tutti i dittatori hanno sempre fatto strage dei loro nemici. Io sono il solo passivo: tremila morti (tra le camice nere – n.d.r.) contro qualche centinaio. Credo di aver nobilitato la dittatura. Forse l'ho svirilizzata, ma le ho strappato gli strumenti di tortura. Stalin è seduto sopra una montagna di ossa umane. È male? Io non mi pento di avere fatto tutto il bene che ho potuto anche agli avversari, anche nemici, che complottavano contro la mia vita, sia con l'inviare loro dei sussidi che per la frequenza diventavano degli stipendi, sia strappandoli alla morte. Ma se domani togliessero la vita ai miei uomini, quale responsabilità avrei assunto salvandoli? Stalin è in piedi e vince, io cado e perdo. La storia si occupa solamente dei vincitori e del volume delle loro conquiste ed il trionfo giustifica tutto. La rivoluzione francese è considerata per i suoi risultati, mentre i ghigliottinati sono confinati nella cronaca nera».
Negli ultimi mesi della RSI Mussolini era più che altro intento a decruentizzare la situazione, conscio che il vento sanguinario della guerra civile veniva da Londra, Mosca e New York.
Firmava praticamente ogni domanda di grazia gli venisse sottoposta ed era altresì intento a salvaguardare, impianti industriali, portuali, ecc. dalla furia della guerra e dalle possibili distruzioni dei tedeschi in ritirata.
Sperava che l’Italia in qualche modo potesse sopravvivere come nazione moderna e si augurava, espletandone anche un tentativo subito fallito, di poter tramandare le sue riforme sociali e repubblicane ai socialisti e ai repubblicani, perchè, come scrisse al Silvestri:
«Vi dico che il più grande dolore che potrei provare sarebbe quello di rivedere nel territorio della Repubblica sociale i carabinieri, la monarchia e la Confindustria. Sarebbe l’estrema delle mie umiliazioni. Dovrei considerare definitivamente chiuso il mio ciclo, finito».
Proprio questa umiliazione postuma, invece, gli riservarono i vincitori della guerra e i governi post ciellenisti, ma anche gli epigoni neofascisti, che nel dopoguerra perseguirono anni e anni di conservatorismo, reazione, filo americanismo e quant’altro e passo dopo passo, dopo averlo già sostituito nelle loro sezioni con il più consono Pinochet e le bandiere della sua macelleria cilena, finirono per rinnegarlo definitivamente definendo il fascismo il male assoluto.
Purtroppo la storia non consola e non ripaga, tanto è vero che il suo agire che lo portò, come attestò e dimostrò Carlo Silvestri (ma anche Piero Parini, Renzo Montagna e altri collaboratori che lavorarono con lui) a salvare praticamente la vita a quasi tutti i capi della Resistenza, catturati dai tedeschi o ben individuati nei loro nascondigli, compresi Parri, Lombardi, Pertini, ecc., fu "ripagato" con le parole di Sandro Pertini, il partigiano estremista che in quei giorni di fine aprile ’45 sbraitò alla radio che Mussolini "doveva essere ammazzato come un cane tignoso".
Proprio quello che avvenne.
È indubbio che Mussolini, non avendo una visione metastorica del suo momento epocale, non era portato a fanatizzare una guerra totale, da fine del mondo, come invece accadeva in Hitler.
Questa sottovalutazione, da parte di Mussolini, circa le vere e occulte cause del conflitto mondiale, se da una parte gli determinava un evidente sdegno per essere stato nel 1940 coinvolto in un immane conflitto, causato da altrui volontà e interessi, gli faceva però anche sperare di riuscire a dimostrare la sua buona fede e ragioni, gli faceva forse cullare l’idea, pur senza farsi troppe illusioni, di poter quanto meno difendersi, ed al contempo difendere la nazione, di fronte ad un ipotetico tribunale internazionale.
Tutte cose queste che forse sarebbero state possibili dopo gli esiti in una guerra di altri tempi, non in un conflitto come quello del 1939-‘45 determinato e condizionato prevalentemente da "forze occulte" che, sull’asse Londra-New York, erano in grado di condizionare la politica mondiale.
E del pari Mussolini, coerente con la sua strenua difesa degli interessi nazionali, era portato a proteggere la vita, le strutture ed il futuro del popolo italiano.
Niente tabula rasa, quindi, niente distruzione totale, ma anzi una condotta politica finalizzata a minimizzare gli odi e le passioni.
È in questo contesto che si comprendono gli atteggiamenti ultimi di Mussolini ed i suoi interventi atti a salvare la vita ai suoi avversari, anche quelli che, irriducibili, lo ripagarono poi con il suo assassinio.
È così, mentre Pertini, il partigiano estremista e di sinistra, che nel dopoguerra divenne ligio interprete del "delicato" ruolo di Presidente della Camera e poi fu il Presidente strenuo difensore dell’Italia liberista e subordinata agli USA, contro i brigatisti rossi, coloro che praticavano quella stessa guerriglia ex partigiana che fu dei Gap, ovvero lo sparare alle spalle e poi scappare, mori nel suo letto d’ospedale a quasi 94 anni, Mussolini invece finì ammazzato e appeso a Piazzale Loreto.
Questa è la storia, ma tra qualche centinaio di anni, come accennavamo all’inizio, siamo assolutamente certi che di Mussolini se ne parlerà ancora, di Pertini invece..., fate voi.

ASSASSINIO PREMEDITATO

Giovanna Canzano intervista Francesco Paolo d’Auria sull'assassinio di Benito Mussolini - 26 aprile 2013
Canzano - 1 - Fra pochi giorni ricorre il 68esimo anniversario della morte di Benito Mussolini; cosa ricordi di quei giorni?
Francesco P. d’Auria - Non dimenticherò quei giorni di sgomento e di paura. Io vivevo a Laglio, un paesino lungo la Via Regina, che costeggia il bellissimo lago di Como. Quel lago doveva, in quei giorni, diventare il teatro di innumerevoli efferatezze. Sembrava che tutti fossero diventati vittime del fascismo, che tutti avessero vinto la guerra, c’era un festival di patrioti, coccarde tricolori, corsa a procurarsi delle armi,ad arruolarsi nelle formazioni partigiane. Si sentivano tutti amici degli americani e degli inglesi al punto che le ragazze abbracciavano i soldati e si concedevano con desiderio; gli uomini osservavano compiacenti. Ricordo il moltiplicarsi di bandiere fabbricate in fretta: erano fatte a strisce orizzontali, la prima striscia era la bandiera americana, la seconda quella inglese, poi la bandiera sovietica con l falce e il martello (era la prima volta che la vedevo) e la bandiera italiana ma senza lo stemma dei Savoia. Avevano dimenticato la bandiera francese, senza dire di quella polacca, greca, Jugoslavia ed altre. Così l’Italia celebrava la sua grande giornata di vittoria! Per chi non gioiva c’era la tristezza di osservare anche questa forma di servilismo e di degrado. Le bandiere si tenevano in mano o si infilavano sul manubrio della bicicletta o si appendevano alle pareti esterne di case e negozi.
Quando il 28 aprile si sparse la voce: “l’han cupà el Dus”, ricordo un barcaiolo che costeggiava la riva urlando questa frase, la gente andò in delirio.

Canzano - 2 - Ma oltre all’annuncio del barcaiolo, cosa si diceva?
Francesco P. d’Auria - Si disse che era stato condannato da un “tribunale del popolo” e che Mussolini “tremava di paura” di fronte al plotone di esecuzione. I giornali ufficializzarono queste versioni con articoli dispregiativi. Se ne dissero tante ma la realtà è stata per lunghi anni nascosta. Ora tutto è più chiaro anche se ufficialmente non viene detto e si continua a ripetere la versione falsa della Unità.

Canzano - 3 - Quale sarebbe questa verità che sta finalmente emergendo?
Francesco P. d’Auria - Come in tutte le cose la verità emerge pian piano anche se ostacolata da chi non vuole che la si conosca. La favola del “tribunale del popolo” è una fandonia così come anche la favola che la decisione fosse stata presa da Longo, Valiani e Pertini. É possibile che si siano sentiti telefonicamente, come hanno detto, ma non è assolutamente credibile che siano stati loro i mandanti di quella esecuzione affrettata. I documenti che son oemersi in seguito lo dimostrano.

Canzano - 4 - Di quali documenti parla?
Francesco P. d’Auria - Due in particolare. Nel 1995, fu rivelata l’esistenza di una registrazione delle conversazioni fra Churchill e Roosevelt, in data 29 luglio 1943, che erano state intercettate dai servizi tedeschi ma non divulgate per tema di rivelare la conoscenza dei codici inglesi. Prassi normale in questi casi. Questa telefonata era comunque già stata menzionata, nelle sue linee essenziali, da Churchill nelle sue memorie pubblicate negli anni del dopoguerra. Io ne ho una edizione del 1960 ma è possibile che in Inghilterra vi siano state edizioni precedenti che non conosco. Si resta stupefatti a leggere il testo di questa conversazione telefonica. Ma di ciò diremo in seguito. L’altro documento è il comunicato della conferenza di Casablanca del 12 febbraio 1943, molti mesi prima della tragedia dell’Italia con la resa senza condizioni e l’arresto di Mussolini.

Canzano - 5 - Puoi spiegare meglio?
Francesco P. d’Auria - Certo. Occorre leggere il testo del documento di Casablanca, quando ancora la guerra era in bilico ma le truppe dell’Asse avevano subito i primi rovesci a El Alamein e poi in Tunisia dove ancora si combatteva. Ma i due compari, due autentici criminali di guerra, si riunirono a Casablanca per lanciare una potente offensiva propagandistica. Volevano inviare al popolo italiano il messaggio che le sofferenze erano appena cominciate, i bombardamenti avrebbero raso al suolo le città italiane ma tutto ciò non era diretto contro la popolazione bensì unicamente contro il fascismo e, in particolare, Mussolini. Il testo diceva: “….. l'unico presupposto dal quale partire per trattare con i governi dell'Asse sarà quello stabilito qui a Casablanca e cioè la "Resa Incondizionata". La posizione intransigente che abbiamo assunto non riguarda i popoli delle nazioni dell'Asse a cui non faremo alcun male, ma soltanto i loro colpevoli e barbari capi….”
La dichiarazione di Casablanca era dunque diretta ai paesi dell’Asse o del tripartito già dati per sconfitti ma, in realtà, l’attenzione dei due Capi di governo era concentrata sull’Italia della quale ben conoscevano le condizioni di vita precarie, in totale mancanza sia di materie prime per la fabbricazione di armi che di rifornimenti alimentari per la popolazione. Essi ben sapevano che le condizioni di vita del popolo italiano erano quasi insopportabili e che, di conseguenza, le sue capacità di resistenza erano scarsissime. Con la dichiarazione di voler perseguire “soltanto i capi colpevoli e barbari”, si intendeva allontanare il consenso della popolazione dal regime fascista, facendo intravedere soluzioni di compromesso con cui l’Italia, addomesticata, poteva agevolmente uscire dal tunnel in cui l’improvvido Mussolini l’aveva condotta.
Un duro avvertimento, quindi, rivolto soprattutto al popolo italiano, che Roosevelt definiva “populace” (“plebaglia”), al quale si lasciava intravedere la speranza di farla franca se solo avesse disgiunto il suo destino dal barbaro Mussolini. Che invitante opportunità, che occasione da non perdere!

Canzano - 6 - Ma l’avvertimento era per i popoli dell’Asse!
Francesco P. d’Auria - Che l’avvertimento minaccioso fosse rivolto all’Italia è reso più che evidente dal fatto che ben altro programma (Il piano Morgenthau) era già in preparazione per l’annientamento della Germania.

Canzano - 7 - E le intercettazioni?
Francesco P. d’Auria - Lo scopo della telefonata, fatta, mi ripeto, il 29 luglio 1943, è solo quello di stabilire di come sia più opportuno uccidere Mussolini. Non si parla di colpe abominevoli da espiare sul patibolo, si parla solo di come ucciderlo o farlo uccidere senza che l’immagine di Roosevelt subisca danni di immagine di fronte all’elettorato. É un discorso alla Al Capone quando costui, con i suoi adepti nel crimine, decise di far fuori la concorrenza nella famosa “notte di S. Valentino”. Non è chiaro quali fossero le colpe di Mussolini agli occhi di Roosevelt ma è un fatto che si è dato da tutti per scontato che Mussolini abbia commesso colpe imperdonabili, evidentemente molto più gravi dei misfatti dell’amico Stalin che Roosevelt coccolava. Fin dal 1935, anno della conquista dell’Abissinia, quando la popolarità di Mussolini in Italia e nel mondo era al culmine, Roosevelt pronunciò contro di lui un discorso di fuoco chiamando Mussolini criminale per aver osato aggredire un popolo pacifico: gli Abissini! Nel giugno 1940, l’entrata in guerra dell’Italia contro Francia e Inghilterra, provocò un altro veemente discorso di Roosevelt contro il Duce. L’espressione “pugnalata alla schiena dell’amico”, è di Roosevelt.
Tornando alle intercettazioni, da queste traspare un implacabile odio a cui segue una inesorabile vendetta verso l’Italia e verso la persona stessa di Mussolini. Una vendetta non provocata da danni subiti dagli USA; non fu necessario stabilire i crimini e nemmeno articolare accuse ma fu considerato sufficiente stabilire, per decisione suprema, che Mussolini fosse il colpevole da impiccare all’albero, come nei film western.

Canzano - 8 - E come si arrivò alla uccisione del Duce?
Francesco P. d’Auria - La Conferenza di Casablanca ebbe luogo nel febbraio 1943 ma Churchill, all’indomani della battaglia di El Alamein, in un memorandum del 25 Novembre 1942, riportato nelle sue memorie, (Closing the Ring) scriveva che occorreva provocare una divisione fra il popolo italiano e il governo fascista, ripetendo ossessivamente il tema della guerra fatta al fascismo e non al popolo italiano che viceversa si intendeva “liberare”. Da Radio Londra Il tema della “liberazione” divenne martellante mentre dagli aerei, con le bombe, piovevano volantini con la scritta:
“UN SOLO UOMO É LA CAUSA DELLE VOSTRE SOFFERENZE: MUSSOLINI”
Così la propaganda inglese riuscì ad alienare le simpatie del popolo italiano per il Duce del fascismo!
Il 26 luglio 1943, Churchill, immediatamente informato del voto del Gran Consiglio, senza indugi, passa a stabilire con il Presidente Roosevelt i termini della resa che entrambi consideravano imminente.
Dunque, il mattino seguente l’arresto di Mussolini, mentre i giornali sbandieravano il “LA GUERRA CONTINUA”, i Capi di governo degli USA e della Gran Bretagna erano già pronti con una bozza dei termini di resa.
Al punto 12 del memorandum Churchill scrive: “La consegna del "Capo Diavolo, con i suoi principali accoliti nel crimine, per dirla come il Presidente (Roosevelt n.d.a.), deve essere considerato un obiettivo preminente per il quale dobbiamo sforzarci con tutti i mezzi in nostro potere, fin quasi a mettere a rischio le immense prospettive che sono state definite nei paragrafi precedenti. Può darsi che i criminali possano fuggire in Germania o Svizzera oppure arrendersi o essere a noi consegnati dal Governo Italiano. Una volta in nostre mani, dobbiamo decidere adesso, in consulto con gli Stati Uniti e, dopo accordo con loro, con l’Unione Sovietica, quale trattamento dovrà essere loro inflitto. Alcuni preferirebbero una esecuzione immediata, senza processo, eccetto per la identificazione. Altri preferirebbero che fossero tenuti in carcere fino alla fine della guerra in Europa e il loro destino deciso insieme a quello di altri criminali di guerra. Personalmente, (dice sempre Churchill) io sono del tutto indifferente su questo argomento purché non debbano essere sacrificati dei vantaggi militari per il gusto di una vendetta immediata.”
Come si legge, siamo al 26 luglio e Churchill con una freddezza da consumato sicario, discetta banalmente su come uccidere il Duce sempre senza spiegarne il motivo.
Canzano - 9 - Fu dunque Churchill il mandante?
Francesco P. d’Auria - No, il vero mandante era Roosevelt, Churchill intendeva unicamente compiacere Roosevelt al quale era obbligato per averlo salvato dalla sconfitta.
Quanto sopra non può che lasciare sbalorditi. Due Capi di Governo, oberati da mille incombenze e responsabilità, non avevano di meglio che autonominarsi ufficiali accusatori e, contemporaneamente, vestire la toga e arrogarsi il potere di giudici per poi, sempre gli stessi, infilarsi il nero cappuccio del boja sempre senza formulare alcuna accusa ma individuando un capro da sacrificare sull’orrendo altare del loro odio e della loro inesorabile vendetta. Ma perché? Benché non si discuta mai abbastanza in dettaglio di questo argomento e non venga mai affrontato il problema di stabilire la verità su questa parte di Storia immersa nelle nebbie albioniche e nelle reticenze della cosiddetta “resistenza” italiana, si da per scontato che Mussolini fosse un criminale di guerra da eliminare senza misericordia e senza nemmeno quella parvenza di farsa legale messa in scena a Norimberga; nemmeno uno straccio di “tribunale del popolo”! Nulla, non ci fu nessun Saint Just ad accusarlo ma solo una spietata esecuzione che altro non è se non un criminale assassinio! Bisogna risalire ai Sommi Sacerdoti e al “processo” a Gesù Cristo per trovare segni di tanta disumana ferocia e di tanta ossessiva sete di sangue che non ha riscontro neppure fra le belve più sanguinarie. Perfino la Inquisizione dava spazio ad “avvocati del diavolo”, a ravvedimenti, ritrattazioni e abiure ma i due anglo compari no. Volevano la morte di un Uomo, considerato inesorabile nemico, temendo solo possibili contraccolpi elettorali sui poveri illusi che credevano ai giuramenti democratici dei rappresentanti del popolo e che, lo dice lo stesso Roosevelt, guardavano a Mussolini con simpatia; si immagina ne avessero avuto qualche ragione! Sono noti gli eccessi di Stalin e i dettagli di molti assassini o eliminazioni di avversari, ma Stalin non sottilizzava sul suo personale tornaconto in termini di popolarità! Era altrettanto feroce e disumano ma non si nascondeva dietro il dito della convenienza elettorale!
Nessuna giustizia fu concessa all’Uomo che lo stesso Churchill, sempre il 26 luglio 1943, aveva gratificato di un solenne encomio (riportato anche questo nelle sue memorie) elogiando le sue grandi conquiste e la sua grande visione politica, prima della entrata in guerra, definendolo “the lawgiver” (colui che da la legge) e incolpando del suo insuccesso il popolo italiano (Vedi ancora “The Hinge of Fate”). Giudicare significa applicare la legge; una legge è un rapporto di giustizia ma quale rapporto di giustizia può emergere da condanne a morte stabilite per telefono fra due Capi di mafia? Il gatto e la volpe si comportarono come dei sanguinari capi di cosche mafiose!

Canzano - 10 - Dunque non vi sono dubbi sulle responsabilità di Roosevelt.
Francesco P. d’Auria - I chiarissimi obiettivi stabiliti fin dal 26 luglio 1943, successivamente trasferiti nelle clausole di resa incondizionata, sono la prova certa della volontà omicida dei due compari: il gatto e la volpe. Certo, i vili sicari furono i partigiani, per la riluttanza degli anglosassoni ad abbassarsi a compiere quello che loro definiscono il “dirty job”, ma non vi sono dubbi che gli ordini, la organizzazione, la direzione e supervisione delle bande di irregolari provenivano dall’Office of Strategic Services” (OSS, oggi CIA) cioè i servizi segreti alleati così come non v’è dubbio che la determinazione a compiere l’assassinio risale a quelle decisioni prese da Churchill e Roosevelt fin dal 26 luglio 1943 e non è neppur lontanamente da pensare che le decisioni di questi due criminali di guerra potessero essere travisate o disattese.
A conferma di quanto fin qui detto, si riportano alcuni passaggi del testo, pubblicato negli Stati Uniti nel 1995, della conversazione radiotelefonica fra Roosevelt e Churchill, a cui quest’ultimo fa esplicito riferimento nel IV Volume delle sue memorie.
In Italia la si conosce grazie ad Alessandro De Felice che ha pubblicato una imponente raccolta di documenti nel suo “Il gioco delle ombre”. (www.alessandrodefelice.it).
Il testo della conversazione del 29 luglio 1943 (per ironia della sorte è il compleanno di Mussolini) è il seguente:
“Roosevelt: Ho alcuni pensieri supplementari sulla situazione italiana che volevo discutere con te. Ho pensato alle nostre azioni concernenti Mussolini ed il suo destino finale. Dopo che egli si sia arreso a noi.
Churchill: Tu devi catturare il pesce prima di cucinarlo. Non ho alcun dubbio che finirà nostro prigioniero a meno che, naturalmente, essi (gli italiani n.d.a.) lo uccidano o egli si sottragga alla sua giusta ricompensa suicidandosi.
Roosevelt: C’è anche la possibilità che i Nazisti possano giungere a lui? Dov’è adesso?
Churchill: Gli italiani ci hanno avvertito che lui è attualmente al quartier generale della polizia a Roma. Essi lo vogliono trasferire direttamente perché sembra che i tedeschi potrebbero improvvisamente decidere di rafforzare i loro effettivi in Italia e Roma diventerebbe il loro bersaglio logico. Essi (gli italiani n.d.a.) lo sposteranno.
Roosevelt: Ma essi non lo vorranno mollare, e mi riferisco ai tedeschi? Per quale genere di quid pro quo?
Churchill: Io penso di no. Gli italiani odiano i tedeschi ed il circolo reale è molto saldamente nella nostra tasca. Noi possiamo essere ragionevolmente certi che Mussolini finirà nostro prigioniero.

Nota. Il governo Badoglio, mentre l’Italia era in guerra contro gli Alleati, informava i nemici inglesi sulla vicenda Mussolini. Il “circolo reale”, poi, a detta di Churchill che parla a ragion veduta, era saldamente “nella tasca” degli inglesi. Tutto questo mentre gli italiani ancora combattevano e cadevano nel disperato tentativo di fermare la valanga di ferro e di fuoco che si abbatteva sull’Italia. Che non si parli, però, di tradimento!

Roosevelt: Sarebbe una mossa saggia, Winston? Saremmo costretti ad istruire una specie di megaprocesso che si potrebbe trascinare per mesi e, anche se lo controllassimo, ci arrecherebbe problemi con il popolo. E io devo osservare che molti italiani qui (cioè negli S.U. n.d.a.) sono almeno suoi segreti ammiratori (orig:”secret admirers of the creature”). Il che porterebbe problemi qui se noi lo processassimo. Naturalmente l’esito del processo non sarebbe mai in dubbio ed egli morirebbe appeso ad una corda. Ma nel frattempo, questi processi, e sto presumendo che noi avremmo un sacco di miserevoli amiconi, disponibili per il processo e l’esecuzione, ma questo processo potrebbe trascinarsi all’infinito. Io posso prevedere vari aspetti negativi per questo affare.
Churchill: Naturalmente ci sono aspetti negativi in ogni affare, Franklin. Allora ritieni che egli (Mussolini n.d.a.) non si debba processare? Cosa penserebbero i nostri amici in Italia della nostra mal posta generosità? Io ho ottime relazioni con certi elementi in Italia e quanto all’uomo, essi vogliono l’umiliazione pubblica e la morte di Mussolini. Sicuramente noi non siamo in un momento in cui qualche generosità è possibile. La sua morte avrebbe un salutare effetto sui nazisti.
Roosevelt: Io non dissento da questa tesi, ma, dal mio proprio punto di vista, un processo pubblico potrebbe avere connotazioni negative sulla situazione in questo Paese. Come ti ho detto c’è qualche solidarietà con la creatura (Mussolini n.d.a.) all’interno della comunità italiana (negli Usa) e la domanda sarebbe: che tipo di reazione avrebbe un tale processo su di essi (italiani n.d.a.)? Io sto pensando essenzialmente alle prossime elezioni qui. Il processo certamente non finirebbe in una settimana e la chiusura coinciderebbe col periodo della presentazione delle candidature e, alla fine con le elezioni, ed il maggior pericolo sarebbe l’alienazione (delle simpatie n.d.a.) degli italiani che hanno, io sento, un certo significativo peso nella bilancia (dei voti n.d.a.).

OMISSIS

Roosevelt: Io avevo in mente che, dopo che noi stessi troveremo un accordo qui, potremmo farlo eliminare mentre è ancora loro prigioniero. Allo stesso tempo potremmo fare pubbliche richieste per la sua consegna per un processo.

Canzano - 11 - Così, per telefono, tre giorni dopo il suo arresto avvenuto il 25 luglio 1943, si eseguì il processo e la condanna a morte di Mussolini.
Francesco P. d’Auria - Esattamente e, secondo il loro volere, Mussolini è stato assassinato da sicari compiacenti e sottomessiquello stesso Uomo per il quale, proprio Churchill aveva espresso simpatia e ammirazione, dichiarando:
“ Il vostro movimento ha reso un servizio al mondo intero. sembra che ciò che caratterizza tutte le rivoluzioni sia una progressione costante verso la sinistra, una sorta di slittamento inevitabile verso l’abisso. L’Italia ha dimostrato che esiste un mezzo per combattere le forze sovversive che possono ingannare le masse popolari e che queste, ben condotte, possono apprezzare il valore di una società civilizzata e difenderne l’onore e la stabilità.
É l’Italia che ci ha dato l’antidoto necessario contro il veleno rosso”.
C’è da restare perplessi e a disagio a pensare che Churchill, quella stessa persona, stimata in tutto il mondo, che esprimeva i nobili pensieri sopra esposti potesse, contemporaneamente, discutere banalmente su come conveniva meglio assassinare un Capo di Governo in disgrazia, se tale assassinio dovesse essere eseguito prima o dopo un processo e se fosse utile mandare un telegramma di “copertura” per uscirne puliti e innocenti pur con le mani grondanti sangue! Nulla di diverso dai capi di Cosa Nostra quando decretano l’assassinio di un rivale o di un associato infedele.
Si può così capire quanto fossero sensibili la mente e il cuore di questi lestofanti quando ordinavano ai bombardieri la distruzione delle città italiane, tedesche e giapponesi.
Si può così anche capire i tantissimi altri assassinii commessi dai servizi segreti americani dopo la guerra; l’assassinio di Obama Bin Laden, presunto colpevole di un atto terroristico ancora coperto da troppe nebbie, come anche la morte di Saddam, per mano di sicari locali (identica soluzione come quella italiana) sono da considerarsi come fotocopia di tante altre eliminazioni di stampo malavitoso.

Canzano - 12 - Si sono fatte altre ricerche?
Francesco P. d’Auria - Si, in particolare da Giorgio Pisanò. Ricerche condotte per decenni che si sono fermate alle soglie della verità; il memoriale della signora Dorina Mazzola rievoca con esattezza quei momenti tragici, quella atmosfera di confusione, di paura e di attesa che io stesso ho vissuto in un paesino sul lago di Como, a pochi Km dal luogo della strage. Tutti i paesini e le strade del lago di Como quel giorno avevano la stessa cupa atmosfera e lo stesso silenzio rotto di quando in quando da colpi isolati o brevi raffiche di mitra.
Ma ciò che nella descrizione della Mazzola si deve ritenere assolutamente veritiero, anche perché difficile da immaginare per qualsiasi mitomane, è la descrizione della presenza di signori distinti, benvestiti, impermeabile chiaro con cintura, silenziosi e armati solamente di una lussuosa macchina fotografica. Se non fossero davvero esistiti, la signora Mazzola non avrebbe mai potuto descrivere, solo con la fantasia, tali personaggi in quel modo. Chi in Italia a quell’ epoca e in quei luoghi poteva avere vestiti decenti? Non certo i partigiani o i dirigenti del CLNAI, basta vedere le loro figure alla sfilata trionfale di Milano! In Italia, in quel periodo, nessuno poteva disporre di abiti che non fossero residuati di “prima della guerra”. Lo stesso deve dirsi per le macchine fotografiche. Non esistevano fra la gente comune e certo i partigiani non avevano servizi professionali per cui le comuni macchinette fotografiche non avrebbero richiamato l’ attenzione della signora Mazzola!

Canzano - 13 - Quindi sei convinto che tutto sia avvenuto secondo quanto deciso da Roosevelt due anni prima?
Francesco P. d’Auria - E' evidente che mai e poi mai i partigiani avrebbero mai potuto trasgredire gli ordini di chi li teneva al guinzaglio. Non esisteva nemmeno l’idea di andare contro i “vincitori” tenuti per amici e alleati. Tutti non facevano che compiacerli; per qual motivo avrebbero dovuto trasgredire gli ordini?

Canzano - 14 - Ma perché dunque ancora si tiene il segreto su quei fatti?
Francesco P. d’Auria - Riguardo a quanto qui scritto sull’assassinio di Mussolini, deciso ben due anni prima della effettiva esecuzione, non deve meravigliare che si sia voluto tenere il segreto e, per imporlo, si sono usati metodi mafiosi: il terrore della morte immediata! Questo lo può imporre solo la mafia o gli agenti di alcuni paesi stranieri senza scrupoli. In Italia, la “talpa”, perfino nella magistratura, è una istituzione atavica ma sul lago di Como “bocche cucite”! La attenta e puntigliosa disamina delle incongruità che emergono dal racconto “ufficiale” del famigerato Valerio, danno all’ultimo libro di Pisanò (Gli ultimi cinque secondi di Mussolini) una solida base di validità e di veridicità storica.
Il nome dello scagnozzo che effettivamente premette il grilletto diventa di secondaria importanza. Indipendentemente da chi fu l’esecutore materiale della incomprensibile e ingiusta condanna, tutti coloro che parteciparono alla tragedia furono assassini. Per la verità storica è più importante stabilire la precisa volontà e responsabilità dei mandanti che, da quanto sopra detto, furono i due Capi delle cosiddette democrazie occidentali; coloro che avevano condotto la guerra sacrificando alla propria ingordigia, egoismo, e avidità quelle Nazioni e quegli Uomini che avevano osato contrapporsi al loro sterminato potere.
Se dagli archivi segreti emergeranno mai le fotografie che sicuramente in quei momenti saranno state scattate, avremo una immagine del nostro Duce, nei suoi ultimi istanti di vita, da tramandare alla Storia e alle future generazioni come il documento del martirio subito con il sogno e l’amore dell’Italia nel cuore.





Che strana libertà è mai quella che vieta
di rimpiangere un tiranno defunto?
Che strano tiranno fu mai quello
se riesce ancora a farsi rimpiangere!?

Leo Longanesi

sabato 27 aprile 2013

25 aprile. Che ci sarà mai da celebrare?


Lo storico Renzo De Felice affermò che la peggiore eredità che il Fascismo ci ha lasciato è l’antifascismo che, a suo dire, era una scusa per praticare l’intolleranza violenta con delle false coperture morali. E ne trovò conferma sulla sua pelle quando, ormai alla fine della sua carriera, si vide impedire l’ingresso all’Università di Roma da un gruppo dei centri a-sociali che cercarono di aggredirlo dandogli addirittura del nazista. Poco dopo, nel febbraio del 1996, qualcuno gli incendiò la casa. Tre mesi dopo l’uomo considerato anche all’estero “il massimo studioso del fascismo” morì.
Probabilmente chiedendosi, lui che aveva alle spalle anche una lunga militanza comunista e poi socialista, in che cavolo di Paese avesse vissuto se, a 50 anni dalla fine della guerra, un anziano professore di storia dovesse rischiare il linciaggio e la vita propria e dei propri familiari solo per aver scritto dei libri di storia. Il 25 aprile, spiegano molti antifascisti – quelli giovani – serve a celebrare il ricordo imperituro di chi, con la guerra partigiana, ci ha regalato la libertà e la democrazia di cui oggi godiamo. Purtroppo, a dire il vero, la democrazia gli italiani di allora l’hanno ricevuta, allo stesso modo degli iracheni di oggi, dagli americani. Dopo una guerra fatta di bombardamenti sulle città e un’invasione. Questa è la storia e non c’entra nulla l’ideologia.
I partigiani furono protagonisti di una guerra civile combattuta contro italiani che ritenevano di combattere per l’Italia con una visione diametralmente opposta. Con il 25 aprile si festeggia la sconfitta dei secondi, più che la vittoria dei primi. Il che ci può anche stare, le guerre sono così: c’è uno che vince e uno che perde. E il vincitore di rado fa sconti al vinto. Dai tempi di Brenno, almeno. La domanda è: che cosa c’entrano i nostri figli – e ormai i nostri nipoti – con quella guerra? E perché i discendenti di chi quella guerra l’ha persa dovrebbero ancora essere trattati come i vinti di una guerra che non hanno combattuto e nemmeno visto da lontano perché sono nati decenni dopo che era finita? E, soprattutto, perché a trattarli così dovrebbero essere persone che anch’esse non hanno combattuto nessuna guerra per liberare alcunché, ma hanno solo scelto di schierarsi dalla parte di chi vinse allora per reclamare il diritto di negare, oggi, la libertà ad altri? Sono queste le domande che, ogni anno, noi figli della generazione di italiani che combatté quella guerra – e ormai genitori e nonni di altri italiani – ci poniamo. Aveva ragione De Felice. Per questo gli bruciarono la casa. Sono passati 17 anni da quell’attentato dimenticato. In Italia è cambiato tutto. Ma, almeno oggi, sembra non sia cambiato niente.

http://www.secoloditalia.it/2013/04/25-aprile-che-ci-sara-mai-da-celebrare/

I veri motivi dello scoppio della II guerra mondiale.Gloria ai ragazzi della RSI!!!



CHI DECISE LA MORTE DI MUSSOLINI (LA VERITA') IMPORTANTE!

Seconda Guerra Mondiale

(01/10/2009)UCCISIONE DI MUSSOLINI da HISTORICA NOVA

CHI DECISE LA MORTE DI MUSSOLINI

Quando Benito Mussolini scrisse I complici, il fondo pubblicato su Il Popolo d’'Italia del 4 luglio 1919, non poteva immaginare che meno di ventisei anni dopo sarebbe stato assassinato da sicarî militanti nelle file di quei complici. La coltre di menzogne stesa sulla sua morte perpetua l'’infamia dei mandanti, dei "complici" e degli esecutori.

 
Giornalisti e scrittori coraggiosi come Giorgio Pisanò e Franco Bandini, e ricercatori appassionati come Alberto Bertotto e Maurizio Barsotti hanno da tempo rilevate e poste in evidenza le discordanze e le forzature nelle numerose versioni date in pasto al pubblico nel corso degli anni, sessantaquattro per essere precisi. Ora è possibile affermare con certezza che l'’assassinio di Benito Mussolini non è avvenuto come, dove, quando e perché ci hanno voluto raccontare. Che Mussolini dovesse morire era stato deciso a Washington e a Londra nel luglio 1943. Doveva morire come era morto Giorgio, duca di Kent, il 25 agosto 1942, quando l'idrovolante Sunderland su cui viaggiava si schiantò contro il fianco di una collina vicino a Dunbeath, nella contea di Caithness, in Scozia.(1) Mussolini doveva morire per lo stesso motivo che avrebbe portato all'’assassinio del Vice-Führer Rudolf Hess, suicidato da due agenti britannici nel carcere di Spandau il 17 agosto 1987, a pochi giorni dalla sua liberazione, dopo quarantasei anni di carcere.(2) I morti, si sa, non parlano. Mussolini, Giorgio di Kent ed Hess avrebbero fatto crollare il castello di bugie preparato per mascherare la verità sulla seconda guerra mondiale. Gian Giacomo Cabella, direttore de "Il Popolo di Alessandria", intervistò Benito Mussolini il 22 aprile 1945 a Milano. Tranquillo, il Duce parlò a lungo, ripercorrendo le tappe degli anni della guerra. Parlò come fosse certo che sarebbe dovuto comparire davanti a un tribunale internazionale. "Ho qui delle tali prove di aver cercato con tutte le mie forze di impedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della Storia". Nel dire "ho qui delle tali prove", indicò una grande borsa di cuoio. Mi sembra, delle tre, fosse quella di pelle gialla. Poi toccò una cassetta di legno. "Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno" riprende Mussolini "ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la possibilità di vivere. Se le vicende di questa guerra fossero state favorevoli all'’Asse, io avrei proposto al Führer, a vittoria ottenuta, la socializzazione mondiale. Lavorerò anche in Valtellina. Cercherò che il mondo sappia la verità assoluta e non smentibile di come si sono svolti gli avvenimenti di questi cinque anni. La verità è una". Povero Mussolini, la verità è davvero una, ma è quella dei vincitori.
Alessandro De Felice, giovane e valente ricercatore romano, ha recentemente tradotto e pubblicato per la prima volta in Italia l’intercettazione di una conversazione telefonica transoceanica tra Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill.(3) Avvenne il 29 luglio 1943 e fu registrata dagli specialisti dello Amt IV del RSHA, ( Reichssicherheitshauptamt, l’Ufficio Principale per la Sicurezza del Reich), uno degli otto Hauptämter (uffici principali) in cui si suddivideva l’organizzazione degli SS. Fu Einrich Müller, nel 1945 capo della Gestapo, a rivelare l’esistenza delle intercettazioni. Gli storiografi dell’italica repubblica nata dalla resistenza le hanno ignorate, forse temendo d’essere accusati di revisionismo.

La conversazione tra Roosevelt e Churchill, trascritta integralmente in inglese dagli agenti tedeschi, fu tradotta in lingua tedesca, con alcuni errori di ortografia. Negli Stati Uniti fu pubblicata nel 1995, da Gregory Douglas nel libro Gestapo Chief. The 1948 Interrogation of Heinrich Müller. From Secret U.S. Intelligence Files.(4) Nella trascrizione originale, Roosevelt è indicato con R., Churchill con C. R. "Ho alcuni pensieri supplementari sulla situazione italiana che ho voluto discutere con te. Ho pensato alle nostre azioni concernenti Mussolini ed il suo destino finale, dopo che egli si sia arreso a noi." C. "Tu devi catturare il pesce prima di cucinarlo. Non ho alcun dubbio che finirà nostro prigioniero a meno che, naturalmente, essi (gli italiani N.d.R.) lo uccidano o egli si sottragga alla sua esatta ricompensa suicidandosi." R. "C’è anche la possibilità che i Nazisti possano giungere a lui? Dov’è adesso?" C. "Gli italiani ci hanno avvertito che lui è attualmente al quartier generale della polizia a Roma. Essi lo vogliono trasferire direttamente perché sembra che i tedeschi potrebbero improvvisamente decidere di rafforzare i loro effettivi in Italia e Roma diventerebbe il loro bersaglio logico. Essi (gli italiani N.d.R.) lo sposteranno." R. "Ma essi non lo vorranno mollare, e mi riferisco ai tedeschi? Per quale genere di quid pro quo?" C. "Io penso di no. Gli italiani odiano i tedeschi ed il circolo reale è molto saldamente nella nostra tasca. Noi possiamo essere ragionevolmente certi che Mussolini finirà nostro prigioniero." R. "Sarebbe una mossa saggia, Winston? Saremmo costretti ad istruire una specie di megaprocesso che si potrebbe trascinare per mesi e, anche se lo controllassimo, ci arrecherebbe problemi con il popolo. E io devo osservare che molti italiani qui sono almeno suoi segreti ammiratori (lett.<>). Il che porterebbe problemi qui se noi lo processassimo. Naturalmente l’esito del processo non sarebbe mai in dubbio ed egli morirebbe appeso ad una corda. Ma nel frattempo, questi processi, e sto presumendo che noi avremmo un sacco di penosi amiconi anche disponibili per il processo e l’esecuzione, potrebbero trascinarsi all’infinito. Io posso prevedere vari aspetti negativi per questo affare." C. "Naturalmente ci sono aspetti negativi in ogni affare, Franklin. Allora ritieni che egli (Mussolini N.d.R.) non si debba processare? Cosa penserebbero i nostri amici in Italia della nostra malposta generosità? Io ho ottime relazioni con certi elementi in Italia e quanto all’uomo, essi vogliono l’umiliazione pubblica e la morte di Mussolini. Sicuramente noi non siamo in un momento in cui qualche generosità è possibile. La sua morte avrebbe un salutare effetto sui nazisti."

R. "Io non dissento da questa tesi, ma, dal mio proprio punto di vista, un processo pubblico potrebbe avere connotazioni negative sulla situazione in questo Paese. Come ti ho detto c’è qualche solidarietà con la creatura (Mussolini N.d.R.) all’interno della (locale) comunità italiana (negli Usa) e la domanda sarebbe che tipo di reazione avrebbe un tale processo su di essi (italiani N.d.R.)? Io sto pensando essenzialmente alle prossime elezioni qui. Il processo certamente non finirebbe in una settimana e la chiusura coinciderebbe col periodo della presentazione delle candidature e, alla fine con le elezioni, ed il maggior pericolo sarebbe l’alienazione (delle simpatie N.d.R.) degli italiani che hanno, io sento, un certo significativo peso nella bilancia (dei voti N.d.R.)."

C. "Non posso accettare che liberare Mussolini potrebbe favorire qualcuno dei nostri comuni scopi. A questo punto della storia, io credo che sia stato oltrepassato lo spartiacque ed è giunto per noi il momento adesso. Non ritengo che la guerra finirà subito, ma la percezione è che noi siamo sulla via Triumphalis ora, non sulla via Dolorosa come siamo stati per così tanto tempo."

R. "Io non volevo dire che dovremmo rilasciare il diavolo. Niente affatto. Mi riferivo al processo pubblico. Se Mussolini morisse prima che un processo potesse aver luogo, penso che noi staremmo meglio in tutti i sensi."

C. "Tu suggerisci che noi semplicemente dobbiamo fucilarlo (5) quando gli italiani lo consegneranno a noi? Quale tipo di Corte Marziale per quest’affare? Celebrato a porte chiuse naturalmente. Potrebbe avere un salutare effetto sui fascisti duri a morire ancora attivi e forse perfino un effetto più grande sugli hitleriani." R. "No. Ho pensato in proposito e credo che se Mussolini morisse mentre è ancora agli arresti in Italia (<>), ciò potrebbe servirci assai più che se noi avviassimo un processo."

C. "Non credo che anche se io chiedessi un simile favore agli italiani essi lo asseconderebbero. È mia convinzione che essi vogliano avere la loro vendetta su lui in un modo prolungato e pubblico per quanto è possibile. Tu sai quanto gli italiani amino urlare e gorgheggiare (6) intorno alla vendetta nelle loro opere. Puoi immaginarti loro rinunciare all’opportunità di gesticolare e parlare in pubblico?" R. "Io avevo in mente che, dopo che noi stessi avessimo trovato un accordo qui, potremmo eliminarlo mentre è ancora nella loro custodia (italiana N.d.R.). Allo stesso tempo potremmo fare pubbliche richieste per la sua consegna per un processo. Ciò sarebbe (una soluzione N.d.R.) un po’ più dolce rispetto all’affare Darlan".(7) C. "Non posso, ma faccio un’obiezione a quell’allusione, Franklin. Quello è un capitolo chiuso e non ha niente a che vedere con il presente (<>) e la nostra gente non è per nulla interessata al destino ben giustificato di un noto leccapiedi dei nazisti(8)." Un’attenta lettura delle frasi che i due eminenti personaggi si scambiarono durante la conversazione transoceanica non lascia dubbi sui loro propositi circa il destino del collega italiano. Mussolini doveva morire. Condannato a morte senza processo. "Sarebbe una mossa saggia, Winston? Saremmo costretti ad istruire una specie di megaprocesso che si potrebbe trascinare per mesi e, anche se lo controllassimo, ci arrecherebbe problemi con il popolo." Anche se lo controllassimo, ci arrecherebbe problemi con il popolo. Già, il popolo! Guai se fosse venuto fuori che la seconda guerra mondiale sarebbe potuta finire nella primavera del 1941! Guai se si fosse rivelato che senza l’istigazione dei grandi finanzieri e banchieri ebrei la guerra si sarebbe potuta evitare! Il 29 settembre 1938, Mussolini partì da Monaco certo di avere salvato la pace. Ne erano sicuri anche i popoli europei, che, particolarmente in Gran Bretagna, in Italia e in Germania, tributarono a Chamberlain, Mussolini e Hitler manife-stazioni di affetto e di riconoscenza. In Italia si stava lavorando per l’E 42, l’Esposizione Universale che si sarebbe dovuta tenere nella Capitale per celebrare il ventesimo anniversario della Marcia su Roma nel 1942. Oggi, a settant’anni di distanza, Roma può vantare un quartiere moderno, celebre per la sua architettura razionalista, realizzato con investimenti cospicui che un dittatore guerrafondaio avrebbe destinato al potenziamento delle Forze Armate. La Seconda Guerra Mondiale, iniziata il 2 settembre 1939 con la Dichiarazione di Gran Bretagna e Francia alla Germania, dopo l'’invasione della Polonia parve cadere in letargo. Per mesi, fino all'’aprile 1940, non accadde nulla di rilevante. Sette mesi nei quali nessuno dei belligeranti fece una mossa. Lungo la Maginot i poilus francesi facevano la guardia, lavavano la biancheria e giocavano a pallone. Lungo la Sigfrido, i soldati tedeschi, forse in modo più marziale, facevano lo stesso. L'’occupazione della Danimarca e della Norvegia non mutarono la condizione di stasi. In realtà, si trattò di una fase interlocutoria, che conferma l’ipotesi dell’'esistenza di manovratori occulti, nell’attesa della riconferma di F. D. Roosevelt per il terzo mandato presiden-ziale. La nomina a Primo Ministro del Regno Unito di Winston Churchill, succeduto il 10 maggio 1940 al dimissionario Neville Chamberlain, non bastava. Non mancano le testimonianze sulle manovre della diplomazia franco-britannica-statunitense, impegnata a sostenere le provocazioni polacche alla Germania, allo scopo di provocare un conflitto regionale, preparatorio al conflitto mondiale. E' interessante notare il tenore dei messaggi di Roosevelt rinvenuti dai tedeschi nel 1939 a Varsavia, per esempio le dichiarazioni ai polacchi di William Bullit, ambasciatore americano a Parigi: "… il Presidente desidera che Germania e Russia vengano in conflitto… dopodiché le nazioni democratiche attaccheranno la Germania… costringendola alla resa…"; "… il Presidente è deciso a non partecipare alla guerra dall'inizio, ma ad esservi dentro alla fine…". A questo punto si aspettavano che gli eserciti polacco e francese tenessero occupati i tedeschi fino al 1941, quando sarebbero arrivati gli americani. Le inattese e fulminee vittorie militari dei tedeschi ebbero sugli inglesi un effetto terrificante. Il 12 agosto 1939 nell'incontro di Salisburgo Hitler dichiarò a Galeazzo Ciano che la guerra con la Polonia sarebbe rimasta localizzata e che avrebbe fatto la pace con gli inglesi.

Il 27 Agosto 1939 il governo di Londra comunicò a Roma il testo delle proposte tedesche per una cooperazione su scala mondiale, dopo che fossero state risolte le questioni in Europa.

Mussolini era convinto che la guerra in Polonia sarebbe stata una guerra limitata, locale.

È evidente che la Germania non voleva scatenare un conflitto mondiale ma risolvere, sia pure con le armi, la questione (territoriale) del corridoio di Danzica, rispondendo alle assurde provocazioni del governo polacco. I sostenitori della pace britannici fecero credere a Hitler che la Gran Bretagna avrebbe mobilitato solo per onore della parola data ai Polacchi, ma che non si sarebbe giunti alla guerra su scala europea. Il 19 luglio 1940 Hitler, con un discorso al Reichstag offrì agli Inglesi una pace onorevole e una cooperazione su scala mondiale, riprendendo i temi delle offerte del 1939. Nel giorno che vide Churchill salire al potere, 8 maggio 1940, i Tedeschi lanciarono l'attacco all'Olanda, al Belgio e al Lussemburgo. Il Corpo di Spedizione Britannico assieme all'Esercito francese in due settimane fu battuto e respinto indietro fino a Dunkerque. Il 22 maggio 1940 circa 250 Panzer germanici stavano avanzando su Dunkerque quando Hitler personalmente ordinò a tutte le forze tedesche di arrestarsi e di sostare per tre giorni sulle posizioni raggiunte. I Britannici si imbarcarono pressoché indisturbati e la loro fuga fu salutata come un miracolo. Hitler con la sua decisione aveva salvato l'esercito britannico. Senza l'ordine di arresto, si sarebbe avuto un massacro o una resa di massa. Fino a quel momento vi erano stati non meno di quattordici tentativi segreti per giungere ad un accordo di pace con la Gran Bretagna. Intanto, Mussolini, che aveva fatto entrare in guerra l’Italia il 10 giugno, si preoccupò che non fossero inflitti danni gravi agli avversari franco-britannici. Voleva una pace senza odî né rancori, nel quadro di futuri equilibri internazionali. Mirava a ricreare il clima di collaborazione e di speranza della Conferenza di Stresa del 1935 e della Conferenza di Monaco del 1938. Di concreto, vi erano state consultazioni sia fra Mussolini e l'ambasciatore francese a Roma, François Poncet, sia fra Badoglio e l'addetto militare Parisot, perché il fronte italo-francese rimanesse tranquillo anche dopo l'entrata in guerra dell'Italia. Non solo: ambienti diplomatici francesi vicini a Casa Savoia avevano letteralmente scongiurato che l'esercito italiano prendesse l'offensiva dopo la metà di giugno 1940, perché la valle del Rodano non fosse occupata dai Tedeschi e perché il governo di Bordeaux non si trovasse a dover sedere da solo davanti ai plenipotenziari tedeschi, al momento della firma dell'armistizio. Era stato perfino concordato che né l'aviazione italiana, né quella francese avrebbero bombardato le città avversarie; tanto è vero che, quando una squadriglia britannica si alzò in volo da Lione per bombardare Torino, i Francesi tentarono, purtroppo senza successo, di impedirne il decollo. L'aviazione italiana rispose bombardando località di secondaria importanza, e la flotta francese bombardando Genova. Poi, il 21 giugno, per il precipitare della situazione militare nella Francia settentrionale (Parigi era stata occupata il 14 giugno), l'esercito italiano venne lanciato all'assalto frontale della frontiera alpina più munita d'Europa e, nel giro di due giorni, ebbe 600 morti, 2.600 feriti, 600 dispersi. Furono conquistate le fortificazioni delle Traversette e la città di Mentone. Nelle trattative per l'armistizio del 24 giugno, l'Italia non chiese e non ottenne niente di niente: né Gibuti, né la Corsica, né la Savoia, né Nizza: solo la smilitarizzazione di un tratto di 50 km. lungo il confine alpino e lungo quello della Tunisia, e l'uso del porto di Gibuti. L'Italia non chiese neppure la restituzione dei propri concittadini che erano emigrati in Francia per motivi politici (a differenza di quanto fece la Germania): così gli antifascisti italiani poterono rimanere indisturbati ad adoperarsi per la sconfitta della madrepatria. Altro che pugnalata alla schiena! Tutto si può dire di quella breve campagna militare, tranne che fu una pugnalata alla schiena della Francia. Ben diversamente si comportò verso la Francia l'alleata Inghilterra, che attaccò e distrusse la flotta francese a

Dakar e a Mers el Kebir, provocando la morte di 1.300 marinai francesi (mentre i caduti francesi sul fronte italiano, in quei pochi giorni di guerra, erano stati appena qualche decina). Tuttavia, bastò che il presidente Roosevelt parlasse alla radio della «pugnalata alle spalle del proprio vicino», perché l'Italia rimanesse bollata d'infamia per più generazioni.

La notte del 10 maggio 1941 Rudolf Heß volò in Scozia per incontrare il duca Giorgio di Kent. I termini di pace di Hitler che recava con sé erano i seguenti: (1) L'Impero Britannico rimane com'è, con tutte le colonie e i mandati. (2) La supremazia continentale della Germania non viene posta in discussione. (3) Ogni questione concernente le colonie della Francia, del Belgio e dell'Olanda è aperta alla discussione. (4) La Polonia sarà uno stato polacco. (5) La Cecoslovacchia deve appartenere alla Germania. Era un'offerta onorevole, in quelle circostanze!! Sappiamo come andò a finire. Sappiamo anche dell’impreparazione dei belligeranti nel settembre 1939. Tutte le potenze avevano piani industriali per l’armamento e la logistica tali da garantire un sufficiente livello di efficienza militare non prima del 1942-43. La storia dei vincitori sostiene che i tedeschi, volendo scatenare una guerra d'aggressione e conquista in Europa, avevano approntato un esercito potentemente armato. Non è vero. Come i Francesi erano terrorizzati dall'inadeguatezza dei loro armamenti, così erano gli Italiani e i Britannici, dotati di armi leggere e pesanti già impiegate nella Prima Guerra Mondiale.

I Tedeschi nel 1939 non erano messi molto meglio. Le loro divisioni corazzate impiegavano Pzkw II, carri del tipo II, da 11 tonnellate, dotati di una mitragliera da 20 mm, esattamente come le autoblindo del R.E.I. Solo due divisioni, la 4. e la 7. Panzer erano armate con carri che montavano un pezzo da 37 mm, superiore alla mitragliera da 20 mm, ma pur sempre insufficiente. Non erano stati prodotti in Germania. Erano carri Skoda cecoslovacchi requisiti al momento dell'annessione del 1938, come testimoniano le foto dell'epoca.

Allo scoppio della guerra il generale della Luftwaffe Erhardt Milch nei rapporti al Führer lamentava l’insufficienza di bombe per gli stormi da bombardamento. È molto difficile che in quelle condizioni il Governo Nazionalsocialista stesse preparando una guerra d'aggressione. Gli appassionati e gli studiosi di Militaria conoscono l’esistenza di pistole con il marchio della Wehrmacht (Heer, Luftwaffe e Kriegsmarine): sono Walther e Lüger tede- sche, Browning FN belghe, SCM francesi, Beretta italiane, Radom polacche, Astra spagnole e diverse altre di fabbriche minori. Il Reichsministerium für Rüstung und Kriegsproduktion (Ministero per l’Armamento e la Produzione Bellica) dové affannarsi a fare incetta di pistole per gli ufficiali e i sottufficiali in tutta Europa. Una grave dimenticanza per un esercito aggressore!

È abbastanza evidente l’inconsistenza delle tesi dei vincitori che attribuiscono a Hitler e a Mussolini la volontà di aggredire. Analizzando gli avvenimenti della guerra in Europa nel periodo 1939 - 1941 si percepiscono i segni delle dinamiche già avviate per trasformare un conflitto di scala regionale nel conflitto più sanguinoso della storia.

Forse diverrebbe più facile comprendere i fatti della Storia di quel periodo ricordando avvenimenti poco conosciuti, come la Dichiarazione di Guerra degli Ebrei alla Germania, avvenuta il 23 marzo 1933 quando 20.000 ebrei protestarono al New York's City Hall (Municipio) e furono organizzati assembramenti all'esterno del North-American German Lloyd e delle Linee di Navigazione Hamburg-American. Picchetti di boicottaggio furono organizzati contro i prodotti della Germania nei negozi, nei magazzini e nelle attività commerciali di New York City. Secondo il quotidiano britannico The Daily Express di Londra il 24 marzo 1933 gli ebrei avevano già proclamato il loro boicottaggio contro la Germania e il suo governo, eletto dal popolo. Il giornale titolò "Judea Declares War on Germany - Jews of All the World Unite - Boycott of German Goods - Mass Demonstrations" (La Giudea dichiara guerra alla Germania - Ebrei di tutto il mondo unitevi - Boicottaggio dei prodotti tedeschi - Dimostrazioni di massa). L'articolo di fondo descrisse un'imminente "guerra santa" e proseguì implorando gli ebrei di ogni luogo a boicottare i prodotti tedeschi e a partecipare in massa a dimostrazioni contro gli interessi economici della Germania. Secondo lo Express:

"L'insieme di Israele nel mondo è unito nel dichiarare una guerra economica e finanziaria alla Germania. L'apparizione della Svastica come simbolo della nuova Germania ha riportato a nuova vita i vecchi simboli di guerra di Giuda. Quattordici milioni di Ebrei sparsi in tutto il mondo [nel 1933 N.d.R.](9) sono uniti l'uno all'altro come un solo uomo, per dichiarare guerra ai persecutori tedeschi dei loro compagni credenti. I negozianti ebrei chiuderanno le loro botteghe, i banchieri bloccheranno lo scambio dei titoli, i commercianti i loro affari e il povero che chiede l'elemosina riporrà l'umile cappello, per andare alla guerra santa contro il popolo di Hitler." Lo Express scrisse che la Germania "si trova ora di fronte ad un boicottaggio internazionale del suo commercio, delle sue finanze e della sua industria ... A Londra, New York, Parigi e Varsavia, uomini d'affari ebrei sono uniti per intraprendere una crociata economica." Come non ricordare, a questo punto, la presenza, a fianco di Franklin D. Roosevelt, di Felix Frankfurter, Bernard Mannes Baruch e Henry Jr. Morgenthau, tutti fervidi sionisti? Come non ricordare le confidenze di Neville Chamberlaine che si lamentò con James V. Forrestal di essere stato pressato dagli Ebrei a dichiarare guerra. Egli dovette anche in seguito tribolare con il "partito della guerra", costituito da poco, che raggruppava Winston Churchill, Duff Cooper e Anthony Eden, una consorteria che si era formata durante gli incontri segreti al Savoy Hotel con il finanziere Israel Moses Sieff nel maggio 1940. E come non ricordare la testimonianza dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Gran Bretagna Joseph P. Kennedy, resa a James V. Forrestal (10) e riportata da questi nei suoi "Diaries", in data 27 dicembre 1945: "Né la Francia, né la Gran Bretagna avrebbero fatto del caso Polonia un motivo per entrare in guerra, non fosse stato per le continue sollecitazioni di Washington." L'intero piano di gioco di Churchill era fondato sul totale coinvolgimento degli Stati Uniti alla causa della Gran Bretagna.

Fin dall'inizio, la Gran Bretagna era dipesa dalla fornitura di apparecchiature militari ed altri beni essenziali del periodo bellico dagli Stati Uniti. Così, nel momento in cui la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania, le forniture di armamenti americani cessarono. Il sentimento dell'opinione pubblica negli Stati Uniti era profondamente isolazionista e il Congresso aveva passato una serie di misure restrittive in nome della neutralità, che proibivano ogni forma di commercio con qualsiasi nazione impegnata in una guerra. Nel 1937, però, su iniziativa di Roosevelt, (discendente da una famiglia di Ebrei olandesi) quelle misure furono emendate con un divieto che riguardava solo la fornitura di munizioni.

Fortunatamente per lo sforzo bellico della Gran Bretagna, Roosevelt prese nuovamente delle iniziative che, con poche modifiche legislative, portarono alla ripresa della fornitura di munizioni dagli Stati Uniti. I problemi erano venuti a capo nell'ottobre 1940, quando il Tesoro riferì a Churchill che entro tre mesi la nazione non avrebbe più avuto denaro per pagare le forniture dall'America.

In risposta Roosevelt spinse allora il Lend-Lease Bill (Progetto di legge per gli Affitti e i Prestiti), che fu approvato, divenendo legge, l'11 marzo 1941. Era così assicurato l'impegno che gli Stati Uniti avrebbero provveduto alla fornitura di munizioni e altri materiali a credito, per gli importi dovuti. La Gran Bretagna doveva far quadrare i conti trattando più di cinquanta milioni di dollari di oro dalle miniere del Sud Africa e vendendo una delle più redditizie società operanti negli Stati Uniti, la American Viscose, sussidiaria della Courtaulds, a un consorzio di banchieri, che non persero tempo a rivenderla, realizzando un considerevole profitto.

Nel maggio 1941 la Gran Bretagna era giunta ad un punto molto critico, con le scorte pericolosamente basse. Churchill inviò un cablo di disperata invocazione d'aiuto a Roosevelt il 3 maggio 1941, una settimana prima dell'arrivo di Heß.

La reazione degli ambienti industriali e finanziari degli Stati Uniti alla notizia dell'arrivo di Heß fu di grande costernazione.

Roosevelt capì che Heß offriva l'opportunità di scegliere tra la conclusione della guerra e la sua continuazione, con la facile ipotesi che il conflitto sarebbe potuto durare ancora parecchi anni. Naturalmente, la seconda sarebbe stata l'opzione preferita dall'industria e dalla finanza degli Stati Uniti. Dall’ 8 agosto 1941 (quattro mesi prima di Pearl Harbor) al 14 agosto 1941 Franklin D. Roosevelt fu a bordo della USS Augusta, incrociatore ancorato allo Ships Harbor di Placentice Island, nel Newfoundland (Terranova).

Winston Churchill lo raggiunse navigando sullo HMS Prince of Wales, nave da battaglia che diede fondo poco distante. Conversando a giorni alterni sull’una e sull’altra nave, il 12 agosto firmarono l’ Atlantic Charter, meglio conosciuta come Carta Atlantica.

Nel novembre 1940 Roosevelt aveva vinto le elezioni per il suo secondo mandato. Da quel momento iniziò la fase di mondializzazione del conflitto sulla base degli otto principî della Carta Atlantica, autentici capolavori di ipocrisia, usati come specchietti per allodole.

1) Gli Stati Uniti e il Regno Unito non cercano guadagni territoriali.

2) Le modifiche di territorio devono avvenire in accordo con i desideri dei popoli coinvolti.

3) Tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione.

4) Le barriere doganali devono essere abbassate.

5) Attuazione della cooperazione economica globale con il progresso del benessere sociale.

 6) Libertà dal bisogno e dalla paura.

7) Libertà di navigazione sui mari.

8) Disarmo degli aggressori e disarmo generale dopo la guerra.

Tralasciando per brevità ogni riferimento ai lavori di W. Cleon Skousen, Gary Allen, Jim Marrs, Phyllis Schlafly e G. Edward Griffin, non possiamo qui dimenticare la citazione di Carroll Quigley, estrema epitome dei suoi studi sulla civiltà occidentale: "I poteri del capitalismo finanziario avevano un piano a lungo termine, nientemeno che di costituire un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private, capace di dominare il sistema politico di ogni nazione e l’economia del mondo intero." Per attuare il loro piano, che aveva già portato al conseguimento di due grandi successi, il 23 dicembre 1913 con la firma da parte di Thomas Woodrow Wilson del Federal Reserve Act e il 29 ottobre 1929 con il crollo dei titoli allo Stock Exchange di Wall Street (enormi quantità di denaro incamerate per finanziare il consolidamento dei monopolî di materie prime e di risorse alimentari) i poteri del capitalismo finanziario non potevano ignorare la minaccia della Germania Nazionalsocialista, alleata nell’Asse dell’Italia Fascista. La nazionalizzazione della

Reichsbank, che sottrasse il signoraggio ai banchieri privati, la sostituzione dell’oro con la forza lavoro come riserva monetaria, le transazioni internazionali in clearing, compensate per ovviare i movimenti di valuta, il modello dell’efficienza conseguente offerto alle altre nazioni, (sei milioni di disoccupati assorbiti in meno di due anni), ecc. ecc. (11) costituivano un insieme di cattivi esempi da sradicare, distruggere e far dimenticare. L’eliminazione della sfida germanica al Potere Monetario andava condotta con ogni mezzo, bombardamenti terroristici compresi. Churchill, agente del Potere Monetario, nel 1944 disse ai suoi Capi di Stato Maggiore: "Potranno passare parecchie settimane, anche mesi, prima che vi chieda di saturare la Germania con gas velenosi. Se lo faremo, facciamolo al cento per cento." La minaccia dei gas non fu mai attuata, ma dietro l'ordine dei bombardamenti terroristici vi fu sempre lui, Churchill, benché in seguito abbia tentato di scrollarsene di dosso la colpa, addossandola al Field Marshall Arthur Harris, soprannominato " the butcher" . Per concludere in gloria, riportiamo un significativo aneddoto contenuto nel CD-ROM di Alessandro De Felice "Il Gioco delle Ombre", menzionato in apertura. Il personaggio chiave è Leo Weiczen , in arte Leo Valiani, senatore a vita "motu proprio" del Sandro Pertini.

"Lo scrivente Alessandro De Felice intende riferire adesso un episodio che ha sempre omesso da 18 anni a questa parte e che ha riferito alcuni giorni addietro ad Alberto Bertotto ed Elena Curti. Mi riferisco ad un breve colloquio 'casuale' che ebbi a Milano alla Fondazione Feltrinelli nel 1989-1990, non ricordo bene la datazione esatta, con l’allora ottuagenario Leo Valiani. Io ho frequentato la Fondazione in oggetto, per quasi un anno, (forse 1 anno e mezzo), per analizzare testi introvabili sul socialismo in relazione alla mia tesi di laurea sulla politica internazionale e la scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini. Devo dire che venivo guardato a vista dal personale, abbastanza rigido, e venivo dissuaso spesso dal chiedere determinati volumi e documenti, presumibilmente insospettito dal mio cognome. Ma dopo varie insistenze, riuscivo ad ottenere in parte il materiale richiesto. Ciò nonostante, ebbi modo di poter avvicinare il Valiani, già vegliardo ma ancora molto sveglio all’epoca. Egli si trovava lì nella sala consultazione della biblioteca della fondazione per compulsare dei volumi. Lo vidi per una decina di volte. Pur essendo già Senatore a vita, nominato da Sandro Pertini nel 1980, il Valiani arrivava in Fondazione Feltrinelli senza scorta. Non sarebbe difficile, se la fondazione avesse conservato dei registri di presenze, risalire al periodo esatto. Si firmava sempre per poter entrare e consultare o richiedere fotocopie. Era un tipo schivo, come lo scrivente. Dopo aver rotto il ghiaccio ed essendoci scrutati a distanza per varie volte, un giorno, dopo essermi presentato scientificamente, Gli parlai, in un momento in cui rimanemmo noi due soli nella sala stessa, chiedendo possibili ulteriori lumi, del ruolo estero nell’assassinio del Duce e degli altri gerarchi e la Petacci. Il Valiani, sibillinamente, mi rispose testualmente come riporto: <, - mi disse -. Quindi aggiunse, dopo una breve pausa, come a voler gelare la situazione: <>. Circa un’ora dopo, quando stavo per andare via dalla sala, mentre gli passavo accanto per uscire, mi fermò con un segnale invitandomi ad accostarmi sbrigativamente alla sedia e mi disse quasi all'orecchio: <>. Da allora, accennai ad una sola persona di questa conversazione col Valiani: Renzo De Felice. Ne parlai con lui, cugino di mio padre, nel 1991. E questa è la prima volta che ne parlo pubblicamente." ALESSANDRO DE FELICE Note: (1) Giorgio duca di Kent morì il 25 agosto 1942, quindici mesi dopo il volo di Rudolf Heß, sceso col paracadute a Bonnington Moore, nei pressi di Dungavel House, a sud di Glasgow, per incontrarlo. Ufficialmente, l’incidente in cui perì il duca di Kent è rimasto avvolto nel mistero. Ancora oggi, dopo sessantasette anni, è convinzione diffusa che egli sia stato assassinato dai servizi segreti britannici. Charles Higham nella seconda edizione rivisitata del suo libro The Duchess of Windsor: The Secret Life, cercò di dare una ragione per l'avvenimento e la trovò nelle serie preoccupazioni circa la mancanza di discrezione del Principe e dei suoi contatti politici con i capi della Germania nazionalsocialista, per negoziare una pace separata. Higham scrisse che lo Special Operations Executive era preoccupato per il fatto che il Duca potesse parlare di questi argomenti una volta lasciata la Gran Bretagna. Per quel motivo fu sabotato l'idrovolante prima che decollasse facendo sì che si schiantasse poco dopo provocando la morte di tutti i passeggeri, ad eccezione di uno soltanto. Il principe Giorgio in uniforme di lieutenant (sottotenente di vascello). Il sopravvissuto riportò solo alcune ferite superficiali, ma non parlò mai dell'accaduto e portò con sé nella tomba ciò che sapeva, alimentando così le teorie dell’attentato.

Lynn Pickett, Clive Prince e Stephen Prior nei loro libri Double Standards: The Rudolf Hess cover-up e War of the Windsors ipotizzarono che l'aereo del Duca di Kent si fosse fermato per prendere a bordo Rudol Heß, e che il tutto era parte di un progetto di pace che avrebbe estromesso Winston Churchill dal potere, lasciando così non dichiarata l'implicazione che se Giorgio fu assassinato dai servizi segreti britannici, la decisione dovesse essere stata concordata al livello di Churchill. L'ambasciatore tedesco in Portogallo, barone von Hoyningen-Hüne, disse a von Ribbentrop che secondo la comunità britannica a Lisbona, l'idrovolante venne sabotato per togliere di mezzo Kent, convinto sostenitore della pace con la Germania.

(2) In aggiunta alla testimonianza del sanitario tunisino, accorso per primo nella stanza di Heß, vi è un ulteriore affidavit (deposizione giurata) riguardante l'evento di Spandau del 17 agosto 1987. Fu raccolto in Sud Africa dalla nuora di Heß, che era riuscita a convincere un avvocato a fornire la sua testimonianza sotto forma di dichiarazione giurata preparata appositamente per un tribunale, con la data del 22 febbraio 1988. Il testo è il seguente:

"Il Ministro del Reich Rudolf Heß fu assassinato per ordine del British Home Office (Ministero degli Affari Interni Britannico). L'assassinio fu commesso da due membri del SAS (Special Air Service), per la precisione del 22° Reggimento SAS, Bradbury Lines, Hereford, England). Detta unità militare del SAS è alle dipendenze del Ministero degli Affari Interni Britannico, non del Ministero della Difesa. La pianificazione dell'assassinio come la sua direzione sono stati curati dal MI5 (Servizio di Sicurezza). L'operazione del servizio segreto, il cui obiettivo era l'assassinio del Ministro del Reich Rudolph Heß, fu progettata così frettolosamente che non le fu dato neanche un nome in codice."

Altri servizi segreti a conoscenza del piano furono quelli degli Stati Uniti, della Francia e di Israele.

(3) Alessandro De Felice ha riportato questa intercettazione integralmente in un cd-rom inti-tolato Il gioco delle ombre (reperibile sul web all’indirizzo www.alessandrodefelice.it). (4) Heinrich Müller, SS Obergruppenführer , (nato a Monaco di Baviera il 28 aprile 1900 e scomparso da Berlino il 29 aprile 1945) fu al servizio della CIA dal 1948 al 1952. Non se ne conosce la data di morte, che alcuni elementi fanno supporre avvenuta dopo il 1960. Gregory Douglas, dopo l’abrogazione delle restrizioni all’accesso di molte documentazioni relative alla Seconda Guerra Mondiale, pubblicò il testo integrale della conversazione del 29 luglio 1943 nel libro Gestapo Chief. The 1948 Interrogation of Heinrich Müller. From Secret U.S. Intelligence Files, vol. 1, R. James Bender Publishing, San Jose, California, 1995, pp. 56-62. (5) L’espressione usata testualmente è "shoot", verbo to shoot, che significa sparare, fucila-re (ibid., p. 58). (6) Letteralmente "to wail and warble". (7) Ibid., pp. 56-58. Jean François Darlan, Ammiraglio e uomo politico francese, nacque a Nérac, Lot e Garonna, nel 1881. Partecipò al primo conflitto mondiale e nel 1929 fu nominato Contrammiraglio. Capo di gabinetto del Ministro della Marina Georges Leygues negli anni 1926-1928 e 1929-1934, Darlan collaborò alla riorganizzazione della flotta navale francese. Comandante della squadra dell’Atlantico dal 1934 al ’36, quindi Capo di S.M.G. della Marina nel 1939-1940, fu nominato Comandante in capo della Marina Mercantile e Militare nel governo Pétain, e, dopo il licenziamento di Laval (dicembre 1940), assunse anche la carica di Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e di Ministro degli Esteri (febbraio 1941). Assertore di una politica di collaborazione con la Germania, successore designato di Pétain, Darlan incontrò Hitler due volte, il 25 dicembre 1940 a Beauvais ed il 10 maggio 1941 a Berchtesgaden; dopo quest’ultimo firmò a Parigi, il 28 maggio 1941, il protocollo Darlan-Warlimont, poi respinto dal governo di Vichy, che avrebbe messo a disposizione dei tedeschi alcuni porti francesi in Africa. Il 10 dicembre 1941 incontrò Galeazzo Ciano a Torino.

Al ritorno di Laval al governo nell’aprile 1942, Darlan si dimise da tutti gli incarichi ministeriali, ma rimase Comandante in capo delle Forze Armate Francesi. Al momento dello sbarco alleato dell’8 novembre 1942 si trovava ad Algeri e, con repentino voltafaccia, il 10 novembre successivo, concluse un armistizio col comando statunitense; addirittura il 13 novembre seguente ordinò alle truppe francesi di battersi contro le forze dell’Asse. Quindi Darlan si autoproclamò il giorno successivo (14 novembre 1942) Alto Commissario Francese dell’Africa del Nord in nome di Pétain, il quale ultimo però lo sconfessò. Darlan regolò col Generale Clark i rapporti fra autorità francesi e statunitensi in Africa (22 novembre 1942). Il 24 dicembre 1942 Darlan venne assassinato ad Algeri da un agente di De Gaulle. Va ricordato che Roosevelt sosteneva pragmaticamente l’utilizzazione degli amministratori di Vichy per i territori da poco occupati dagli Alleati, in contrasto con Churchill che appoggiava De Gaulle, decisamente contrario all’uso della classe dirigente di Vichy. La lotta tra Roosevelt e Churchill culminò nell’assassinio di Darlan da parte di un giovane francese, Ferdinand Bonnier de La Chapelle, addestrato allo scopo dal SOE (Special Operations Executive) britannico. L’arma dell’assassinio, una pistola Welrod con silenziatore di fabbricazione inglese, finì nelle mani di agenti dello OSS degli Stati Uniti che ne accertarono il collaudo negli Aberdeen Proving Grounds (Maryland).

(8) Ibid., p. 58.

(9) Ebrei nel mondo, stime e conteggi [da www.nntp.it/.../345661-ebrei-nel-mondo-stime-e-conteggi.html] Quando noi sentiamo i giornali e le televisioni parlare di 6.000.000 di Ebrei uccisi nei campi di sterminio non ci viene mai indicata la fonte di questa cifra. Ebbene la fonte é solo una ed é l'Enciclopedia Ebraica dove il totale e di 5.820.960. Adesso, io sicuramente non sono uno storico, ma mi hanno sempre insegnato che bisogna diffidare delle cifre che vengono fornite da una delle due parti coinvolte, e che per lo meno più di una fonte deve essere citata. La cifra di 6.000.000 dopo essere stata ripetuta per milioni di volte nei giornali, televisioni e film di Hollywood é diventata ufficiale. Questo nonostante, già alla fine della guerra, si fosse in possesso di statistiche accurate sul numero degli Ebrei prima e dopo la guerra, e dei loro movimenti migratori fuori dall'Europa, verso l'America la Palestina e la Russia. Secondo l'Appendice N°VII, "Statistiche sull'Affiliazione Religiosa", del libro del Senato Americano "A Report of the Committee on the Judiciary of the United States Senate" del 1950, il numero di Ebrei nel mondo in quell'anno era di 15.713.638. La stessa fonte nel 1940 riporta il numero di Ebrei nel mondo a 15.319.359. Se lo studio statistico del governo Americano é corretto la popolazione Ebraica non diminuì durante la guerra, ma subì un piccolo incremento. Se in 3/4 anni i tedeschi avessero fatto sparire 6 milioni di ebrei, si potrebbe concludere che c'è stato un olocausto. Ma da dove proviene la cifra di 6 milioni? Questa cifra ci viene presentata come derivante da studi scientifici. In realtà è stata introdotta per la prima volta al Tribunale di Norimberga, da Höttl, che non aveva veste di testimone, presentata in una sua deposizione scritta, ma non davanti ai giudici. Höttl racconta che Eichmann avrebbe detto d'essere saltato di gioia apprendendo che 6 milioni di ebrei erano stati liquidati. Attenzione: il Tribunale ha rifiutato la deposizione di Höttl! Nel 1983 il ricercatore americano Walter Sanning ha prodotto uno studio statistico - "The dissolution of Eastern European Jewry" (La dissoluzione dell'ebraismo est europeo) - sui trasferimenti delle popolazioni ebraiche dell'Europa Orientale, ove precisa che una parte cospicua è emigrata, durante la guerra e dopo, in Palestina, altri negli USA, in Cina, in Sud America. Ad altri ebrei, fra quelli trasferiti all'est dai tedeschi, i sovietici non consentirono di ritornare all'ovest. In conclusione, afferma Sanning, gli ebrei che avrebbero potuto essere sterminati dai nazionalsocialisti erano 3/400.000. Tutti gli altri ebrei si sa che non sono morti, ma sopravvissuti alla guerra. Di fronte alla serietà dello studio di Sanning, gli storici ebrei sono costretti ad ammettere che non c'è stato sterminio, ma che vi sono comunque stati massacri qua e là. Gli storici ebrei sanno che 6 milioni di morti è una cifra, in quel contesto, impossibile (ciò è quanto sono costretti ad ammettere nelle loro pubblicazioni che hanno diffusione ristretta, mentre al grande pubblico le lobbies giornalistiche e televisive seguitano a propinare la leggenda dei 6 milioni). Non mancano oltretutto testimonianze di fonte ebraica che contraddicono la tesi ufficiale sull'argomento. Per esempio, 1938: L'Annuario Mondiale ("World Almanac") censisce 15.688.259 ebrei, in tutto il mondo. Questo dato è fornito al "World Almanac" dall' "American Jewish Committee" (Comitato Ebreo Americano) e, altresì, dal "Jewish Statistical Bureau of the Synagogues of America 1948: Secondo un articolo apparso nel "New York Times" del 22 febbraio 1948, firmato dal Mr. Hanson W. Baldwin, esperto di questioni demografiche del giornale, gli ebrei esistenti in tutto il mondo sono valutati tra i 15.600.000 e i 18.700.000. Va detto che oltretutto il direttore e proprietario del giornale è l'ebreo Arthur Sulzberger, noto come sostenitore incondizionato del Sionismo. Accogliendo dunque la valutazione superiore di Mr. Baldwin, cioè di 18.700.000 ebrei, risulterebbe che, nei dieci anni intercorsi dal 1938 al 1948 - periodo che include gli anni del conflitto 1939-1945 e durante i quali si pretende che Hitler abbia fatto ammazzare sei milioni di ebrei, la popolazione mondiale ebraica sarebbe nondimeno aumentata di oltre tre milioni di unità. Ma se, agli effetti della comparazione, ammettiamo per vero l'ipotetico sterminio hitleriano di sei milioni di ebrei, ci troviamo a concludere che l'incremento demografico reale dovrebbe essere di oltre nove milioni di unità. Giacché l'incremento di tre milioni è solo apparente: occorrono altri sei milioni di sterminati, ergo l'incremento reale è (sarebbe ...) di nove milioni... E questo incremento ad opera dei nove milioni di superstiti, dato che sei milioni, dei 15 milioni da cui abbiamo preso le mosse, sono mancanti all'appello... Allora è giocoforza ammettere che in quei dieci anni la popolazione ebraica sia semplicemente... raddoppiata! Affermazione un po’ forte perché in tale popolazione vanno comprese classi d’età differenti con solo una frazione atta alla procreazione. Senza contare il fatto che il periodo di guerra e persecuzione avrebbe limitato la natalità. Nulla di sorprendente allora che lo stesso ebreo Allen Lesser si trovasse costretto a concedere, in un articolo dal titolo "Isteria antidiffamatoria", apparso nell'edizione primaverile del 1946 della rivista "Menorah Journal", che "secondo quanto divulgato, durante gli anni dell'immediato dopoguerra, dalle agenzie di stampa giudaiche, il numero di ebrei morti in Europa supera di svariati milioni quello di cui i nazisti non sospettarono mai l'esistenza".

(10) "The Forrestal Diaries" (edited by Walter Millis), New York, Viking, 1951. I Diarî furono pubblicati postumi, essendo stato il Segretario di Stato alla Difesa James V. Forrestal suicidato da due agenti del Mossad il 22 maggio 1949 per la posizione assunta durante la guerra del 1948 tra Israele e Egitto, Siria, Libano, Irak e Giordania. (11) René Dubail, "Une expérience d’économie dirigée: l’Allemagne Nationale Socialiste" (L’Ordinamento Economico Nazionalsocialista), Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1991.
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