martedì 29 ottobre 2013

Aldo Moro Signoraggio Bancario e le strane coincidenze


Aldo Moro Signoraggio Bancario
Cosa accomuna diversi politici che si sono battuti per la Sovranità Monetaria?
In questo articolo analizzeremo le inquietanti coincidenze relative in particolar modo a tre esponenti politici che, poco dopo aver promosso leggi a favore della sovranità monetariadei rispettivi Paesi, hanno poi fatto un brutta fine. Stiamo parlando di Abraham Lincoln, John Fitzgerald Kennedy e Aldo Moro.
Il problema di fondo è quello dell’emissione sovrana di moneta, ben noto per chi si occupa di Signoraggio Bancario. Abbiamo in parte toccato questo tema i due precedenti articoli:Signoraggio Bancario: perché il debito è inestinguibile? e Auriti, il valore indotto e la proprietà della moneta.
Le banche centrali di moltissimi Paesi, spacciate come istituti pubblici, ma in realtà Società per Azioni private possedute generalmente da famiglie di banchieri senza scrupoli, hanno da sempre utilizzato qualsiasi mezzo per occultare la loro vera natura e nascondere l’inganno agli occhi della popolazione.
Cerchiamo di riassumere brevemente i fatti.
Il presidente Lincoln nel 1862, ebbe un incontro privato con un amico di vecchia data, il colonnello Edmund Dick Taylor che suggerì di stampare biglietti di Stato a corso legale per fronteggiare le spese della Guerra Civile Americana scoppiata l’anno precedente. Questa idea scaturì anche a causa degli interessi usurai (dal 24 al 36 per cento) pretesi dai banchieri internazionali nell’eventualità di un prestito all’Unione. Lincoln ovviamente non accettò le condizioni poiché non voleva trascinare il proprio Paese nel baratro del debito. Così, nonostante forti opposizioni, il 25 febbraio 1862 firmò il First Legal Tender Act che autorizzava l’emissione dei biglietti di Stato, conosciuti in seguito comegreenbacks, nome derivato dall’uso di inchiostri verdi per distinguerli dalle altre banconote.
Il 14 aprile 1865, durante uno spettacolo teatrale al Ford’s Theatre, John Wilkes Booth (attore che aveva più volte recitato proprio in quello stesso teatro) spara un colpo alla testa del presidente Lincoln. I lati oscuri della vicenda resteranno numerosi: l’assenza della guardia del corpo del presidente, impegnata a bersi qualche drink ed il mistero del killer, ufficialmente scovato e ucciso una decina di giorni dopo, anche se nel corso degli anni molti ricercatori hanno sostenuto che Booth fosse riuscito a scappare.
Facciamo un salto di un secolo.
John Fitzgerald Kennedy, il 4 giugno 1963, firma l’Ordine Esecutivo 11110, un decreto presidenziale che di fatto toglieva alla Federal Reserve Bank (la banca centrale presente negli Stati Uniti) il potere di stampare denaro, restituendolo al Dipartimento del Tesoro, come sancito nella Costituzione americana. Il governo USA tornava in possesso della propria sovranità monetaria grazie ad una legge esplicita che lo autorizzava a «emettere certificati d’argento a fronte di ogni lingotto di argento e dollari d’argento della Tesoreria».
Praticamente gli Stati Uniti si riprendevano il diritto di stampare moneta, collegando l’emissione di banconote alle riserve d’argento della Tesoreria, senza la necessità di chiedere prestiti ad interessi alla Federal Reserve: biglietti a corso legale sgravati dal debito all’atto di emissione. L’unica differenza visibile sulle nuove banconote rispetto alle precedenti era la dicitura: quelle successive all’ordine esecutivo di Kennedy riportavano “Biglietto degli Stati Uniti” (United States Note), le altre “Biglietto della Federal Reserve” (Federal Reserve Note).
Guarda caso pochi mesi dopo, il 22 novembre 1963, il presidente Kennedy verrà ucciso a Dallas. Dopo più di quarant’anni i punti oscuri di questo omicidio rimangono senza una plausibile e convincente spiegazione ufficiale. Al contrario, risultano ormai palesi le incongruenze, i depistaggi e le manomissioni relative alla vicenda. Come in altri casi anologhi, i poteri forti hanno manovrato nell’ombra per far passare l’idea che il tutto fosse riconducibile ad un mitomane, un povero pazzo isolato che aveva agito da solo (in questo caso Lee Harvey Oswald). Questo perché, per definizione, un’eventuale azione premeditata da più persone costituirebbe un complotto. Il che starebbe a significare l’esistenza distrategie occulte che meriterebbero un’attenzione profonda da parte del pubblico. Ed è ovvio che i criminali complottisti abbiano tutto l’interesse nel mantenere un basso profilo e non essere scoperti.
Stranamente anche lo squilibrato, l’utile idiota dell’omicidio Kennedy, verrà a sua volta messo a tacere per sempre prima ancora di poter rivelare qualche informazione compromettente, ucciso in pubblico da Jack Leon Ruby (nato Jacob Leon Rubenstein), apparentemente senza un valido movente, appena un paio di giorni dopo l’assassinio del presidente USA. Il bello è che “Sparky” Jack Ruby riuscì ad eliminare lo scomodo testimone davanti alla centrale di polizia di Dallas, proprio mentre Oswald veniva scortato da un gruppo di poliziotti al vicino carcere statale. Inutile dire che pure Ruby morirà poco dopo, ufficialmente per un’embolia polmonare, il 3 gennaio 1967, dopo aver scampato una sentenza di morte dettata dal tribunale il 14 marzo 1964. Sia Oswald che Ruby avevano dichiarato più volte di essere stati incastrati.
Facciamo notare, fra parentesi, che pure la data  della morte di Kennedy presenta una particolare coincidenza: cade esattamente cinquantatré anni dopo l’incontro (all’epoca segreto) tenuto sull’isola di Jekill (Jekill Island) fra un gruppetto di banchieri che stavano sviluppando il progetto che avrebbe portato a costituire proprio la Federal Reserve. Un fatto che potrebbe apparire casuale per chi è a digiuno di esoterismo, rituali e la logica relativa a gruppi massonici e paramassonici. Invitiamo perciò i nostri lettori ad approfondire la questione con studi e ricerche. Prossimamente pubblicheremo una serie di articoli al riguardo.
Veniamo al caso Moro. Negli anni sessanta lo statista della Democrazia Cristiana decise di finanziare la spesa pubblica italiana attraverso l’emissione di cartamoneta di Statosgravata da debiti, in tagli da 500 lire, ossia con un “biglietto di Stato a corso legale”.
Con i DPR 20-06-1966 e 20-10-1967 del presidente Giuseppe Saragat venne regolamentata la prima emissione, la serie “Aretusa” (Legge 31-05-1966), mentre il presidente Giovanni Leone regolarizzò con il DPR 14-02-1974, la serie “Mercurio” (DM 2 aprile 1979), le famose banconote da 500 lire conosciute come “Mercurio alato”.
Già all’epoca la sovranità monetaria dell’Italia era limitata: allo Stato era concesso (chiedetevi, fra l’altro, da chi fosse “elargita” questa concessione) solamente il diritto di conio delle monete attraverso la Zecca, mentre le banconote venivano aquistate dal Fondo Monetario Internazionale. Un po’ come accade oggi, dove ai singoli Paesi europei spetta il diritto di coniare gli euro di metallo ma non le banconote, che vengono emesse dalla Banca Centrale Europea. Per questo quando nel 2002 Giulio Tremonti, all’epoca ministro dell’Economia, propose di sostituire le monete da uno e due euro, Wim Duisenberg, primo governatore della BCE, rispose con un avvertimento: «Spero che Mr. Tremonti si renda conto che se tale banconota dovesse essere introdotta, egli perderebbe il diritto di signoraggio che si accompagna ad essa. Dunque se egli, come ministro dell’Economia, ne sarebbe contento non lo so».  Fra parentesi ci sarebbe anche da indagare sulla strana morte di Duisenberg, avvenuta il 31 luglio 2005, nemmeno due giorni dopo le sentenze di rinvio a giudizio pronunciate a Milano contro le filiali Deutsche Bank, UBS, Morgan Stanley e Citygroup partite dai procuratori che stavano indagando sul crac Parmalat. Ricordiamo che il banchiere olandese era stato eletto primo presidente della Banca Centrale Europea proprio grazie all’appoggio del colosso bancario tedesco. Coincidentemente, nelle stesse ore, precipitava dalla finestra del suo appartamento di New York Arthur Zankel, ex membro del consiglio di Citybank.
Ma forse stiamo divagando troppo, torniamo alle 500 lire cartacee emesse dai governi Moro.
Lo statista, per ovviare ai limiti imposti di cui sopra, utilizzò un brillante stratagemma. Dopo aver autorizzato il conio delle 500 lire di metallo, fece una deroga che permetteva, contemporaneamente, l’emissione della versione cartacea, che poteva in questo modo essere stampata ugualmente dalla Zecca di Stato.
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro venne rapito e ucciso il 9 maggio dello stesso anno. Casualmente, in seguito al tragico avvenimento, l’Italia smise di emettere biglietti di Stato.
Come per gli omici di Lincoln e Kennedy, anche in questo caso i punti oscuri sono numerosissimi.
Uno dei fattori comuni è il ruolo dei servizi segreti. La versione ufficiale che additava la responsabilità alle fantomatiche Brigate Rosse non hai mai convinto le persone minimamente informate sui fatti. La strategia della tensione era chiaramente funzionale alla volontà di destabilizzare l’Italia, obiettivo confermato e dichiarato anche nell’Operazione Chaos e nell’Operazione Condor in America latina (fra i tanti misteri dei Servizi, mai sentito parlare dell’ufficio K?).
Più volte è stata avanzata l’ipotesi dei tre livelli delle BR: base ideologizzata utilizzata come manovalanza, alcuni capicolonna eterodiretti come Mario Moretti ed il centro studi Hyperion di Parigi, una scuola di lingue usata come copertura per uno degli avamposti della CIA in Europa, il corrispettivo francese della Gladio italiana, il tutto parte della rete NATO “Stay Behind”.
I dubbi su Moretti (capo effettivo delle Brigate Rosse durante il sequestro Moro) circa il suo ruolo di infiltrato, spia e doppiogiochista dei servizi segreti sono stati sollevati più volte dagli stessi brigatisti, ad esempio Alberto Franceschini, Renato Curcio, Giorgio Semeria e Valerio Morucci o da personaggi come il senatore Sergio Flamigni, che definì il capo brigatista “la sfinge”. Addirittura vennero fatti degli accertamenti da parte di alcuni esponenti delle BR su questo losco individuo, prima del sequestro dello statista, ma non ne venne fuori nulla e così Moretti rimase ai vertici dell’organizzazione.
È ormai risaputa la presenza del colonnello del Sismi Camillo Guglielmi in via Stresa la mattina dell’agguato e del rapimento di Moro avvenuto in via Fani, a soli duecento metri di distanza. Cosa ci facesse da quelle parti non è mai stato chiarito. E nemmeno un’altra delle miriadi di coincidenze: nello stesso palazzo in via Gradoli 96 dove viveva Moretti al tempo del sequestro c’erano almeno 24 appartamenti intestati a società immobiliari fra i quali amministratori figuravano membri dei servizi segreti. Al secondo piano dello stabile viveva un’informatrice della polizia, mentre al n° 98 della solita via abitava un compaesano di Moretti, agente segreto militare ed ex ufficiale dei carabinieri.
Qualche anno fa nel libro Nous avons tué Aldo Moro di Emmanuel Amara pubblicato da Patrick Robin Editions (uscito in Italia con il titolo Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo trent’anni un protagonista esce dall’ombra edito da Cooper e curato da Nicola Biondo), Steve Pieczenik, assistente del sottosegretario Usa nel 1978, psichiatra, specialista in “gestioni di crisi”, esperto di terrorismo, mandato in missione da Washington su “invito” di Francesco Cossiga durante i cinquantacinque giorni del sequestro, ha rivelato: «Ho messo in atto la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro al fine di stabilizzare la situazione dell’Italia. I brigatisti avrebbero potuto cercare di condizionarmi dicendo “o soddisfate le nostre richieste e lo uccidiamo”. Ma la mia  strategia era “No, non è così che funziona, sono io a decidere che dovete ucciderlo a vostre spese”. Mi aspettavo che si rendessero conto dell’errore che stavano commettendo e che liberassero Moro, mossa che avrebbe fatto fallire il mio piano. Fino alla fine ho avuto paura che liberassero Moro. E questa sarebbe stata una grossa vittoria per loro».
Pieczenik non solo ha ammesso di aver intavolato una falsa trattativa con i brigatisti, ma dice spudoratamente che uno degli obiettivi fu quello di costringere le Brigate Rosse ad uccidere Moro: «La mia ricetta per deviare la decisione delle BR era di gestire un rapporto di forza crescente e di illusione di negoziazione. Per ottenere i nostri risultati avevo preso psicologicamente la gestione di tutti i Comitati (del Viminale n.d.r.) dicendo a tutti che ero l’unico che non aveva tradito Moro per il semplice fatto di non averlo mai conosciuto».
Il colpo di grazia venne inferto quando risultò evidente che Moro fosse ormai disperato e si decise di attuare il piano della Duchessa, un falso comunicato da attribuire alle Brigate Rosse: «I brigatisti non si aspettavano di trovarsi di fronte ad un altro terrorista che li utilizzava e li manipolava psicologicamente con lo scopo di prenderli in trappola. Avrebbero potuto venirne fuori facilmente, ma erano stati ingannati. Ormai non potevano fare altro che uccidere Moro. Questo il grande dramma di questa storia. Avrebbero potuto sfuggire alla trappola, e speravo che non se ne rendessero conto, liberando Aldo Moro. Se lo avessero liberato avrebbero vinto, Moro si sarebbe salvato, Andreotti sarebbe stato neutralizzato e i comunisti avrebbero potuto concludere un accordo politico con i democristiani. Uno scenario che avrebbe soddisfatto quasi tutti. Era una trappola modestissima, che sarebbe fallita nel momento stesso in cui avessero liberato Moro».
Secondo le parole di Pieczenik Cossiga era d’accordo con praticamente la maggior parte delle scelte proposte: «Moro, in quel momento, era disperato e avrebbe sicuramente fatto delle rivelazioni piuttosto importanti ai suoi carcerieri su uomini politici come Andreotti. È in quell’istante preciso che io e Cossiga ci siamo detti che bisognava cominciare a far scattare la trappola tesa alle BR. Abbandonare Moro e fare in modo che morisse con le sue rivelazioni. Per giunta i carabinieri e i servizi di sicurezza non lo trovavano o non volevano trovarlo».
Gli obiettivi raggiunti con questa strategia furono molteplici: venne eliminato Moro, le BR furono messe a tacere e fu possibile entrare in possesso del vero memoriale e delle registrazioni dell’interrogatorio dello statista italiano. Quello dell’esponente della Democrazia Cristiana è stato un sacrificio umano, come dichiarato apertamente da Pieczenik: «Mai l’espressione “ragion di Stato” ha avuto più senso come durante il rapimento di Aldo Moro in Italia». E come ogni rituale, la scena del delitto era carica disimbologia esoterica, evidente soprattutto per gli iniziati. Il discorso merita un articolo a parte, che verrà pubblicato prossimamente. La cosa meno esoterica fu la seduta spiritica alla quale partecipò Romano Prodi, dove venne fuori la parola “Gradoli”, il nome della via in cui era situato il covo dei sequestratori di Moro. Quella stessa via nella quale erano presenti immobili di proprietà dei servizi segreti. Ovviamente la seduta spiritica fu un escamotage per tenere sotto copertura la fonte della soffiata che comunque venne deliberatamente ignorata. Venne sviata l’attenzione su Gradoli in provincia di Viterbo, arrivando addirittura ad affermare che non esistesse nessuna via a Roma con quel nome.
Va anche tenuto presente che all’epoca del sequestro i massimi dirigenti dei Servizi erano appartenenti alla Loggia P2. Senza considerare che alcuni anni prima, durante la visita negli Stati Uniti dello statista italiano nel settembre 1974, Henry Kissinger lo minacciò pesantemente, come riferito dal portavoce di Moro, Corrado Guerzoni, davanti ai giudici. Per non parlare della testimonianza della moglie dell’esponente della DC, che dichiarò alla commissione parlamentare a proposito delle evidenti minacce fatte al marito da parte della delegazione americana: «Lei deve smettere di perseguire il suo piano politico di portare tutte le forze del suo paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei la pagherà cara, veda lei come la vuole intendere».
Un’altra delle numerose coincidenze fu la morte di Pier Paolo Pasolini che, guarda caso, aveva espresso pubblicamente le sue perplessità, avanzando ipotesi e connessioni tra “stragi di Stato”, poteri forti, servizi segreti internazionali, politici, petrolieri e banchieri. Già nel 1975 aveva fatto notare che la “Strategia della Tensione” era cominciata il 12 dicembre 1969 proprio con l’attacco alle sedi di tre banche: la Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, la Banca Commerciale Italiana, anch’essa a Milano (dove per fortuna la bomba rimase inesplosa) e la Banca Nazionale del Lavoro in via Veneto a Roma.
La Banca Nazionale dell’Agricoltura, che aveva comiciato ad emettere le 500 lire cartacee poco prima di questi tragici eventi, casualmente interruppe l’emissione dei biglietti di Stato a corso legale dopo gli attentati.
Guardatevi il video della relazione di Marco Saba sul tema di Signoraggio Bancario e stragi di Stato. Sentite cosa dice a proposito dei libri Il bilancio dello Stato – Un istituto in trasformazione – Franco Angeli / La finanza pubblica (1977) di Giuliano Passalacqua e delLibro bianco del Ministero del Tesoro (1969): «A proposito dei buoni ordinari del tesoro, il grado di liquidità dei BOT può essere uguale a quello della base monetaria se la Banca d’Italia li acquista senza limiti ad un prezzo uguale a quello di emissione». In poche parole la Banca d’Italia (quando era un po’ più statale di ora) poteva comprare illimitatamente BOT alla pari, senza dover pagare interessi; praticamente come se lo Stato italiano si fosse stampato la propria moneta. Come riferisce Marco Saba, la cosa importante da notare è che questa era la pratica che effettivamente esisteva in Italia fino al 1969, anno della strage di piazza Fontana e delle bombe nelle banche. Senza considerare il discorso sui residui passivi.
Altro tema interessante è quello sulle guerre, le quali hanno quasi sempre a che vedere con il ricatto ed il potere bancario nei confronti dei Paesi che hanno le banche nazionalizzate ed una gestione della moneta a livello statale. Saba pone l’esempio della rivoluzione iraniana che cominciò quando Khomeini fece due leggi contro l’usura e nazionalizzò le banche.
Chissà perché chi si occupa di denunciare e contrastare le attività criminose di banchieri senza scrupoli generalmente non fa una bella fine. Per esempio Federico Caffè, scomparso alle prime luci dell’alba dalla sua casa a Roma, dove viveva con il fratello Alfonso, il 15 aprile nel 1987 (coincidentemente lo stesso giorno della morte del presidente Abraham Lincoln). Un paio di anni prima, il 27 marzo 1985, il suo allievo Ezio Tarantelli venne ucciso nel parcheggio dell’Università La Sapienza, attentato poi rivendicato dalle fantomatiche Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.
Sia ben inteso, sono tutte coincidenze.

Quei mafiosi sconosciuti

Al Capone

di: Claudio Antonelli

Dona De Sanctis, Ph.D, del consiglio direttivo dell’“Order Sons of Italy in America” (OSIA) consacra una breve ma rigorosa analisi “The truth about organized crime” alla manipolazione mediatica che riduce tutto il crimine organizzato alla mafia e crea l’errata percezione che gli italiani forniscano un contributo massiccio al crimine. Alla base di tutto, ci spiega la studiosa, vi è la teoria criminologica della “cospirazione straniera” (“The alien conspiracy”). Secondo tale teoria,  il crimine organizzato iniziò in Sicilia negli anni 1860’ e si estese all’America con la “Grande Migrazione” che vide, tra il 1880 e il 1923, circa 5 milioni di italiani stabilirsi nel Nuovo Mondo. L’equazione “Crimine organizzato uguale Mafia”, sostiene Dona De Sanctis, acquistò ulteriore credibilità nel 1950 con le udienze del “Kefauver Committee”, che vennero diffuse in TV. “Nonostante la mancanza di prove dirette, il “Kefauver Committee” concluse che una cospirazione internazionale in provenienza dalla Sicilia, chiamata ‘Mafia’, era l’unica responsabile del crimine organizzato negli Stati Uniti.” Da allora si è fatta largo anche la credenza che il territorio degli Stati Uniti sia diviso in feudi posti sotto il controllo delle “famiglie” della Mafia.  In realtà, la criminalità organizzata esisteva ben prima dell’arrivo degli italiani. Inoltre, essa non è appannaggio esclusivo di italo-americani, come dimostrano anche Michael Lyman and Gary Potter in "Organized Crime". Benché le conclusioni del “Kefauver Committee” siano da tempo discreditate,  i mass media e l’industria dell’intrattenimento continuano a sfruttare il filone Mafia, questa organizzazione che affascina enormemente gli americani. Anche l’FBI  trova utile il poter mostrare che combatte un nemico temibile che è sulla bocca di tutti.  Dona De Sanctis non nega l’esistenza della mafia italiana. Condanna però l’esagerazione mediatica che fa sì che l’opinione pubblica americana attribuisca ai  26 milioni di americani di origine italiana  un ruolo soprattutto di delinquenti. Noi sappiamo invece che tutti i gruppi etnici forniscono un contributo al crimine organizzato. Immigrati irlandesi, polacchi, russi ed ebrei, e non solo italiani, sono stati a capo di organizzazioni criminali. Ma i  mass media ribadiscono i loro clichés a danno esclusivo degli italiani. L’industria americana dell’intrattenimento addirittura prospera sulla mafia. “Il risultato di questa semplificazione eccessiva  è che il nome di Al Capone è oggi familiare così come lo era 58 anni fa, quando morì, nel 1947, mentre quasi nessuno ha mai udito parlare dei contemporanei di Capone: Arnold Rothstein, che molti considerano il vero padre del crimine organizzato; Charles ‘King’ Solomon, che regnò a Boston, o Morris Kleinmann, che capitanò la malavita di Cleveland.”  Proprio così, nessuno li conosce. Evidentemente Hollywood non ha creduto opportuno renderli celebri. Dona De Sanctis continua: “Gli adolescenti conoscono i nomi di Lucky Luciano, Carlo Gambino e Vito Genovese, ma chiedete loro chi erano Meyer Lansky, “Legs” Diamond, “Bugsy” Moran or Dutch Schultz, e non avrete risposta. Grazie ad Hollywood e alla televisione, i giovani conoscono tutto sui fittizi rituali della Mafia, ma niente sulla maniera di operare di quel braccio armato del crimine organizzato che fu “Murder, Inc.”, fondato da Lansky e dal suo amico Bugsy Siegel, e costituito di assassini professionisti che si spostavano attraverso il paese e uccidevano dei completi sconosciuti, dietro gli ordini dei boss del crimine, dagli anni 1920’ alla fine degli anni 1940’.” “Con scoraggiante regolarità” invece,  giornali come il  New York Times ci  presentano  in prima pagina  servizi  su come trascorrono la  vecchiaia i mafiosi italo-americani, e  “la televisione presenta retrospettive su  John Gotti o Joe Adonis—specialmente il giorno in cui si festeggia Cristoforo Colombo.” Dona De Sanctis ha cercato d’infrangere un dogma, un tabù – quello dell’angelismo di un gruppo considerato “al di sopra di ogni sospetto” e che è oggetto di continue beatificazioni da parte dei mass media nordamericani – mostrando che anch’esso ha dato un apporto sostanzioso al crimine organizzato. Ma il suo sforzo è destinato all’insuccesso, perché il tabù è troppo forte. - 

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=22569

Il lascito di Rudolf Hess


di: Mark Weber

La sera del 10 Maggio 1941, il Vice-Fuehrer del Terzo Reich intraprese una missione segreta che sarebbe stata l’ultima e la più importante. Con la protezione del buio, Rudolf Hess decollò su un caccia-bombardiere Messerschmidt 110 disarmato da un campo di volo di Augsburg e puntò verso il Mare del Nord in direzione della Gran Bretagna. Il suo piano era di negoziare la pace fra la Germania e l’Inghilterra.
Quattro ore più tardi, dopo aver eluso con successo il fuoco antiaereo inglese e uno Spitfire che lo inseguiva, Hess si paracadutò, per la prima volta nella sua vita, slogandosi una caviglia atterrando in un campo scozzese. Un contadino attonito trovò il pilota ferito e lo consegnò alla locale unità di Milizia Territoriale. (1)
Winston Churchill rifiutò prontamente l’offerta di pace di Hess e lo fece rinchiudere come prigioniero di guerra, nonostante egli fosse arrivato disarmato e di sua spontanea volontà. Rudolf Hess, ambasciatore di pace, sarebbe rimasto un prigioniero fino alla sua morte, nell’Agosto del 1987, all’età di 93 anni.
Per molti la morte di quello che fu il Vice-Fuehrer e l’ultimo sopravissuto della cerchia interna di Hitler, rappresentava semplicemente un lieto fine di un’epoca terribile. Ma il suo vero lascito è qualcosa di ben diverso. Trascorse 46 anni, la metà dei suoi anni, dietro le sbarre, una vittima di una crudele giustizia del vincitore. Più di ogni altro uomo, Rudolf Hess simbolizza il carattere vendicativo e l’ipocrisia del Tribunale di Norimberga. 
LA MISSIONE
Hess fu profondamente scosso dalla dichiarazione di guerra britannica contro la Germania nel Settembre 1939. Con l’approvazione di Hitler, iniziò alcuni mesi più tardi ad impegnarsi segretamente per negoziare un accordo di pace fra le due “fraterne nazioni germaniche”, tramite funzionari britannici in Portogallo e in Svizzera, entrambi neutrali. (2) Quando il tentativo fallì, Hess iniziò i preparativi del suo volo in Gran Bretagna, una iniziativa indiscutibilmente sincera, se non forse un po’ naif, di mettere fine alla guerra fra la sua amata patria ed una nazione che ammirava molto.
“ Il modo in cui sono arrivato in Inghilterra, mi rendo conto, è così insolito che nessuno potrà capire facilmente “, così disse Hess a funzionari britannici alcune settimane dopo il volo. “ Ho dovuto prendere una decisione difficile. Non penso che sarei riuscito a prendere la mia decisione finale (cioè volare in Gran Bretagna)  se non avessi avuto continuamente davanti ai miei occhi la visione di una interminabile fila di bare di bambini, sia inglesi che tedeschi, e dietro le loro madri in lacrime ed un’altra fila di bare di madri con dietro i loro figli in lutto “ (3)
Sebbene c’erano poche possibilità che la missione di Hess potesse aver successo, alcuni aspetti all’indomani del suo volo restano oscuri. Il governo inglese ebbe la brillante iniziativa di sigillare dozzine di documenti riguardanti Hess e di renderli pubblici solo nel 2017. Sefton Delmer. Il responsabile dell’epoca delle trasmissioni propagandistiche inglesi verso la Germania affermò che il governo inglese poteva avere delle buoni ragioni su questa segretezza. (4)
All’epoca Churchill non rese pubblico niente al riguardo di Hess, tutto passò sotto silenzio. In Inghilterra c’era un partito importante che era per la pace e Churchill probabilmente temeva che questo partito lo avrebbe deposto dalla sua poltrona ministeriale perché non aveva aderito alle proposte di pace di Hess.
LA GIUSTIZIA DEL VINCITORE
Alla fine della guerra, Hess fu portato a Norimberga per essere processato, assieme ad altri dirigenti tedeschi, dagli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l’Unione Sovietica e la Francia come uno dei “principali criminali di guerra”.
Sebbene Hess era stato trattato forse più ingiustamente di qualunque altro al processo di Norimberga, il Tribunale stesso era di dubbia reputazione legale e morale. Molti uomini di spicco in America e in Europa evidenziavano che il processo violava due principi cardinali:
Primo: era un processo dei vincitori contro i vinti. I primi erano legislatori, pubblica accusa, giudici, presunte vittime e, in parte, complici (come nel caso dei sovietici nella divisione della Polonia).
Secondo: le accuse furono inventate per l’occasione, come fu chiarito dopo il fatto (“ex post facto”)
Il Giudice Capo della Corte Suprema americana Harlan Fiske Stone definì i processi una truffa e scrisse: “ Il Procuratore Capo americano Jackson è fuori a partecipare alla festa di linciaggio di alto livello a Norimberga”. “ Non mi importa quello che fa ai nazisti, ma odio vederlo a capo di un tribunale e di un’azione giudiziaria secondo la legge non scritta. Questa è una truffa un po’ troppo ipocrita secondo le mie vecchie idee “ (5).
William O. Douglas Ausiliare della Suprema Corte di Giustizia lanciò l’accusa che gli Alleati erano colpevoli di “ sostituire il potere col principio “ a Norimberga. (6)  In seguito scrisse anche: “ Pensavo allora e penso ancora oggi che i processi di Norimberga fossero senza alcun principio. La legge fu creata ex post facto per conformarla agli entusiasmi e ai clamori dell’epoca “. (7)
La partecipazione sovietica al “Tribunale Militare Internazionale” conferì un alone di  processo-farsa politico. Il Giudice I.T. Nikitchenko, che presiedette la solenne sessione di apertura, era stato un giudice nel famigerato processo-farsa di Mosca a Zinoviev e Kamenev nel 1936. Davanti al Tribunale riunito, Nikitchenko spiegò come si vedevano le cose da parte sovietica: (8)
“Qui ci stiamo occupando dei maggiori criminali di guerra che sono già stati condannati e il cui verdetto è già stato annunciato sia dalle dichiarazioni di Mosca e di Yalta da parte dei capi dei governi Alleati. L’idea generale è quella di comminare rapida e giusta punizione per il crimine “.
Oltre alla dubbia reputazione legale del Tribunale,  questi adottò per  Hess e altri leaders tedeschi dei criteri che mai furono adottati per gli Alleati. In aspro contrasto con i suo discorsi pubblici, il procuratore-capo americano a Norimberga, Robert Jackson, ammise privatamente in una lettera al Presidente Truman che gli Alleati: (9)
“ hanno fatto o stanno facendo alcune di quelle cose per le quali stiamo processando i tedeschi. I francesi stanno violando così tanto la Convenzione di Ginevra nel trattamento dei prigionieri di guerra  tedeschi che il nostro comando si sta riprendendo i prigionieri inviati loro (per i lavori forzati in Francia). Stiamo processando dei saccheggi che stanno mettendo in atto i nostri Alleati. Noi diciamo che la guerra di aggressione è un crimine ed uno dei nostri alleati rivendica la sovranità sugli Stati Baltici senza averne titolo se non quello della conquista “.
Niente rappresenta meglio la perfetta ingiustizia al processo di Norimberga del trattamento della Corte riservato a Rudolf Hess.
Egli si trovava sul banco degli imputati per via del suo altisonante titolo di Vice-Fuehrer. I suoi compiti come sostituto di Hitler erano per lo più formali: inviava il suo messaggio annuale di augurio natalizio alla nazione, dava il benvenuto alle delegazioni di tedeschi etnici dall’estero, partecipava a manifestazioni di beneficenza e presentava il Fuehrer al congresso annuale del partito a Norimberga.
E’ l’immagine di questo Hess estasiato e dai grandi occhi che il mondo ricorda meglio, soprattutto in una sua breve scena tratta dal film del Congresso del 1934 di Leni Riefenstahl “ Il Trionfo della Volontà “.
Conosciuto come “la coscienza del partito”, si è spesso avvalso del suo potere e della sua influenza per intervenire al fianco delle vittime di persecuzioni da parte di estremisti nel Partito Nazionalsocialista. Nel suo approfondito studio: Giustizia a Norimberga, in genere molto critico nei confronti degli imputati tedeschi, lo storico Robert E. Conot definì Hess un uomo “rispettabile e onesto” e “un pacifista nel cuore” (10)
Nel loro atto accusatorio di Norimberga al Vice-Fuehrer, le quattro potenze Alleate, come era prevedibile, lo ritrassero nel modo più sinistro possibile. (11)  “ Hess iniziò le sue attività complottistiche immediatamente dopo la fine della Prima Guerra Mondiale andando a  militare in organizzazioni militariste e nazionalistiche “, così fu l’accusa, la quale andò avanti fino all’assurda affermazione che “ Hess fu uno membri della cospirazione Nazista che professava già nel 1933 il raggiungimento del completo dominio del mondo “. La congiunta accusa Alleata concludeva con le quasi ridicole seguenti parole:
“ Per tutto il periodo fra il 1920 e il 1941, Hess rimase il più fedele e inesorabile esecutori degli obiettivi e dei disegni di Hitler. Questa totale devozione al successo della cospirazione raggiunse l’apice col suo volo in Scozia nel tentativo di mettere fine alla guerra con l’Inghilterra (!) e di ricevere l’appoggio inglese per le richieste tedesche contro la Russia che lui stesso aveva fatto preparare. La partecipazione di Hess nella cospirazione Nazista è grande tanto quanto il Partito che dirigeva. I crimini del Partito sono i suoi “.
In effetti la causa Alleata contro Hess era debole. Il Fuehrer aveva tenuto il suo vice all’oscuro della sua politica estera e delle decisioni militari. A Norimberga fu stabilito con chiarezza che Hess non era presente a nessuna delle riunioni nelle quali Hitler discusse i suoi piani militari. (12)  E, ovviamente, non poteva essere ritenuto responsabile delle azioni tedesche che ebbero luogo dopo il suo volo in Gran Bretagna, incluse quelle effettuate durante la campagna contro l’Unione Sovietica.
Tuttavia, il Tribunale dichiarò Hess colpevole di “crimini contro la pace” (pianificazione  e preparazione della guerra aggressiva) e di “cospirazione” con altri leaders tedeschi per commettere i presunti crimini, ma fu però dichiarato innocente da “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”.
Oggi nessun storico accreditato crede all’accusa di Norimberga contro Hess per “crimini contro la pace”. Quasi tutte le critiche su Hess negli ultimi anni si sono focalizzate invece sulla sua firma apposta alle leggi di Norimberga del 1935 che tolsero agli ebrei tedeschi i loro diritti di cittadini e proibivano il matrimonio e i rapporti sessuali fra ebrei e non-ebrei. Si presume che queste leggi “spianarono la strada” allo sterminio degli ebrei diversi anni dopo. (13)  Qualunque sia il merito di questo argomento, Hess non aveva nulla a che vedere con la stesura e la promulgazione di queste leggi e la sua firma non era altro che una proforma; e anche così, le leggi erano statuti interni che avevano avuto omologhi in varie altre nazioni, inclusi gli Stati Uniti.
A differenza dell’accusato Albert Speer, ministro degli armamenti al tempo di guerra che fece molto di più del Vice-Fuehrer per tenere in funzione la macchina da guerra tedesca ma che fu condannato a soli 20 anni, Hess si rifiutò di ingraziarsi il Tribunale. Egli non espresse alcun rimorso per il suo leale sostegno a Hitler e al regime Nazionalsocialista.
Nella sua dichiarazione finale alla corte il 31 Agosto 1946, dichiarò:
“ Ebbi il privilegio di lavorare per molti anni della mia vita agli ordini del più grande figlio che la mia nazione abbia mai dato alla luce nella sua storia millenaria. Anche se potessi, non vorrei mai cancellare questo periodo dalla mia vita. Sono felice di sapere di aver fatto il mio dovere verso il mio popolo, il mio dovere come Tedesco, come Nazionalsocialista, come servitore del mio Fuehrer. Non mi pento di niente. Non mi importa cosa mi faranno e un giorno sarò davanti al giudizio del Dio Eterno. Io risponderò a Lui e so che Lui mi assolverà “.
Quando arrivò il momento di emettere la sua condanna, i giudici non erano inclini a trattare con indulgenza un accusato così impenitente. Il giudice sovietico e il suo sostituto ritenevano che dovesse essere condannato a morte. I giudici britannici e americani e i sostituti francesi e americani votarono per la condanna all’ergastolo, mentre il giudice francese suggerì una condanna a 20 anni. Il sostituto britannico si astenne. Fu così sentenziato l’ergastolo. (14)
L’eminente storico britannico Prof. A.J.P. Taylor riassunse l’ingiustizia nel caso di Hess con la seguente affermazione del 1969: (15)
“ Hess arrivò in questo paese nel 1941 come ambasciatore di pace. Venne con l’intenzione di ristabilire la pace fra la Gran Bretagna e la Germania: Agì in buona fede. Cadde nelle nostre mani e fu trattato ingiustamente come prigioniero di guerra. Dopo la guerra, avremmo potuto rilasciarlo. Non c’è mai stata alcuna prova di crimini commessi da Hess. Come dimostrano i documenti, egli non partecipò a nessuna delle discussioni segrete nelle quali Hitler spiegava i suoi piani bellici. Era certamente un importante membro del Partito Nazista, ma non era più colpevole di un qualsiasi altro nazista o, se volete, di qualsiasi altro tedesco. Tutti i nazisti, tutti i tedeschi portavano avanti la guerra, ma non per questo dovevano essere tutti condannati. Che Rudolf Hess, l’unico a Norimberga che rischiò la sua vita per la pace, fosse ritenuto responsabile di “crimini contro la pace” fu di certo la perversione di giustizia più ironica del Tribunale “.
SPANDAU
Dal 1947 fino alla sua morte, Hess fu tenuto nella prigione di Spandau a Berlino Ovest, che era gestita dalle quattro potenze Alleate. Le norme stabilivano che “la prigionia dovesse essere in forma di segregazione cellulare” vietando persino ai responsabili della prigione di chiamare Hess con il suo nome. Veniva identificato soltanto con “prigioniero N° 7”.
Le condizioni erano così brutte che il cappellano francese Pastor Casalis protestò alla direzione della prigione nel 1950: “ Possiamo tranquillamente dire che Spandau è diventato un luogo di tortura mentale ad un punto tale da non permettere alla coscienza Cristiana di tacere “ (16)
Per 20 anni Hess ebbe almeno la compagnia limitata di alcuni altri accusati di Norimberga, ma dall’Ottobre 1966 fino alla sua morte, 21 anni più tardi, fu l’unico detenuto nella prigione-fortezza, costruita in origine per 600 prigionieri. Per dirla con le parole del direttore americano di Spandau, Ten. Col. Eugene Bird, Hess fu “l’uomo più solo al mondo”.
Il mantenere questo unico uomo a Spandau costò al governo tedesco-occidentale circa 850.000 Marchi all’anno. Inoltre, ognuna delle quattro potenze Alleate, doveva mettere a disposizione un ufficiale e 37 soldati durante i loro rispettivi turni, nonché un direttore ed una squadra di guardiani per tutto l’anno. Il personale permanente per la manutenzione era composto da 22 persone inclusi cuochi, camerieri e addetti alle pulizie.
Negli ultimi anni della sua vita, Hess era un vecchio debole e fragile, cieco da un occhio, che camminava ricurvo con un bastone. Viveva in un isolamento totale secondo una routine giornaliera severamente predisposta. Durante i rari incontri con sua moglie e suo figlio, non gli era permesso di abbracciarli e nemmeno di toccarli. (17)
Ben prima della sua morte, la prigionia di Hess era diventata uno spettacolo grottesco e assurdo.
Persino Winston Churchill espresse rammarico per come era trattato. Nel 1950 scrisse: (18)
“ Riflettendo sull’intera storia, sono lieto di non essere responsabile per il modo nel quale Hess è stato ed è trattato. Qualunque sia la colpa morale di un tedesco che è stato vicino a Hitler, a mio parere Hess aveva espiato con il suo atto totalmente leale  di pazza generosità. Venne da noi di sua spontanea volontà e, sebbene privo di un autorità, aveva qualcosa che lo rivestiva nella qualità di rappresentante. Era un caso clinico e non criminale e come tale andava trattato “.
In una intervista del 1977, Sir Hartley Shawcross, che fu procuratore capo britannico a Norimberga, definì la prigionia di Hess uno “scandalo”. (19)
L’ingiustizia contro Hess non fu un qualcosa che successe una sola volta e poi finì velocemente. Fu piuttosto uno sbaglio che continuò, giorno dopo giorno, per 46 anni. Rudolf Hess era un prigioniero di pace ed una vittima dell’era della vendetta.
NOTE:
1 – Ilse Hess, Rudolf Hess: Prigioniero di Pace (Torrance, Calif.: IHR, 1982), pag. 31-38, 25-27; Wolf R. Hess, Mio Padre Rudolf Hess (Londra: W.H. Allen, 1986), pag. 17-24; Eugene K. Bird, Prigioniero N° 7: Rudolf Hess (New York: Viking Press, 1974), pag. 184, 200, 209-210.
2 -  W.R. Hess, Mio Padre Rudolf Hess, pag. 50, 66-67; Ilse Hess, Rudolf Hess: Prigioniero di Pace, pag. 15, 24
3 – Dichiarazione di Hess a Sir John Simon, 10 Giugno 1941. Citato in: Ilse Hess, Rudolf Hess: Prigioniero di Pace, pag. 14
4 – Citato in: W.R. Hess, Mio Padre Rudolf Hess, pag. 391-392
5 – Alpheus T. Mason, Harlan Fiske Stone: Il Pilastro della Legge (New York: Viking, 1956), pag. 716
6 – William O. Douglas, An Almanac of Liberty (1954), pag. 96. Citato in: William J. Bosch, Giudizio su Norimberga (Chapel Hill, NC: Università del Nord Carolina, 1970) pag. 132-133
7 – Citato in: H.K. Thompson, Jr. e Henry Strutz ediz., Doenitz a Norimberga: una Rivalutazione, (Torrance, Calif.: 1983), pag. 196
8 – Rapporto di Robert Jackson, Rappresentante degli Stati Uniti alla Conferenza Internazionale sui Processi Militari, Londra, 1945 (Washington, DC: Dipartimento di Stato Americano, 1949), pag. 104-106, 303; Whitney R. Harris, Tirannia alla Sbarra: la Prova a Norimberga (Dallas: S.M.U. Press, 1954), pag. 16-17
9 – Lettera di Jackson a Truman, 12 Ottobre 1945. Citato in: Robert E. Conot, Giustizia a Norimberga (New York: Harper & Row, 1983), pag. 68
10 – R. Conot, Giustizia a Norimberga (New York: Harper & Row, 1983) pag. 44
11 – Ufficio dell’Avvocatura Americana per la Denunzia dei Crimini dell’Asse, della Cospirazione e dell’Aggressione Nazista (11 volumi), Washington, DC: Governo Americano, 1946-1948 (La “Serie Rossa”), Volume 2, pag. 466, 469, 477-478
12 – R. Conot, Giustizia a Norimberga, pag. 347-348, 501; W.R. Hess, Mio Padre Rudolf Hess, pag. 229
13 – Vedi, ad esempio: “Rudolf Hess”, Washington Post (editoriale), 19 Agosto 1987; lettera di Marvin Hier e Abraham Cooper, The New York Times, 1° Maggio 1984
14 – R. Conot, Giustizia a Norimberga, pag. 487; W.R. Hess, Mio Padre Rudolf Hess, pag. 235-236
15 – Sunday Express, Londra, 27 Aprile 1969. Citato in: W.R. Hess, Mio Padre Rudolf Hess, pag. 392-393
16 – W.R. Hess, Mio Padre Rudolf Hess, pag. 265-266
17 – Eugene K. Bird, Prigioniero N° 7: Rudolf Hess, pag. 152 e in vari luoghi del testo.
18 – Winston S. Churchill, La Grande Alleanza (Boston: Houghton Mifflin, 1950), pag. 55
19 – Intervista di Bild am Sonntag, 10 Aprile 1977. Citato in: Wolf. R. Hess, Mio Padre Rudolf Hess, pag. 402.
Fonte:  The Journal of Historical Review, Gennaio-Febbraio 1993 (Vol. 13, N° 1), pag. 20-23
Tratto da: Institute for Historical Review (http://www.ihr.org/jhr/v13/v13n1p20_Weber.html)
Traduzione a cura di: Gian Franco SPOTTI

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=22568

lunedì 28 ottobre 2013

Mussolini come vedeva nel 1919 il comunismo



Mussolini e la finanza internazionale

'Il Popolo d'Italia' del 4 giugno 1919

I COMPLICI

I proletari evoluti e coscienti che gridano “Viva Lenin !” credendo di gridare “Viva il socialismo “ , non sanno certamente ch'essi gridano  “Abbasso il socialismo ! “ I falsi pastori che “mangiano e bevono” alle spalle delle masse sempre pronte a giurare, se non a morire, per gli ideali nuovi e lontani, danno ad intendere che quel che si é instaurato in Russia é socialismo. Colossale menzogna ! 
In Russia si é stabilito il governo di una frazione del Partito socialista. 
In Russia i proletari lavorano come prima; sono sfruttati come prima perché devono mantenere una burocrazia innumerevole e succhiona, secondo la testimonianza non sospetta del capitano Sadoul; sono mitragliati come prima non appena osino insorgere contro il regime che li condanna alla schiavitù e alla fame; invece di uno czar ce ne sono, oggi, due, ma le forme e i metodi dell'autocrazia non sono affatto cambiati. 
Si capisce perfettamente che alcuni scrittori venuti dagli ambienti borghesi, abbiano delle simpatie per il bolscevismo. 
C'é in Russia uno Stato, un Governo, un ordine, una burocrazia, una polizia, un militarismo, delle gerarchie. Ma il socialismo non c'é. 
Non c'é nemmeno il cominciamento del socialismo, non c'é niente che somigli ad un regime socialista. 
Il leninismo é la negazione perfetta del socialismo. 
E' il governo di una nuova casta di politicanti. 
Gli é per questo che é assai difficile trovare degli apologisti del leninismo fra le teste pensanti del socialismo russo e del socialismo occidentale. 
Le più stroncanti requisitorie contro il leninismo non sono venute dai borghesi, ma da uomini che avevano lottato e sofferto per la redenzione della massa operaia. 
Questi uomini si chiamano Piekanoff, il maestro dei marxisti russi; si chiamano Kropotkin, l'apostolo dell'anarchia. La demolizione dei metodi di governo leninista non é opera del 'Times', ma di un Axelrod, chiamato il decano dei socialisti russi; di un Souckhomline, collaboratore per lungo tempo dell' 'Avanti'. 
Il manifesto del Partito operaio russo e dei socialisti menscevichi, non sono stati stampati dal 'Corriere della Sera', ma da 'Critica Sociale'. 
Non sono state inventate da noi 'rinnegati' - che in questo caso ( é strano ma vero! ) difendiamo il socialismo!.- le pagine di Bernstein, di Kautsky, di Eisner, di Troelstra, di Branting e di infiniti altri socialisti, che si sono schierati contro la “caricatura del socialismo realizzatasi tra Pietrogrado e Mosca”. 
Non siamo noi, ma un dott. Totomianz, veterano della cooperazione russa che nell'ultimo numero della 'Critica Sociale' di FilippoTurati , stampa queste parole eloquentissime: 'I bolscevichi hanno creato, in fin dei conti, non già una vera democrazia bensì la denominazione della plebaglia, una oclocrazia che non si arresta davanti a nessun mezzo terroristico in una guerra di sterminio contro la borghesia e gli intellettuali.'
Infinite volte, e specialmente dopo il congresso di Berna, noi abbiamo prodotto documenti inconfutabili della vera natura del regime russo. Chi non ricorda la lettera di Alexeyev e quella della vedova di Plekanoff ?
Noi riaffermiamo che il leninismo non ha niente di comune col socialismo, eppure i socialisti ufficiali italiani, con clamori minacciosi, chiamano al soccorso per salvare la Russia. Ma la Russia non ha bisogno di essere salvata, perché non corre pericolo alcuno. 
Chi sostiene il bolscevismo - ficcatevelo bene in testa, miei cari proletari ! - non é la forza del popolo russo che subisce, dopo aver cercato di spezzarlo, quel regime di barbarie contro il quale sono più volte insorti e anarchici e socialisti rivoluzionari, con tentativi soffocati spietatamente nel sangue; chi sostiene il bolscevismo non é il famoso esercito rosso che esiste nelle carte di Trotzky, non nella realtà. Il giornale 'Humanité' del 30 maggio, reca la testimonianza imparziale del signor Paolo Birukoff, il quale, a proposito dell'esercito rosso, in cotal nonché significativa guisa si esprime:  'Il popolo russo, così pacifico, detesta la guerra oggi, come ieri, come sempre. Oppone una resistenza accanita al reclutamento. '

Altro che entusiastica risposta agli ordini di mobilitazione, secondo ci narravano gli imbonitori dei crani proletari d'Italia. 

Il signor Birukoff  dice qualche cosa di ancora più interessante: ' Ci sono tanti disertori nell'armata rossa, quanti ce ne erano  nell'esercito dello zar. Accade che un reggimento non arriva alla tappa designata perché tutti gli uomini si sono sbandati strada facendo.....'
Ed é questo esercito di sbandati che ferma Mannerheim e Kolcak ? Mai più. 
Se Pietrogrado non cade, se Denikin segna il passo, gli che é così vogliono i grandi banchieri ebraici di Londra e di New York, legati da vincoli di razza cogli ebrei che a Mosca come a Budapest, si prendono una rivincita contro la razza ariana che li ha condannati alla dispersione per  tanti secoli, In Russia l'80 per cento dei dirigenti dei 'Soviets' sono ebrei, a Budapest su 22 commissari del popolo ben 17 sono ebrei. Il bolscevismo non sarebbe, per avventura, la vendetta dell'ebraismo contro il cristianesimo ? L'argomento si presta alla meditazione. E' possibile che il bolscevismo affoghi nel sangue di un 'progrom' di proporzioni catastrofiche. La finanza mondiale é in mano degli ebrei. Chi possiede le  casseforti dei popoli, dirige la loro politica. 
Dietro ai fantocci di Parigi, sono i Rotschild, i Warnberg, gli Schyff, i Guggheim, i quali hanno lo stesso sangue dei dominatori di Pietrogrado e di Budapest. 
La razza non tradisce la razza. 
Cristo ha tradito l'ebraismo, ma, opinava Nietzsche in una pagina meravigliosa di previsioni, per meglio servire l'ebraismo rovesciando la tavole dei valori tradizionali della civiltà elleno-latina. 
Il bolscevismo é difeso dalla plutocrazia internazionale.
Questa é la verità sostanziale. 
La plutocrazia internazionale dominata e controllata dagli ebrei, ha un interesse supremo a che tutta la vita russa acceleri sino al parossismo il suo processo di disintegrazione molecolare.
Una Russia paralizzata, disorganizzata, affamata, sarà domani il campo dove la borghesia, si, la borghesia o signori proletari, celebrerà la sua spettacolosa cuccagna. 
I re dell'oro pensano che il bolscevismo deve vivere ancora, per meglio preparare il terreno alla nuova attività del capitalismo. Il capitalismo americano ha già ottenuto in Russia una concessione grandiosa. 
Ma ci sono ancora miniere, sorgenti, terre, officine che attendono di essere sfruttate dal capitalismo internazionale.
Non si salta, specialmente in Russia, questa tappa fatale nella storia umana. 
E' inutile, assolutamente inutile, che i proletari evoluti ed anche coscienti, si scaldino la testa per difendere la Russia dei Soviets. 
Il  destino del leninismo non dipende dai proletari di Russia o di Francia e meno ancora da quelli d'Italia. 
Il leninismo vivrà finché lo vorranno i re della finanza; morirà quando decideranno di farlo morire i medesimi re della finanza. 
Gli eserciti antibolscevichi che di quando in quando sono colpiti da misteriose paralisi, saranno semplicemente travolgenti ad un momento dato che sarà scelto dai re della finanza. Gli ebrei dei Soviets  precedono gli ebrei delle banche. 
La sorte di Pietrogrado non si gioca nelle steppe gelide della Finlandia; ma nelle banche di Londra, di New  York e di Tokio. Dire che la borghesia internazionale vuole oggi assassinare il regime dei Soviets é dire una grossa menzogna. 
Se, domani,  la borghesia plutocratica si decidesse a questo assassinio, non incontrerebbe difficoltà di sorta poiché i suoi 'complici', i leninisti, siedono già e lavorano per lei al Kremlino.


MUSSOLINI


domenica 27 ottobre 2013

COME TI FALSIFICO LA STORIA!


22-7-1944
QUESTA LAPIDE RICORDA NEI SECOLI
IL GELIDO ECCIDIO PERPETRATO DAI TEDESCHI
IL 22 LUGLIO 1944
DI SESSANTA VITTIME, INERMI, VECCHI, INNOCENTI
PERFIDAMENTE SOLLECITATI A RIPARARE NELLA CATTEDRALE
PER RENDERE PIÙ RAPIDO E PIÙ SUPERBO IL MISFATTO.
NON NECESSITÀ DI GUERRA, MA PURA FEROCIA
PROPRIA DI UN ESERCITO IMPOTENTE ALLA VITTORIA
PERCHÈ NEMICO DI OGNI LIBERTÀ, SPINSE GLI ASSASSINI
A LANCIARE MICIDIALE GRANATA NEL TEMPIO MAGGIORE.
ITALIANI CHE LEGGETE, PERDONATE MA NON DIMENTICATE !
RICORDATE CHE SOLO NELLA PACE E NEL LAVORO
È L’ETERNA CIVILTÀ . IL COMUNE NEL X° ANNIVERSARIO
                                                                                                                                                 

(lapide che ricorda un bombardamento americano, attribuito ai tedeschi) 

Questa lapide ricorda il bombardamento avvenuto a San Miniato il 27-7-1944.

L’unico piccolo difettuccio è che il bombardamento fu effettuato dagli alleati e non, come vi è scritto, dalle truppe tedesche.



E’ un piccolo particolare del tutto trascurabile. Infatti il vero obiettivo non è quello di ricordare le vittime, ma di aizzare e perpetuare nei secoli l’odio contro il Nazismo e il Fascismo.
Falso anche il numero. I morti furono 56 e non 60.

Sul fatto, come descritto dalla lapide, i fratelli Taviani ne fecero un film (‘La strage di San Lorenzo‘).
Falso anche che le vittime siano state ammassate nella chiesa su ordine dei tedeschi. 
In realtà fu il Vescovo che chiese ed ottenne dai tedeschi di farvi entrare le famiglie come si ricava dalle testimonianze, rese alla commissione di inchiesta del 1944, di don Guido Rossi («… a seguito delle richieste del Vescovo la folla entrò in chiesa») e  di Armando Colombini («Successivamente il Vescovo disse che oltre ai bambini, alle donne aveva ottenuto il permesso di fare entrare in chiesa anche gli uomini»).

Ma naturalmente era molto più ‘produttivo‘ far credere che i ‘mostri tedeschi‘ avessero obbligato le vittime ad entrare in chiesa per poi uscire e ammazzarle con un colpo di cannone (perchè poi, se erano tanto malvagi, non li hanno ammazzati subito a colpi di mitraglia, Dio solo lo sa).

Dal che, se ancora ce ne fosse bisogno, si ha la conferma che per la sinistra ogni mezzo è buono, soprattutto la menzogna.
Meglio ancora se fissata su una lastra di pietra.

Sul fatto che il bombardamento sia opera degli americani non vi è alcun dubbio. Infatti al momento dell’attacco le truppe tedesche erano a ridosso della chiesa e risulta pertanto davvero poco credibile che loro commilitoni si divertissero a sparargli contro.
Nel 1997 fu fatta una perizia, Ecco il risultato:

E’ “americana” la verità sulla notte di San Lorenzo. Fu una granata degli “alleati” e non delle truppe tedesche ad entrare nel rosone del Duomo e a causare 56 vittime. …. «perizia» del tenente di fanteria americano Charles Jacobs. Il poverino per far quadrare il cerchio aveva dovuto inventarsi una granata tedesca assassina ed una innocua americana. 
A riprova della sua buona fede (e della sua ignoranza) forniva anche il DNA della bomba statunitense: spoletta «Fuse P. D. M43». 
Trattandosi di materia tecnica ci siamo rivolti a due generali, Sabino Malerba e Ignazio Spampinato e ad un colonnello, Massimo Cionci, tutti d’artiglieria, ma con specializzazioni diverse (balistica, esplosivi e munizionamento). 
Il responso dei tre è stato unanime, quella «spoletta Fuse a percussione (P. D.) avente il numero di modello 43 non è mai esistita».
Inoltre, dice l’esperto di munizionamento, col. Cionci, «è impossibile che il proietto munito spoletta del tipo PD fosse un fumogeno». «La scritta punzonata sulla spoletta poteva essere soltanto “P. D. M48“»…..

Una volta smascherato l’imbroglio il Comune ha posto nel 1994, una stele sul prato antistante la chiesa nel 1994 con il seguente testo:
“A ricordo delle 55 (!) persone uccise dalla barbarie della guerra in questa cattedrale il 22 luglio 1944″

La storia completa la si può leggere al link seguente:
Nel 2004, Frosini, sindaco di San Miniato, non potendo più negare l’evidenza ha detto:
«Di queste nuove conclusioni l’amministrazione comunale di San Miniato prende atto e da essa trae ulteriori ragioni a proseguire nel proprio impegno di valorizzazione dell’apporto della Resistenza e dell’antifascismo nella costruzione della Repubblica Italiana». 
Il «prendere atto» si tradurrà presto in fatti: Frosini farà rimuovere la lapide collocata dal Comune sulla facciata del suo palazzo nel lontano 1954 che sanciva la strage esclusivamente come «nazista».
Sarebbe interessante sapere se la lapide c’è ancora.



martedì 22 ottobre 2013

San Leucio il falansterio primo socialismo al mondo.

IL FALANSTERIO Di S. LEUCIO

FRANCO E. PEZONE

La legge che io vi impongo è quella di una perfetta uguaglianza .... (alle coppie di novelli sposi) si concederà una delle nuove case che sono state costruite con tutto ciò che è necessario pe' comodi della vita, e i due mestieri, co' quali lucrar si possano il cotidiano mantenimento (1) 
così il Codice leuciano, emanato nel 1789 da Ferdinando IV di Borbone per la Colonia agricola e manufatturiera di S. Leucio (2).

Sulla base del principio di una casa per tutti (e di altri, che dall'uguaglianza naturale si allargavano e si sviluppavano all'uguaglianza sociale) sorse quell'interessante complesso architettonico-urbanistico che, oltre a rappresentare una realizzazione notevole nell'ambiente della scuola vanvitelliana, costituisce uno dei primi esempi di edilizia popolare sovvenzionata d'Italia e può considerarsi come un'anticipazione delle company towns (3)
Ma l'importanza della Comune sta anche nel fatto che il geniale architetto scandì, interpretò e rivisse con le sue strutture edili i principi sanciti dal codice e dalla cultura sua contemporanea.
Francesco Collecini, al quale si deve l'intera realizzazione, armonizzò e rinnovò architettonicamente il rigore classico vanvitelliano (4) con l'originale tradizione dell'edilizia rurale campana e strutturò il suo falansterio in cellule, formanti tre aree distinte ma inscindibili, destinate all'attività agricola, all'attività manufatturiera ed a zona residenziale.
Originario nucleo, di quello che sarà il falansterio, fu il Belvedere, un castello del XVI secolo dei feudatari di Caserta, acquistato da Carlo di Borbone nel 1750 (5) con tutta la circostante tenuta di S. Leucio, che il re volle come riserva di caccia e che Vanvitelli(6) congiunse al parco reale ed alla reggia con una serie di viali.
Ferdinando IV continuò i lavori facendo recintare l'intera tenuta e costruire un casino di caccia; questo, poi, ampliato ospitò la famiglia reale (7) e divenne tenuta agricola. Intorno sorsero le case dei contadini, i quali aumentando dì numero si diedero anche all'allevamento del bestiame, in particolare del baco ed alla lavorazione, a prodotto finito, della seta (8).

Nel 1778 Ferdinando faceva trasformare il Belvedere in sua residenza «e per accogliere tutto il lavoro e le manifatture che erano sparse nelle diverse abitazioni e ... la gioventù» (9)
Pochi anni dopo, mentre si costruivano le nuove case per gli artigiani, il re emanava il singolare codice.
La colonia nella sua struttura di Comune nacque nel 1776 ed ebbe carattere ufficiale nel 1789, con la promulgazione dello statuto.
Il governo era affidato a cinque Seniori del popolo, eletti ogni anno, nel giorno di S. Leucio, fra gli anziani (10).
I compiti dei Seniori erano quanto mai vari: decidere delle controversie (11), vigilare sui prezzi e le qualità, sull'organizzazione della Comunità, sul lavoro, sulle proprietà e le abitazioni, sull'igiene e la salute, ecc. (12)
Il sistema mutualistico e d'assistenza (siamo nel XVIII sec.) era uno dei più perfetti: La casa degli infermi sorgeva in luogo salubre ed isolato, accoglieva gli ammalati e, in reparti separati, gli affetti da morbi contagiosi.

«In questa né debiti tempi di autunno, ed a primavera d'ogni anno si farà a tutt'i fanciulli e le fanciulle della Società» (13) la vaccinazione, che era obbligatoria, 
A carico della Comunità erano «i medici, i medicamenti, le biancherie e quant'altro occorre pel mantenimento del luogo, e degli individui» (14)
E tutto ciò perché «dalla salute di tutti dipende la salvezza di ogn'uno» (15)
Per coloro che, per un'invalidità permanente o Carità in ragione del mancato salario «per tutto il tempo della vita, o fino a che non sian rimessi in stato di potersi lucrare il pane» (16)
I fondi della Cassa erano dati da tasse mensili che ogni manufatturiere versava in proporzione del suo guadagno giornaliero (17).
Un altro ente previdenziale era la Cassa del Monte degli orfani che provvedeva a mantenere e ad educare gli orfani fino alla maggiore età (18)
Essendo proibiti i testamenti (19) il Monte degli Orfani incamerava tutti i beni dei defunti per provvedere ai suoi compiti istituzionali (20).
Ma il Codice non si limitava solo a forme avanzatissime di assistenza e di previdenza, esso portava alle estreme conseguenze l'enunciato iniziale «La legge che io vi impongo è una perfetta uguaglianza» (21). Infatti essendo lo spirito, e l'anima di questa Società l'uguaglianza fra gl'individui che la compongono (22) anche il vestire sia uguale in tutti (23)
Riguardo ai matrimoni è detto: nella scelta non si mischino punto i genitori, ma sia libera de' giovini ... Abolisco tra i medesimi le doti (24). E in questo ambiente di perfetta uguaglianza i figli venivano educati con finalità e metodi che solo la più moderna pedagogia ha intuito.
La prima ed essenziale educazione era quella familiare (25). Il compito di educare e di istruire i fanciulli, dopo i cinque anni, passava poi alla Comunità come proprio diritto-dovere (26), affinché il futuro cittadino di questa originale società divenisse uomo dabbene ed ottimo cittadino (27).
Ed a tale finalità tendeva l'insegnamento di tutte le materie: il leggere, lo scrivere, l'abbacco ... i doveri verso gli altri, sè stessi e lo Stato; le regole della civiltà, l'economia domestica; il buon uso del tempo; ecc
(28)
La scuola era obbligatoria, gratuita, a tempo pieno; l'edificio scolastico era vasto, salubre ed attrezzato di laboratori e di macchine; gli insegnanti erano scelti fra gli artisti dei più abili poiché i Maestri equivalgono à Genitori (29). Il lavoro (non quello ludico dei soliti programmi ministeriali) produttivo e retribuito era fondamento e coronamento di tutta l'opera educativa (30). Abolita ogni discriminazione, cadeva anche quella dei sessi. Comuni erano: i programmi d'insegnamento, i diritti-doveri, il lavoro, la retribuzione (31). Tutto ciò perché fin dai banchi di scuola il Leuciano doveva imparare che la sola giustizia naturale e la naturale eguaglianza è la face, e la guida di tutte le operazioni (32).
Questo rifarsi alla natura e all'uguaglianza si palesava sia in piccole norme (L'esequie sian semplici, divote, e senza distinzione ... non vi sian lutti(33), come in quelle importanti del dovere al lavoro di tutti e il connesso diritto (Assicuro tutti gli abitanti di S. Leucio che, ad esclusione degli esteri, essi saran sempre impiegati in tutti gli impieghi) (34).
La Colonia era autosufficiente e i suoi prodotti divennero ben presto famosi in tutto il mondo e portarono nelle casse comuni considerevoli introiti.
La struttura urbanistica interpretava a pieno lo spirito comunitario. Gli ambienti di lavoro erano di una perfetta funzionalità produttiva ma la salute e la personalità degli operai furono i presupposti essenziali di realizzazione. Gli ambienti comuni furono ideati ed edificati affinché vi si potesse svolgere una vita veramente democratica.
I servizi (scuola, ospedale, uffici, ecc.) erano strutturati secondo le necessità personali e collettive.
Ferdinando I
Il lavoro all'interno del falansterio leuciano si svolgeva a cellule autonome ma interdipendenti.
I contadini coltivavano il gelso (non mancavano però altre colture). Gli allevatori provvedevano al baco da seta, fino alla trasformazione in grezzo (il baco da seta si ciba di gelso. Non mancavano però altri allevamenti). Gli operai provvedevano alla filatura, tintura e tessitura della seta.
Gli artisti (nella Comune era stata istituita una scuola di arte, la prima in Italia e, forse, la più perfetta) provvedevano ai cartoni per il continuo ricambio dei disegni e degli accoppiamenti di colori. Il lavoro industrializzato si avvaleva della collaborazione artistica ed artigianale della migliore tradizione campana, rappresentata nella Comune.

Trasportatori leuciani provvedevano a portare in tutto il Regno ed all'estero il prodotto finito di seta che godeva di particolari franchigie, statuti e benefici (35). Ma per rendersi conto del successo avuto dalle sete di S. Leucio, bisogna ritornare all'origine, alla Comune cioè, e alla sua struttura urbanistica.
Il nucleo principale del falansterio, come già detto, era il Belvedere che, nella sua definitiva sistemazione, comprendeva la chiesa, la scuola, gli appartamenti di Ferdinando IV, i depositi, la filanda, le attrezzature per l'opificio, altri appartamenti, sale per riunioni, ecc.
Un altro nucleo si svolgeva intorno alla Vaccheria ed era riservato quasi interamente all'attività agricola.
Un terzo nucleo, e forse il più interessante, era dato dai quartieri, che sorgevano nei pressi e poco prima del Belvedere, all'ingresso della Colonia.
A destra ed a sinistra, disposte in duplice fila, formanti rispettivamente i quartieri di S. Ferdinando e di S. Carlo, si susseguono le case-cellule per gli operai. Ogni cellula, per ogni unità familiare, era composta da due vani al pianterreno, uniti da una scala interna ai due (o tre) vani, al piano superiore. La ripetizione dello schema planimetrico per ogni cellula rendevano i quartieri simili ai più moderni esempi di edilizia popolare.
Quando il terreno era in declivio, il Collecini, per conservare architettonicamente il carattere unitario e comunitario a questo insieme di singole cellule, dava alla fila di case un andamento scalare, sottolineato dalle linee spezzate - in orizzontale e verticale - dei cornicioni.
Altra caratteristica costruzione del falansterio era l'edificio destinato ad albergo, che serviva per ospitare coloro i quali transitavano per la Colonia o attendevano udienza dal re.
Negli anni che seguirono la promulgazione del codice i lavori urbani continuarono seguendo il disegno del Collecini nello sviluppare radialmente il falansterio intorno ad una pianta circolare, comprendente gli ambienti comunitari (36).


Si tendeva a fare del primo nucleo - ora esistente - l'inizio di una vera e propria città modernamente intesa, che interpretasse e realizzasse urbanisticamente una giustizia naturale e una naturale uguaglianza. Si sognava cioè una città a misura dell'uomo, per uomini uguali.
Ma la colonizzazione piemontese (37) ruppe quel balocco repubblicano di un monarca (38), che con decreto dei 12-IX-1860 passava ai beni nazionali d'Italia (39).
I Leuciani venivano dispersi e il primo ed ultimo sogno-realtà comunardo del nostro Paese svaniva all'alba dell'Unità (40).

Note:
(1) FERDINANDO IV, re delle due Sicilie, Origine della popolazione di S. Leucio e Suoi progressi fino al giorno d'oggi colle leggi corrispondenti al buon governo di Essa, Napoli, 1789.
(2) In prossimità di Caserta nuova; da non confondersi col Borgo medioevale di Caserta Vecchia. Sui presupposti socio-economici della Comune cfr.:
F. LEMMI, Le origini del Risorgimento italiano (1789-1815), Milano, 1906.
A. GORI, Gli albori del Socialismo, 19....
S. STEFANINI, Una colonia socialista nel Regno dei Borboni, Roma, 1907.
(3) ossia di quei nuclei residenziali operai sorti sul finire dell'800 intorno ad alcune industrie nord-europee (DE FUSCO SBANDI, Un centro comunitario del '700 in Campania da COMUNITA' n. 86, 1961 (pag. 56).
I precedenti storici sono di varia natura: dalla filosofia alla letteratura, dalla nascita dell'industrializzazione al riformismo populista, dall'umanesimo utopistico alle colonie dei Gesuiti nel Paraguay, dal code de la Nature del Morelly all'Illuminismo napoletano. A tale proposito cfr.:
G. DE RUGGIERO, Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX, Bari, 1922.
T. FORNARI, Delle teorie economiche nelle province napoletane dal 1735 al 1830, Milano, 1888.
A. DUMAS, I Borboni di Napoli, Napoli, 1862 (specialmente per le affinità fra le leggi leuciane con i falansteri e le colonie dell'Owen).
FAGUET, Enciclopedie del Diderot e D'Alembert (alla voce COMUNISMO).
A. LICHTENBERGER, Le socialisme au XVIII siècle, Paris, 1895.
L. A. MURATORI, Il Cristianesimo felice nelle missioni della Compagnia di Gesù nel Paraguay, Venezia, 1752.
P. GIANNONE, Storia civile del Regno di Napoli;
G. FILANGIERI, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle province napoletane; (Ediz. varie).
(4) L'architetto che fu allievo e collaboratore del Vanvitelli nella realizzazione della Reggia di Caserta, fu uno dei portatori, in Campania, dei canoni neoclassici.
(5) In seguito chiamato al trono di Spagna. Per volere di questo re si ebbe la costruzione dell'albergo dei poveri, (opera di F. Fuga, che avrebbe dovuto ospitare i poveri del regno, calcolati in 8.000 persone) e la colonizzazione delle isole di Ustica, di Ventotene, di Lampedusa e delle Tremiti.
(6) L'artista che progettò e realizzò il parco ed il palazzo reale di Caserta.
(7) Pensai dunque nella villa medesima (Caserta) di scegliere un luogo più separato, che fosse quasi un romitorio, e trovai più opportuno essere il sito di S. Leucio. (FERDINANDO IV, op. cit.).
(8) La regina Amalia di Sassonia, moglie di Carlo, fin dal 1757, aveva iniziato a Caserta la coltivazione del gelso, e subito dopo l'allevamento del baco, per la lavorazione della seta. Sulla seta leuciana cfr.:
S. SPOTO, La colonie de S. Leucio et le travail de la soie en Italie Méridionale (in REV. DEUX MON.), Paris, 1894.
O. BORDIGA, Notizie storiche sulla bachicoltura e sulla industria serica nelle province napoletane, Napoli, 1910.
M. PETROCCHI, Industrie del regno di Napoli dal 1750 al 1860, Napoli, 1955.
E. PARISET, Histoire de la soie, Paris, 1862.
H. ALGOUD, La soie, art et histoire, Paris, 1928.
(9) FERDINANDO IV, op. cit.
(10) Fra gli anziani comando che in ogni anno nel giorno di S. Leucio se ne scelgano 5 dé più savi, giusti, intesi, e prudenti ... col nome di Seniori del Popolo ... L'elezione dé sopradescritti Seniori si farà congregandosi tutti i Capi di famiglia nel salone del Belvedere per bussolo segreto ed a maggioranza dé voti. (FERDINANDO IV, op. cit.).
Nel Regno meridionale gli operai avevano diritto di riunione e di elezione dei propri rappresentanti in base ad una legge del 1347, di Giovanna I. Questi diritti erano stati ribaditi da Ferdinando II d'Aragona, il quale, nel 1496, promulgava dal Campo di Atella unaCarta per gli Artigiani.
(11) Per quanto riguarda le sanzioni penali, il Codice si rifà alle leggi comuni; ma l'appartenere alla Colonia, costituiva qualifica di aggravamento di pena.
(12) FERDINANDO IV, op. cit.
(13) idem.
(14) idem.
(15) idem.
(16) idem.
(17) «Avrà questa Cassa per sfondo un rilascio di un tari al mese, che ogni manufatturiere, che sia in istato di guadagnare più di due carlini al giorno, farà in beneficio della medesima e di quindici grane al mese, per quelli che guadagnano meno di due carlini al giorno» (FERDINANDO IV, op. cit.).
Ma la Cassa di Carità, sorta come istituzione mutua ben presto finì col costituire la finanza centrale del nucleo e il simbolo delle consistenze patrimoniali dell'ente colonia ... «partecipò coi suoi capitali alle gestioni sociali delle fabbriche, unì al contributo degli artigiani le rendite di qual che cespite urbano e rustico, cominciò a provvedere ai più urgenti bisogni dei comunisti ed ai servizi pubblici quali l'assistenza sanitaria, l'illuminazione, le pensioni agli artigiani, ecc.» (G. TESCIONE, S. Leucio e l'arte della seta nel Mezzogiorno d'Italia, Napoli, 1961, pag. 255).
(18) «Per gli orfani i quali non sien ancora in istato di lucrarsi colle proprie fatiche il cotidiano alimento, mia sarà la cura di mantenerli e di farli educare col prodotto della sopradetta Cassa» (FERDINANDO IV, op. cit.).
(19) «... tra voi non vi sien testamenti, né veruna di quelle legali conseguenze che da essi provengono» (FERDINANDO IV, op. cit.).
(20) «I beni del defonto sien del Monte degli Organi delle cui rendite si forma Cassa» (FERDINANDO IV, op. cit.).
(21) FERDINANDO IV, op. cit.
(22) idem.
(23) idem.
(24) idem.
(25) «Il padre è nell'obbligo di sovvenire, di assistere, di sostenere, insiem con la madre i propri figli. Entrambi sono tenuti ad educarli ... A voi comando di educar bene i vostri figliuoli.» (FERDINANDO IV, op. cit.).
(26) «E' situata in Belvedere la Scuola Normale in cui si insegna à fanciulli, ed alle fanciulle sin dall'età di sei anni.» (FERDINANDO IV, op. cit.).
(27) FERDINANDO IV, op. cit.
(28) idem.
(29) «Obbligo vostro sarà che tutt'i vostri figli dell'età prescritta vadan nelle date ore del giorno alla scuola ... e per non farli altrove a cercar la maniera d'impiegarsi, ho provveduto questo luogo di macchine, d' istrumenti, e di artisti abili ad insegnar loro le più perfette manifatture ... Vi saranno stabilimenti particolari pel buon ordine, e sistema delle manifatture, ne' quali sarà fissato l'orario dei lavoro secondo i dati mesi dell'anno. I prezzi del lavoro saranno fissi, ma il giovine, o la fanciulla apprendente salirà per gradi.» (FERDINANDO IV, op. cit.).
(30) FERDINANDO IV, op. cit.
(31) idem.
(32) idem.
(33) idem.
(34) idem.
(35) L. BIANCHINI, Storia delle Finanze del Regno di Napoli, Napoli, 1859.
G. TESCIONE, Statuti dell'arte della seta a Napoli e legislazione della Colonia di S. Leucio, Napoli, 1933.
D. GRIMALDI, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle sete nel regno di Napoli, Napoli, 1780.
M. DE AUGUSTINIS, Della condizione economica del Regno di Napoli, Napoli, 1830.
D. DE MARCO, L'economia degli Stati italiani prima dell'unità (in RAS. STOR. RISORG.) n. XLIV-1957.
G. CONIGLIO, Il commercio tra il regno delle Due Sicilie e le Americhe nel 1848-'49 (in RAS. STOR. RISORG.) n. XLIV-1957.
G. LUZZATTO, Storia economica dell'età moderna e contemporanea, Padova, 1938.
D. DE MARCO, Le classi sociali nell'età del Risorgimento. La nuova borghesia industriale e commerciale del Regno di Napoli (in ORIENT. STOR. ITA. RISORG.), Bari, 1952.
(36) F. PATTURELLI, Caserta e S. Leucio descritti dall'architetto F. P., Napoli, 1826.
(37) Prima dello scioglimento della Comune, questa ebbe una travagliata storia. Nel 1776 i Leuciani erano 134; poi 214 di varia nazionalità, provenienza ed indole. Anni dopo raggiunsero il numero massimo di 800.
A capo della Colonia fu posto un sopraintendente generale (con giurisdizione civile e penale); a questo fu aggiunto, in seguito un Amministratore (per l'organizzazione tecnica ed amministrativa).
Il periodo di maggiore sviluppo si ebbe dal 1790 al 1799, quando gli operai gestirono direttamente la produzione. Ma già nel 1798-99 vi furono i primi cottimi.
Nel 1799 il Governo Repubblicano napoletano rifiuta la conservazione del regime comunitario ed affitta la fabbrica ai sigg. Wallin e Miranda. Ritornato Ferdinando II la Comune riprende la sua attività. Ma nel 1802 finisce la gestione diretta e parte dei ciclo produttivo viene data in concessione ad una società composta dal Re, dai Wallin e Miranda e da alcuni capi mastri della Colonia.
Negli anni seguenti furono date in appalto altre lavorazioni. Con l'occupazione francese (1805-1815) altre ancora passarono in appalto (con la partecipazione di Carolina Annunziata Bonaparte) e furono introdotte nuove attività lavorative.
Con la restaurazione borbonica la Colonia decadde ancor più (disoccupazione e sottoccupazione erano all'ordine del giorno) e l'Amministratore Sancio impiantò, parallelamente a quella della seta, la lavorazione della canapa.
Con Francesco I nuove società appaltatrici gestiscono quasi tutta la Colonia e vi introducono altre lavorazioni tessili (lino, cotone, lana).
Nel 1828 si cercò di ritornare alla gestione diretta ma nel 1843 (fino al 1860) il ciclo lavorativo passò ad una società tra la Real Casa e Raffaele Sava per l'industria e la confezione delle sete e lanerie della Real Fabbrica di S. Leucio.
(38) Il giudizio è del Carducci. Il Croce invece (Aneddoti di varia letteratura - Vol. II, pag. 405) la giudicò Colonia razionalmente e comunisticamente ordinata.
(39) Anzi il Demanio stipulava un atto di affitto dello stabilimento col sig. G. G. Dumontet per una durata di 24 anni. L'art. 13 di questo contratto stabiliva che gli impiegati e gli operai son decaduti da qualunque privilegio, o legge particolare, già goduta dalla Colonia di S. Leucio, la quale rientra puramente e semplicemente nel diritto comune.
L'8 gennaio 1866 la Colonia mandò una petizione al Parlamento rivendicando fra l'altro il diritto di proprietà sulla Cassa di Carità in quanto formata con i contributi degli operai e sullo stabilimento in quanto proprietà dei Leuciani, frutto del lavoro comune e dell'impegno del fondatore di garantire ad essi, e solo ad essi, il diritto al lavoro. (Tesi comunista si sostenne in Parlamento). Procuratore speciale in parlamento fu l'avv. on. Francesco Crispi. Ma con tale avvocato tutti i beni mobili ed immobili della Comune passarono non alla Colonia ma al Comune (Legge n. 4549 del 26 agosto 1868). Sulle conclusioni della sfortunata vicenda si veda:
Memoria dei coloni di S. Leucio ai Signori deputati del Parlamento nazionale per la rivendica dei loro diritti, Caserta, 1866.
Atti del Parlamento italiano (Sessione 1865-66), pag. 774; pet. n. 10936.
Atti della la sessione della X Legislatura, Doc. n. 125 e Doc. n. 195 A.
(40) Per un più approfondito esame della storia della Comune di S. Leucio, cfr.:
M. SCHIPA Il regno di Napoli sotto i Borboni, Napoli, 1900.
G. ROSATI, Le cacce reali nelle Province napoletane, Napoli, 1871.
P. COLLETTA, Storia del Reame di Napoli; (Ediz. varie).
V. CUOCO, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, Milano, 1820.
B. CROCE, Storia del Regno di Napoli, Bari, 1925.
B. CROCE, Uomini e cose della vecchia Italia, Bari, 1927.