6 ottobre del 1860. Si concluse nel sangue la sommossa dei Mongianesi contro il nascente Regno d’Italia.
Gli operai de La Mongiana scesero in piazza con la totale partecipazione della popolazione anche femminile, inalberando la bandiera bianca con i gigli, contro il nuovo governo. “La Mongiana” rappresenta insieme alle ferriere di Stilo e Ferdinandea, l’inequivocabile testimonianza della grandezza della politica industriale borbonica e il successivo declino ad opera dell’invasione piemontese.
Molto discussa è la datazione de La Mongiana. Di certo nel 1773 Carlo III di Borbone emanò il decreto “salvaboschi” con l’ intento di evitare ulteriori danni al territorio boschivo di Stilo e con il quale dispose il trasferimento di quelle ormai vecchie ferriere che ivi si trovavano (ma che rimasero operanti per i manufatti di prima fusione) verso la valle dell’ Allaro, nei pressi di Mongiana. Pertanto, La Mongiana nasce come filiazione delle ferriere del comprensorio di Stilo dove, oltre alla presenza di ferriere itineranti, Carlo di Borbone volle costruire nel 1736 la Regia fonderia cannonum civitatis Stily, sul fiume Assi, ultimata nel 1746 da Lamberti su progetto dell’ing. Stendardo, lo stesso che aveva avviato gli scavi archeologici di Pompei. Nel 1822 risulta che i Borbone, avvertendo la necessità di ampliare l’azione produttiva de La Mongiana, fecero potenziare la vicina Ferdinandea, già esistente almeno dal 1814 (come risulta dall’analisi dei capitolati d’appalto e dalla descrizione dei lavori eseguiti dai napoleonici), costruendo una residenza reale.
Nel 1833 fu Ferdinando II a visitare le Ferriere calabresi (vi tornò anche nel 1852) ed inaugurò la “Ferdinandea”, il terzo punto strategico, dopo Stilo e Mongiana, del complesso siderurgico calabrese, “un interessante connubio tra casino di caccia e ferriera, cittadella in cui vivono in simbiosi alti forni, caserme, stalle, chiesa ed appartamenti reali”. Ma La Mongiana divenne astro della siderurgia borbonica proprio quando Ferdinando II commissionò a Fortunato Savino la realizzazione di una fabbrica di canne di fucile che fosse realmente erede della fabbrica d’armi dei Lamberti, dove peraltro furono costruiti sotto la direzione del Vanvitelli gli oltre 2000 tubi dell’acquedotto carolino, oggi patrimonio Unesco. La presenza, quindi, nel territorio calabrese dei resti di veri e propri insediamenti industriali dimostra come la Calabria (insieme ad altre realtà produttive del Regno di Napoli prima e poi delle Due Sicilie) sia stata antesignana della rivoluzione industriale e, dunque, dell’età moderna. I segni dell’industria nel paesaggio delle Serre e preserre calabresi sono ancora oggi numerosi e cospicui per la presenza di edifici e varie strutture direttamente interessati ai cicli produttivi, dalle forme spesso imponenti e, comunque, «nuove» in un contesto in precedenza diverso. Pertanto, in tale area siderurgica furono costruiti tra il 1754-55 i tubi necessari per la realizzazione dell’acquedotto “Carolino”, che Francesco Milizia nel suo egregio lavoro “Memorie degli architetti antichi e moderni”, edito a Parma nel 1781, così descrive: “una costruzione sì ardita e sì solida non fa più ammirare quanto decantato si è fatto, altrove e in qualunque tempo”; tra il 1825 ed il 1828 furono realizzati i primi ponti sospesi in ferro: il “Real Ferdinando” sul fiume Garigliano ed il “Maria Cristina” sul Calore nonché furono costruite le rotaie per la prima ferrovia italiana (seconda in Europa), la famosa “Napoli-Portici”. L’industria siderurgica calabrese, e non solo, fino al 1860 godette, quindi, di ottima salute, tanto che nell’esposizione internazionale di Parigi fu assegnato al Regno delle Due Sicilie il premio per il Terzo Paese al Mondo per sviluppo industriale (primo nella penisola italica…). Così si legge in un rapporto redatto e spedito da Mongiana il 4/9/1860 dal colonnello Massimino al generale Sirtori “Capo di Stato Maggiore dell’esercito di Castrovillari” : “…Trovai lo Stabilimento benissimo condotto, attivati i lavori e prodotti di ottima qualità […] lo Stabilimento di Mongiana consta di una fonderia nel villaggio in cui lavorano n. tre altiforni ventilati da una macchina a vapore della forza di 50 cavalli[…] In questo Stabilimento si fondono tutti i proiettili pieni e cavi per uso dell’artiglieria, e lingotti di ferraccio che poi si trasmettono a Napoli per servire alla fusione dei cannoni. […] A tre ore di distanza di monti vi è un’altra fonderia detta Ferdinandea, che possiede un altro forno, in un locale però capace di averne quattro. A tre ore da Ferdinandea sono le Miniere di ferro con tre Gallerie, producenti un ottimo minerale ed alle quali è addetto un Capitano di artiglieria. […] si conosce il personale addetto a questo Stabilimento e da esso si rileva come più di 1500 persone traggono la loro esistenza dai lavori dello Stabilimento.
Tutti gli oggetti qui costruiti vengono trasportati al Pizzo ove era un uffiziale distaccato….” All’arrivo dei piemontesi gli operai Mongianesi capirono immediatamente le loro intenzioni e si rifiutarono di sottoscrivere l’atto formale di adesione al nuovo governo dichiarando, nonostante le intimidazioni di Massimino, di non poterlo fare poiché legati dal giuramento ad un Re ancora in carica. Infatti, a partire dal 1863, la competenza, affidata in epoca borbonica al Ministero di Guerra, attraverso la V Direzione di Artiglieria, venne trasferita al Ministero delle Finanze, fino a quando, nel 1873, il Regno d’Italia decise lo smembramento e la vendita degli Stabilimenti e, di conseguenza, il declino della ricchezza del Regno delle due Sicilie. Un avviso del 25 giugno 1874 (ultima “voce” delle Ferriere calabresi) conservato tra i documenti dell’Archivio di Catanzaro, annunciava la vendita all’asta dello Stabilimento di Mongiana con i beni pertinenziali, in un unico lotto. Il “lotto” comprendeva circa quaranta alloggi, nonché caserme e quartieri di truppa, officine, fabbriche, forni di prima e di seconda fusione, boschi e segherie, terreni e miniere: tutti disseminati in un territorio vastissimo, compreso tra Mongiana, Pazzano e Ferdinandea.
Accadde così che i circa 2000 addetti di Mongiana e Ferdinandea si trovarono a vivere una lenta agonia che in pochi anni li avrebbe visti ridotti alla fame e costretti poi ad emigrare. Destino che toccò a tutte le realtà produttive del Regno delle Due Sicilie. Molti altri paesi non rimasero inermi di fronte al nuovo regime e si ribellarono, come fecero i Mongianesi, ma interi paesi furono rasi al suolo e coloro i quali riuscirono a sfuggire alla repressione furono definiti Briganti. Su di loro furono basate le deliranti teorie del Lombroso; per loro fu istituita la legge Pica che prevedeva il reato di “manutengolismo” ; a loro toccarono le torture dei lager piemontesi. Insomma, il Risorgimento fece risorgere molti morti!!!
Cinzia Lamberti
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