Canzano - 1 - Fra pochi giorni ricorre il 68esimo anniversario della morte di Benito Mussolini; cosa ricordi di quei giorni?
Francesco P. d’Auria - Non dimenticherò quei giorni di sgomento e di paura. Io vivevo a Laglio, un paesino lungo la Via Regina, che costeggia il bellissimo lago di Como. Quel lago doveva, in quei giorni, diventare il teatro di innumerevoli efferatezze. Sembrava che tutti fossero diventati vittime del fascismo, che tutti avessero vinto la guerra, c’era un festival di patrioti, coccarde tricolori, corsa a procurarsi delle armi,ad arruolarsi nelle formazioni partigiane. Si sentivano tutti amici degli americani e degli inglesi al punto che le ragazze abbracciavano i soldati e si concedevano con desiderio; gli uomini osservavano compiacenti. Ricordo il moltiplicarsi di bandiere fabbricate in fretta: erano fatte a strisce orizzontali, la prima striscia era la bandiera americana, la seconda quella inglese, poi la bandiera sovietica con l falce e il martello (era la prima volta che la vedevo) e la bandiera italiana ma senza lo stemma dei Savoia. Avevano dimenticato la bandiera francese, senza dire di quella polacca, greca, Jugoslavia ed altre. Così l’Italia celebrava la sua grande giornata di vittoria! Per chi non gioiva c’era la tristezza di osservare anche questa forma di servilismo e di degrado. Le bandiere si tenevano in mano o si infilavano sul manubrio della bicicletta o si appendevano alle pareti esterne di case e negozi.
Quando il 28 aprile si sparse la voce: “l’han cupà el Dus”, ricordo un barcaiolo che costeggiava la riva urlando questa frase, la gente andò in delirio.
Canzano - 2 - Ma oltre all’annuncio del barcaiolo, cosa si diceva?
Francesco P. d’Auria - Si disse che era stato condannato da un “tribunale del popolo” e che Mussolini “tremava di paura” di fronte al plotone di esecuzione. I giornali ufficializzarono queste versioni con articoli dispregiativi. Se ne dissero tante ma la realtà è stata per lunghi anni nascosta. Ora tutto è più chiaro anche se ufficialmente non viene detto e si continua a ripetere la versione falsa della Unità.
Canzano - 3 - Quale sarebbe questa verità che sta finalmente emergendo?
Francesco P. d’Auria - Come in tutte le cose la verità emerge pian piano anche se ostacolata da chi non vuole che la si conosca. La favola del “tribunale del popolo” è una fandonia così come anche la favola che la decisione fosse stata presa da Longo, Valiani e Pertini. É possibile che si siano sentiti telefonicamente, come hanno detto, ma non è assolutamente credibile che siano stati loro i mandanti di quella esecuzione affrettata. I documenti che son oemersi in seguito lo dimostrano.
Canzano - 4 - Di quali documenti parla?
Francesco P. d’Auria - Due in particolare. Nel 1995, fu rivelata l’esistenza di una registrazione delle conversazioni fra Churchill e Roosevelt, in data 29 luglio 1943, che erano state intercettate dai servizi tedeschi ma non divulgate per tema di rivelare la conoscenza dei codici inglesi. Prassi normale in questi casi. Questa telefonata era comunque già stata menzionata, nelle sue linee essenziali, da Churchill nelle sue memorie pubblicate negli anni del dopoguerra. Io ne ho una edizione del 1960 ma è possibile che in Inghilterra vi siano state edizioni precedenti che non conosco. Si resta stupefatti a leggere il testo di questa conversazione telefonica. Ma di ciò diremo in seguito. L’altro documento è il comunicato della conferenza di Casablanca del 12 febbraio 1943, molti mesi prima della tragedia dell’Italia con la resa senza condizioni e l’arresto di Mussolini.
Canzano - 5 - Puoi spiegare meglio?
Francesco P. d’Auria - Certo. Occorre leggere il testo del documento di Casablanca, quando ancora la guerra era in bilico ma le truppe dell’Asse avevano subito i primi rovesci a El Alamein e poi in Tunisia dove ancora si combatteva. Ma i due compari, due autentici criminali di guerra, si riunirono a Casablanca per lanciare una potente offensiva propagandistica. Volevano inviare al popolo italiano il messaggio che le sofferenze erano appena cominciate, i bombardamenti avrebbero raso al suolo le città italiane ma tutto ciò non era diretto contro la popolazione bensì unicamente contro il fascismo e, in particolare, Mussolini. Il testo diceva: “….. l'unico presupposto dal quale partire per trattare con i governi dell'Asse sarà quello stabilito qui a Casablanca e cioè la "Resa Incondizionata". La posizione intransigente che abbiamo assunto non riguarda i popoli delle nazioni dell'Asse a cui non faremo alcun male, ma soltanto i loro colpevoli e barbari capi….”
La dichiarazione di Casablanca era dunque diretta ai paesi dell’Asse o del tripartito già dati per sconfitti ma, in realtà, l’attenzione dei due Capi di governo era concentrata sull’Italia della quale ben conoscevano le condizioni di vita precarie, in totale mancanza sia di materie prime per la fabbricazione di armi che di rifornimenti alimentari per la popolazione. Essi ben sapevano che le condizioni di vita del popolo italiano erano quasi insopportabili e che, di conseguenza, le sue capacità di resistenza erano scarsissime. Con la dichiarazione di voler perseguire “soltanto i capi colpevoli e barbari”, si intendeva allontanare il consenso della popolazione dal regime fascista, facendo intravedere soluzioni di compromesso con cui l’Italia, addomesticata, poteva agevolmente uscire dal tunnel in cui l’improvvido Mussolini l’aveva condotta.
Un duro avvertimento, quindi, rivolto soprattutto al popolo italiano, che Roosevelt definiva “populace” (“plebaglia”), al quale si lasciava intravedere la speranza di farla franca se solo avesse disgiunto il suo destino dal barbaro Mussolini. Che invitante opportunità, che occasione da non perdere!
Canzano - 6 - Ma l’avvertimento era per i popoli dell’Asse!
Francesco P. d’Auria - Che l’avvertimento minaccioso fosse rivolto all’Italia è reso più che evidente dal fatto che ben altro programma (Il piano Morgenthau) era già in preparazione per l’annientamento della Germania.
Canzano - 7 - E le intercettazioni?
Francesco P. d’Auria - Lo scopo della telefonata, fatta, mi ripeto, il 29 luglio 1943, è solo quello di stabilire di come sia più opportuno uccidere Mussolini. Non si parla di colpe abominevoli da espiare sul patibolo, si parla solo di come ucciderlo o farlo uccidere senza che l’immagine di Roosevelt subisca danni di immagine di fronte all’elettorato. É un discorso alla Al Capone quando costui, con i suoi adepti nel crimine, decise di far fuori la concorrenza nella famosa “notte di S. Valentino”. Non è chiaro quali fossero le colpe di Mussolini agli occhi di Roosevelt ma è un fatto che si è dato da tutti per scontato che Mussolini abbia commesso colpe imperdonabili, evidentemente molto più gravi dei misfatti dell’amico Stalin che Roosevelt coccolava. Fin dal 1935, anno della conquista dell’Abissinia, quando la popolarità di Mussolini in Italia e nel mondo era al culmine, Roosevelt pronunciò contro di lui un discorso di fuoco chiamando Mussolini criminale per aver osato aggredire un popolo pacifico: gli Abissini! Nel giugno 1940, l’entrata in guerra dell’Italia contro Francia e Inghilterra, provocò un altro veemente discorso di Roosevelt contro il Duce. L’espressione “pugnalata alla schiena dell’amico”, è di Roosevelt.
Tornando alle intercettazioni, da queste traspare un implacabile odio a cui segue una inesorabile vendetta verso l’Italia e verso la persona stessa di Mussolini. Una vendetta non provocata da danni subiti dagli USA; non fu necessario stabilire i crimini e nemmeno articolare accuse ma fu considerato sufficiente stabilire, per decisione suprema, che Mussolini fosse il colpevole da impiccare all’albero, come nei film western.
Canzano - 8 - E come si arrivò alla uccisione del Duce?
Francesco P. d’Auria - La Conferenza di Casablanca ebbe luogo nel febbraio 1943 ma Churchill, all’indomani della battaglia di El Alamein, in un memorandum del 25 Novembre 1942, riportato nelle sue memorie, (Closing the Ring) scriveva che occorreva provocare una divisione fra il popolo italiano e il governo fascista, ripetendo ossessivamente il tema della guerra fatta al fascismo e non al popolo italiano che viceversa si intendeva “liberare”. Da Radio Londra Il tema della “liberazione” divenne martellante mentre dagli aerei, con le bombe, piovevano volantini con la scritta:
“UN SOLO UOMO É LA CAUSA DELLE VOSTRE SOFFERENZE: MUSSOLINI”
Così la propaganda inglese riuscì ad alienare le simpatie del popolo italiano per il Duce del fascismo!
Il 26 luglio 1943, Churchill, immediatamente informato del voto del Gran Consiglio, senza indugi, passa a stabilire con il Presidente Roosevelt i termini della resa che entrambi consideravano imminente.
Dunque, il mattino seguente l’arresto di Mussolini, mentre i giornali sbandieravano il “LA GUERRA CONTINUA”, i Capi di governo degli USA e della Gran Bretagna erano già pronti con una bozza dei termini di resa.
Al punto 12 del memorandum Churchill scrive: “La consegna del "Capo Diavolo, con i suoi principali accoliti nel crimine, per dirla come il Presidente (Roosevelt n.d.a.), deve essere considerato un obiettivo preminente per il quale dobbiamo sforzarci con tutti i mezzi in nostro potere, fin quasi a mettere a rischio le immense prospettive che sono state definite nei paragrafi precedenti. Può darsi che i criminali possano fuggire in Germania o Svizzera oppure arrendersi o essere a noi consegnati dal Governo Italiano. Una volta in nostre mani, dobbiamo decidere adesso, in consulto con gli Stati Uniti e, dopo accordo con loro, con l’Unione Sovietica, quale trattamento dovrà essere loro inflitto. Alcuni preferirebbero una esecuzione immediata, senza processo, eccetto per la identificazione. Altri preferirebbero che fossero tenuti in carcere fino alla fine della guerra in Europa e il loro destino deciso insieme a quello di altri criminali di guerra. Personalmente, (dice sempre Churchill) io sono del tutto indifferente su questo argomento purché non debbano essere sacrificati dei vantaggi militari per il gusto di una vendetta immediata.”
Come si legge, siamo al 26 luglio e Churchill con una freddezza da consumato sicario, discetta banalmente su come uccidere il Duce sempre senza spiegarne il motivo.
Canzano - 9 - Fu dunque Churchill il mandante?
Francesco P. d’Auria - No, il vero mandante era Roosevelt, Churchill intendeva unicamente compiacere Roosevelt al quale era obbligato per averlo salvato dalla sconfitta.
Quanto sopra non può che lasciare sbalorditi. Due Capi di Governo, oberati da mille incombenze e responsabilità, non avevano di meglio che autonominarsi ufficiali accusatori e, contemporaneamente, vestire la toga e arrogarsi il potere di giudici per poi, sempre gli stessi, infilarsi il nero cappuccio del boja sempre senza formulare alcuna accusa ma individuando un capro da sacrificare sull’orrendo altare del loro odio e della loro inesorabile vendetta. Ma perché? Benché non si discuta mai abbastanza in dettaglio di questo argomento e non venga mai affrontato il problema di stabilire la verità su questa parte di Storia immersa nelle nebbie albioniche e nelle reticenze della cosiddetta “resistenza” italiana, si da per scontato che Mussolini fosse un criminale di guerra da eliminare senza misericordia e senza nemmeno quella parvenza di farsa legale messa in scena a Norimberga; nemmeno uno straccio di “tribunale del popolo”! Nulla, non ci fu nessun Saint Just ad accusarlo ma solo una spietata esecuzione che altro non è se non un criminale assassinio! Bisogna risalire ai Sommi Sacerdoti e al “processo” a Gesù Cristo per trovare segni di tanta disumana ferocia e di tanta ossessiva sete di sangue che non ha riscontro neppure fra le belve più sanguinarie. Perfino la Inquisizione dava spazio ad “avvocati del diavolo”, a ravvedimenti, ritrattazioni e abiure ma i due anglo compari no. Volevano la morte di un Uomo, considerato inesorabile nemico, temendo solo possibili contraccolpi elettorali sui poveri illusi che credevano ai giuramenti democratici dei rappresentanti del popolo e che, lo dice lo stesso Roosevelt, guardavano a Mussolini con simpatia; si immagina ne avessero avuto qualche ragione! Sono noti gli eccessi di Stalin e i dettagli di molti assassini o eliminazioni di avversari, ma Stalin non sottilizzava sul suo personale tornaconto in termini di popolarità! Era altrettanto feroce e disumano ma non si nascondeva dietro il dito della convenienza elettorale!
Nessuna giustizia fu concessa all’Uomo che lo stesso Churchill, sempre il 26 luglio 1943, aveva gratificato di un solenne encomio (riportato anche questo nelle sue memorie) elogiando le sue grandi conquiste e la sua grande visione politica, prima della entrata in guerra, definendolo “the lawgiver” (colui che da la legge) e incolpando del suo insuccesso il popolo italiano (Vedi ancora “The Hinge of Fate”). Giudicare significa applicare la legge; una legge è un rapporto di giustizia ma quale rapporto di giustizia può emergere da condanne a morte stabilite per telefono fra due Capi di mafia? Il gatto e la volpe si comportarono come dei sanguinari capi di cosche mafiose!
Canzano - 10 - Dunque non vi sono dubbi sulle responsabilità di Roosevelt.
Francesco P. d’Auria - I chiarissimi obiettivi stabiliti fin dal 26 luglio 1943, successivamente trasferiti nelle clausole di resa incondizionata, sono la prova certa della volontà omicida dei due compari: il gatto e la volpe. Certo, i vili sicari furono i partigiani, per la riluttanza degli anglosassoni ad abbassarsi a compiere quello che loro definiscono il “dirty job”, ma non vi sono dubbi che gli ordini, la organizzazione, la direzione e supervisione delle bande di irregolari provenivano dall’Office of Strategic Services” (OSS, oggi CIA) cioè i servizi segreti alleati così come non v’è dubbio che la determinazione a compiere l’assassinio risale a quelle decisioni prese da Churchill e Roosevelt fin dal 26 luglio 1943 e non è neppur lontanamente da pensare che le decisioni di questi due criminali di guerra potessero essere travisate o disattese.
A conferma di quanto fin qui detto, si riportano alcuni passaggi del testo, pubblicato negli Stati Uniti nel 1995, della conversazione radiotelefonica fra Roosevelt e Churchill, a cui quest’ultimo fa esplicito riferimento nel IV Volume delle sue memorie.
In Italia la si conosce grazie ad Alessandro De Felice che ha pubblicato una imponente raccolta di documenti nel suo “Il gioco delle ombre”. (www.alessandrodefelice.it).
Il testo della conversazione del 29 luglio 1943 (per ironia della sorte è il compleanno di Mussolini) è il seguente:
“Roosevelt: Ho alcuni pensieri supplementari sulla situazione italiana che volevo discutere con te. Ho pensato alle nostre azioni concernenti Mussolini ed il suo destino finale. Dopo che egli si sia arreso a noi.
Churchill: Tu devi catturare il pesce prima di cucinarlo. Non ho alcun dubbio che finirà nostro prigioniero a meno che, naturalmente, essi (gli italiani n.d.a.) lo uccidano o egli si sottragga alla sua giusta ricompensa suicidandosi.
Roosevelt: C’è anche la possibilità che i Nazisti possano giungere a lui? Dov’è adesso?
Churchill: Gli italiani ci hanno avvertito che lui è attualmente al quartier generale della polizia a Roma. Essi lo vogliono trasferire direttamente perché sembra che i tedeschi potrebbero improvvisamente decidere di rafforzare i loro effettivi in Italia e Roma diventerebbe il loro bersaglio logico. Essi (gli italiani n.d.a.) lo sposteranno.
Roosevelt: Ma essi non lo vorranno mollare, e mi riferisco ai tedeschi? Per quale genere di quid pro quo?
Churchill: Io penso di no. Gli italiani odiano i tedeschi ed il circolo reale è molto saldamente nella nostra tasca. Noi possiamo essere ragionevolmente certi che Mussolini finirà nostro prigioniero.
Nota. Il governo Badoglio, mentre l’Italia era in guerra contro gli Alleati, informava i nemici inglesi sulla vicenda Mussolini. Il “circolo reale”, poi, a detta di Churchill che parla a ragion veduta, era saldamente “nella tasca” degli inglesi. Tutto questo mentre gli italiani ancora combattevano e cadevano nel disperato tentativo di fermare la valanga di ferro e di fuoco che si abbatteva sull’Italia. Che non si parli, però, di tradimento!
Roosevelt: Sarebbe una mossa saggia, Winston? Saremmo costretti ad istruire una specie di megaprocesso che si potrebbe trascinare per mesi e, anche se lo controllassimo, ci arrecherebbe problemi con il popolo. E io devo osservare che molti italiani qui (cioè negli S.U. n.d.a.) sono almeno suoi segreti ammiratori (orig:”secret admirers of the creature”). Il che porterebbe problemi qui se noi lo processassimo. Naturalmente l’esito del processo non sarebbe mai in dubbio ed egli morirebbe appeso ad una corda. Ma nel frattempo, questi processi, e sto presumendo che noi avremmo un sacco di miserevoli amiconi, disponibili per il processo e l’esecuzione, ma questo processo potrebbe trascinarsi all’infinito. Io posso prevedere vari aspetti negativi per questo affare.
Churchill: Naturalmente ci sono aspetti negativi in ogni affare, Franklin. Allora ritieni che egli (Mussolini n.d.a.) non si debba processare? Cosa penserebbero i nostri amici in Italia della nostra mal posta generosità? Io ho ottime relazioni con certi elementi in Italia e quanto all’uomo, essi vogliono l’umiliazione pubblica e la morte di Mussolini. Sicuramente noi non siamo in un momento in cui qualche generosità è possibile. La sua morte avrebbe un salutare effetto sui nazisti.
Roosevelt: Io non dissento da questa tesi, ma, dal mio proprio punto di vista, un processo pubblico potrebbe avere connotazioni negative sulla situazione in questo Paese. Come ti ho detto c’è qualche solidarietà con la creatura (Mussolini n.d.a.) all’interno della comunità italiana (negli Usa) e la domanda sarebbe: che tipo di reazione avrebbe un tale processo su di essi (italiani n.d.a.)? Io sto pensando essenzialmente alle prossime elezioni qui. Il processo certamente non finirebbe in una settimana e la chiusura coinciderebbe col periodo della presentazione delle candidature e, alla fine con le elezioni, ed il maggior pericolo sarebbe l’alienazione (delle simpatie n.d.a.) degli italiani che hanno, io sento, un certo significativo peso nella bilancia (dei voti n.d.a.).
OMISSIS
Roosevelt: Io avevo in mente che, dopo che noi stessi troveremo un accordo qui, potremmo farlo eliminare mentre è ancora loro prigioniero. Allo stesso tempo potremmo fare pubbliche richieste per la sua consegna per un processo.
Canzano - 11 - Così, per telefono, tre giorni dopo il suo arresto avvenuto il 25 luglio 1943, si eseguì il processo e la condanna a morte di Mussolini.
Francesco P. d’Auria - Esattamente e, secondo il loro volere, Mussolini è stato assassinato da sicari compiacenti e sottomessiquello stesso Uomo per il quale, proprio Churchill aveva espresso simpatia e ammirazione, dichiarando:
“ Il vostro movimento ha reso un servizio al mondo intero. sembra che ciò che caratterizza tutte le rivoluzioni sia una progressione costante verso la sinistra, una sorta di slittamento inevitabile verso l’abisso. L’Italia ha dimostrato che esiste un mezzo per combattere le forze sovversive che possono ingannare le masse popolari e che queste, ben condotte, possono apprezzare il valore di una società civilizzata e difenderne l’onore e la stabilità.
É l’Italia che ci ha dato l’antidoto necessario contro il veleno rosso”.
C’è da restare perplessi e a disagio a pensare che Churchill, quella stessa persona, stimata in tutto il mondo, che esprimeva i nobili pensieri sopra esposti potesse, contemporaneamente, discutere banalmente su come conveniva meglio assassinare un Capo di Governo in disgrazia, se tale assassinio dovesse essere eseguito prima o dopo un processo e se fosse utile mandare un telegramma di “copertura” per uscirne puliti e innocenti pur con le mani grondanti sangue! Nulla di diverso dai capi di Cosa Nostra quando decretano l’assassinio di un rivale o di un associato infedele.
Si può così capire quanto fossero sensibili la mente e il cuore di questi lestofanti quando ordinavano ai bombardieri la distruzione delle città italiane, tedesche e giapponesi.
Si può così anche capire i tantissimi altri assassinii commessi dai servizi segreti americani dopo la guerra; l’assassinio di Obama Bin Laden, presunto colpevole di un atto terroristico ancora coperto da troppe nebbie, come anche la morte di Saddam, per mano di sicari locali (identica soluzione come quella italiana) sono da considerarsi come fotocopia di tante altre eliminazioni di stampo malavitoso.
Canzano - 12 - Si sono fatte altre ricerche?
Francesco P. d’Auria - Si, in particolare da Giorgio Pisanò. Ricerche condotte per decenni che si sono fermate alle soglie della verità; il memoriale della signora Dorina Mazzola rievoca con esattezza quei momenti tragici, quella atmosfera di confusione, di paura e di attesa che io stesso ho vissuto in un paesino sul lago di Como, a pochi Km dal luogo della strage. Tutti i paesini e le strade del lago di Como quel giorno avevano la stessa cupa atmosfera e lo stesso silenzio rotto di quando in quando da colpi isolati o brevi raffiche di mitra.
Ma ciò che nella descrizione della Mazzola si deve ritenere assolutamente veritiero, anche perché difficile da immaginare per qualsiasi mitomane, è la descrizione della presenza di signori distinti, benvestiti, impermeabile chiaro con cintura, silenziosi e armati solamente di una lussuosa macchina fotografica. Se non fossero davvero esistiti, la signora Mazzola non avrebbe mai potuto descrivere, solo con la fantasia, tali personaggi in quel modo. Chi in Italia a quell’ epoca e in quei luoghi poteva avere vestiti decenti? Non certo i partigiani o i dirigenti del CLNAI, basta vedere le loro figure alla sfilata trionfale di Milano! In Italia, in quel periodo, nessuno poteva disporre di abiti che non fossero residuati di “prima della guerra”. Lo stesso deve dirsi per le macchine fotografiche. Non esistevano fra la gente comune e certo i partigiani non avevano servizi professionali per cui le comuni macchinette fotografiche non avrebbero richiamato l’ attenzione della signora Mazzola!
Canzano - 13 - Quindi sei convinto che tutto sia avvenuto secondo quanto deciso da Roosevelt due anni prima?
Francesco P. d’Auria - E' evidente che mai e poi mai i partigiani avrebbero mai potuto trasgredire gli ordini di chi li teneva al guinzaglio. Non esisteva nemmeno l’idea di andare contro i “vincitori” tenuti per amici e alleati. Tutti non facevano che compiacerli; per qual motivo avrebbero dovuto trasgredire gli ordini?
Canzano - 14 - Ma perché dunque ancora si tiene il segreto su quei fatti?
Francesco P. d’Auria - Riguardo a quanto qui scritto sull’assassinio di Mussolini, deciso ben due anni prima della effettiva esecuzione, non deve meravigliare che si sia voluto tenere il segreto e, per imporlo, si sono usati metodi mafiosi: il terrore della morte immediata! Questo lo può imporre solo la mafia o gli agenti di alcuni paesi stranieri senza scrupoli. In Italia, la “talpa”, perfino nella magistratura, è una istituzione atavica ma sul lago di Como “bocche cucite”! La attenta e puntigliosa disamina delle incongruità che emergono dal racconto “ufficiale” del famigerato Valerio, danno all’ultimo libro di Pisanò (Gli ultimi cinque secondi di Mussolini) una solida base di validità e di veridicità storica.
Il nome dello scagnozzo che effettivamente premette il grilletto diventa di secondaria importanza. Indipendentemente da chi fu l’esecutore materiale della incomprensibile e ingiusta condanna, tutti coloro che parteciparono alla tragedia furono assassini. Per la verità storica è più importante stabilire la precisa volontà e responsabilità dei mandanti che, da quanto sopra detto, furono i due Capi delle cosiddette democrazie occidentali; coloro che avevano condotto la guerra sacrificando alla propria ingordigia, egoismo, e avidità quelle Nazioni e quegli Uomini che avevano osato contrapporsi al loro sterminato potere.
Se dagli archivi segreti emergeranno mai le fotografie che sicuramente in quei momenti saranno state scattate, avremo una immagine del nostro Duce, nei suoi ultimi istanti di vita, da tramandare alla Storia e alle future generazioni come il documento del martirio subito con il sogno e l’amore dell’Italia nel cuore.
Che strana libertà è mai quella che vieta
di rimpiangere un tiranno defunto?
Che strano tiranno fu mai quello
se riesce ancora a farsi rimpiangere!?
Leo Longanesi
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