Ringraziamo di cuore la gentilezza e la disponibilità del Professore americano A. James Gregor che, realmente in sintonia con la nostra Associazione Culturale ha deciso di concederci una intervista esclusiva inerente 10 domande da noi poste sul Fascismo.
L'intervista è molto completa, scorrevole, piacevole da leggere.
Il Professore affronta con lucida analisi i più spinosi e controversi argomenti inerenti il Fascismo Mussoliniano e sintetizza in risposte brevi ma esaurienti il succo di oltre 40 anni di ricerche dedicati allo studio dell'ideologia fascista.
Ringraziamo altresì DamaNera che con infaticabile prodezza ha portato a termine la traduzione dell'intervista nel giro di pochissimi giorni.
James Gregor: Vorrei ringraziare l'Associazione "Cultura Fascista" per l'opportunità di affrontare le seguenti importanti e complesse questioni.
Presento le mie opinioni con la consapevolezza che le risposte basate sulle scienze sociali, per loro stessa natura, sono confutabili e contestate.
A causa della sua natura intrinseca, la scienza sociale opera con procedure informali più che con il sistema formale della scienza comune.
In gran parte delle sue ricerche infatti, utilizza poco delle tecniche logiche e sperimentali ritenute critiche nelle scienze formali - ed in molti casi, persino la quantificazione è difficile o impossibile.
Di conseguenza, nella scienza sociale ci sono pochissime teorie formali che possono essere testate empiricamente. In molti casi, la scienza sociale si occupa delle possibilità, con resoconti persuasivi che forniscono un senso generalizzato di comprensione, anziché capacità profetiche.
D: Gentile Professor James Gregor, professore emerito presso la facoltà di Scienze politiche dell'Università di Berkeley, la ringrazio vivamente a nome dell’Associazione “Cultura Fascista” per averci gentilmente concesso questa breve intervista sul Fascismo. Lei ha dedicato più di 40 anni della sua vita allo studio dell’ideologia fascista, direi poco più rispetto Renzo De Felice purtroppo prematuramente scomparso. Dopo tanti anni di ricerche ci può gentilmente fornire una definizione politologica sul Fascismo? In poche parole, che cosa è questo Fascismo su cui gli storici tutt’ora dibattono non riuscendo a darne una definizione obiettiva e oggettiva?
R: Nei miei sforzi per comprendere l'esperienza fascista, sono arrivato a considerarlo un membro di una più vasta classe di esperienze rivoluzionarie - tutte accomunate da somiglianze di base.
Tale caratterizzazione non consente una definizione formale di "fascismo".
Consente invece di alludere alle condivise somiglianze, e questo richiede la disposizione a riconoscere le analogie, piuttosto che privilegiare le singole identità.
In questo modo, un gran numero di storici e scienziati sociali hanno riconosciuto l'esistenza di una classe di sistemi politici che condividono delle caratteristiche rilevanti.
Nel corso del secolo scorso, in diversi luoghi e in una serie di circostanze diverse, è esistita una classe di rivoluzionari sistemi politici caratterizzati dalla
1) centralità' dello Stato;
2) dominato del partito unico, o unitario - conseguentemente
3) guidato da un'elite - e all'avvio del sistema, da un singolo "carismatico". Per giustificare tali regole "anti-democratiche", questo sistema
4) si richiama ad una ideologia considerata, in un certo senso, impeccabilmente vera. Ideologie che tendono a favorire
5) un costante senso di nazionalismo reattivo - una risposta all'umiliazione nazionale sofferta a causa dell'impostura degli stranieri.
6) Di solito, tali offensive imposture sono il risultato del soggetto economico nazionale, in particolare della sua arretratezza industriale. Tale arretratezza rende la nazione
7) economicamente incapace di difende i suoi interessi militarmente. La reazione a tale circostanza tende a produrre
8) quel generico nazionalismo, che a sua volta, ispira
9) una richiesta generale per un rapido sviluppo economico, industriale e politico della comunità storica.
Direi quindi che il Fascismo è stato un'esempio di questa classe. Per di più, uno dei suoi rappresentanti più coerenti.
I movimenti rivoluzionari divennero rilevanti nel XX secolo, solo quando i loro dirigenti abbandonarono il Marxismo tradizionale trasformandolo in "Leninismo", "Maoismo" o "Castrismo". Come fecero ciò, iniziarono ad assomigliare sempre più al Fascismo classico - che abbandonò presto il Marxismo tradizionale per il nazionalismo reattivo ed un rapido sviluppo economico.
Credo che le vostre prossime domande mi daranno l'occasione di elaborare tale approccio schematico.
D: Nel suo primo lavoro sull’ideologia fascista,The ideology of fascism: the rationale of totalitarianism (1969), pubblicato nel 1974 anche in Italia con il titolo “L’ideologia del Fascismo”, lei sostiene diversamente dalle diffuse e comunemente accettate teorie dell'epoca che il Fascismo avesse un impianto razionale complessivamente coerente e articolato i cui fondamenti traggono origine dalla revisione del marxismo ad opera di Sorel, dal nazionalismo di Enrico Corradini, dal sindacalismo rivoluzionario, dalla sociologia “elitista” di Pareto, Mosca, Gumplowicz e dall'attualismo gentiliano. Proprio in Giovanni Gentile lei ha ravvisato l’intellettuale che più di ogni altro seppe fornire la «base razionale del totalitarismo fascista». Può sintetizzarci brevemente quanto il pensiero di Giovanni Gentile abbia influito sul Fascismo, la sua dottrina e la sua cultura?
R: Un fondamento logico normativo per tale nazionalismo reattivo e sistema di sviluppo è necessario per soddisfare i loro principali bisogni istituzionali e funzionali.
Come minimo, un tale sistema di forzata crescita economica e di sviluppo richiede dai suoi cittadini 1) obbedienza, disciplina, lealtà e il sacrificio di sé, di solito inquadrati in forme di "patriottismo" o in termini di nazionalismo.
Nel caso del Fascismo, tale logica normativa è stata fornita dall'attualismo di Giovanni Gentile. L'intero fondamento logico, che trova la sua espressione finale nella "Dottrina del Fascismo", fornì l'energia morale del fascismo. (Inoltre, insieme alle altre cose di cui si occupò, Gentile fu il sostenitore di un rapido sviluppo economico italiano - e attraverso i suoi discepoli, del corporativismo - vedere la sua discussione avuta con Ugo Spirito, su ciò che l'Italia sarebbe dovuta diventare dopo la Grande Guerra)
Da parte sua, Josef Stalin tento' di usare la forma modificata del Marxismo invocato da V.I. Lenin per stabilizzare il sistema di sviluppo cercando di avviarla nella Russia economicamente retrograda.
Il sistema imposto da Stalin non aveva letteralmente nessun rapporto con il socialismo descritto da Marx e Engels. Lenin presto riconobbe come la sua "Nuova politica economica" era un chiaro allontanamento dalla sua eredità Marxista.
Per la meta' del 1930, Stalin aveva trasformato il Marxismo-Leninismo in una dottrina necessaria che rese i lavoratori responsabili di sacrifici disinteressati per soddisfare le quote statali di sviluppo. L'intera organizzazione non aveva nulla a che fare con il marxismo tradizionale.
Con l'avvento della seconda guerra mondiale, Stalin fece appello al nazionalismo dei russi per fornire le energie morali per i compiti difficili che man mano incontravano nell'approfondire e ampliare lo sviluppo economico già iniziato - riuscendo al contempo a sopravvivere all'invasione tedesca.
Oggi, ci sono pochi studiosi seri che associano lo stalinismo con il marxismo tradizionale.
Da parte sua, Mao Zedong, di fronte gli stessi problemi di mobilitazione delle masse per lo sviluppo forzato dell'economia e della difesa della Cina, ha tentato allo stesso modo di fornire una giustificazione logica al Marxismo - con ancora meno verosimiglianza.
I suoi successori, Deng Xiaoping ed i suoi compagni, semplicemente abbandonarono ogni tentativo di richiamo al Marxismo nello sforzo di giustificare la politica della Cina contemporanea. Adattarono molte modalità capitalistiche, giustificando il tutto semplicemente ricorrendo al tradizionale Confucianesimo nazionale - il pensiero di Confucio e dei confuciani.
Oggi, il pensiero di Confucio è insegnato nelle scuole della Cina nel tentativo di inculcare i sentimenti morali adeguati ad un sistema di sviluppo dominato dal partito e sotto controllo statale.
Tra i regimi di sviluppo a partito unico si possono trovare adattamenti simili.
Persino nella Cuba di Castro, il suo "Marxismo" ha subito trasformazioni.
Ciò che rimane è poco più del vocabolario del marxismo classico.
Al fine di ispirare il popolo di Cuba, parla di "Patria o di Morte," assoluta lealtà, sacrificio disinteressato, volontarismo, responsabilità individuale - ma niente di questo riflette i valori che si possono trovare negli scritti dei fondatori del Marxismo. Né Marx né Engels fornirono mai basi morali per uno sviluppo nazionalista, guidato da un partito unico, statalista. Nemmeno i Fidelisti, i Sovietici, o i Comunisti cinesi, sono riusciti a fornire una convincente base morale alle loro regole. Ognuno di loro ha fatto ricorso ad una dottrina eclettica, che era un miscuglio di imposizioni, imperativi morali ed infine, un richiamo al "patriottismo" - introvabile nel Marxismo classico.
Le dottrine di Marx e Engels furono radicalmente reinterpretate o chiaramente abbandonate.
Il Fascismo, a differenza del "Marxismo rivoluzionario", elaborò un fondamento logico coerente e consistente per il sistema da lui prodotto e controllato - grazie soprattutto alle opere di una serie di notevoli talenti che vanno da Filippo Corridoni, Enrico Corradini e Alfredo Rocco, per citare solo alcuni dei primi sindacalisti nazionali e nazionalisti di sviluppo i cui pensieri nutrirono il primo Fascismo.
L'intero sistema di pensiero generato era tenuto insieme dall'opera filosofica di Gentile.
D: Julius Evola, punto di riferimento del “neofascismo” nel dopoguerra, è stato uno dei più accaniti oppositori di Giovanni Gentile e della sua filosofia. Di conseguenza non è possibile affermare, come fanno in tanti (es. Umberto Eco), che Julius Evola fosse un ideologo fascista. Quanto è distante il pensiero tradizionalista di Evola dall’ideologia fascista?
R: Ecco perché l'occultismo esotico di Julius Evola è del tutto estraneo al Fascismo.
Era un'antinomiano, un'individualista radicale e un'antirazionalista, che, in linea di massima, si oppose sia allo stato totalitario, che allo sviluppo economico, in quanto erano "impedimenti materialisti alla realizzazione dello Spirito".
E' stato l'apostolo di una fede fondamentalmente diversa da quella del Fascismo.
E' stato fin da subito antifascista e anti-nazionalista - e dalle sue stesse dichiarazioni rimase tale fino alla fine. Sosteneva che il suo collegamento con il Fascismo risiedeva nei limiti conferiti da qualche tipo di supporto collaterale a quei "valori tradizionali" occulti da lui privilegiati - che si trovano tra l'altro nella Teosofia, nella Bhagavad Gita, nelle Upanishad e nel Tantra Yoga.
Per tutto il Ventennio, Evola è stato sistematicamente respinto da tutti i maggiori intellettuali fascisti, protetto da alcuni dissidenti del sistema, a volte usato da Mussolini per promuovere gli scopi del Fascismo nei rapporti con la Chiesa Cattolica o con il razzismo biologico di Hitler. Niente di tutto questo lo rese un "pensatore fascista."
D: Partendo dal pensiero di Giovanni Gentile, ci può spiegare per quali motivi il Fascismo, ideologia totalitaria, non è classificabile come di “destra” o “sinistra”? Molti tutt’ora in Italia tendono a parlare di “fascismo di sinistra” o “fascismo di destra”, quanto queste categorie sono inappropriate per definire il Fascismo e la sua ideologia?
R: Si possono fare distinzioni di classificazione tra le classi di nazionalisti reattivi, sistemi di sviluppo, basandosi di solito sulla proprietà dei beni - con la "destra" promotrice di un sistema che consente la proprietà privata, e quelli identificati come "di sinistra" essenzialmente propensi all'abolizione di tale possesso. La questione diventa più complessa se si parla di controllo della proprietà.
Tutti questi sistemi di sviluppo, "destra" o "sinistra", impongono elaborati e sostanziali controlli sull'economia.
Nel 1930, l'Italia fascista, per esempio, aveva più controlli sulla sua economia rispetto a qualsiasi altra nazione in Europa, con l'eccezione dell'Unione Sovietica.
In generale, il fascismo respinse la nozione liberale di proprietà privata, concependo la proprietà di beni di produzione come una responsabilità sociale.
La proprietà era vista, non come un'opportunità per la generazione di profitto privato, ma come il miglior stimolante immediato per un rapido sviluppo economico.
Questi sistemi sono tutti statalisti con un partito dominante.
Nessuno di loro permette l'esistenza della proprietà privata così come intesa nella tradizionale società capitalista.
A volte, alcuni di questi sistemi permette l'esistenza della proprietà privata, perché convinti che insieme ad un mercato di base per la produzione e la vendita di beni di consumo, si possano incentivare prezzi più ragionevoli ed una piu' equilibrata ripartizione delle risorse.
Così, gia' dal 1920, Mussolini, convinto che l'Italia potesse svilupparsi rapidamente, consentì la proprietà privata - debitamente controllata da strutture "corporative" e dall'intervento diretto del Partito - credendo che ciò avrebbe favorito la crescita, una politica razionale dei prezzi ed un'equilibrio intersettoriale.
Parlava sempre di "un socialismo italiano", come la forma di socialismo più umana e funzionale del XX secolo.
Durante la Repubblica Sociale il sistema si orientò più a sinistra, non appena Mussolini propose un controllo più diretto attraverso la "proprietà dei lavoratori".
Se, per scopi comparativi, prendessimo in esame la storia del comunismo Cinese, si dovrebbe riconoscere che fino alla presa del potere nel 1949, Mao Zedong propose un trattamento della proprietà privata molto simile a quello del primo Fascismo.
Durante i lunghi anni antecedenti la presa del potere, Mao accettò largamente il programma di sviluppo di Sun Yat-sen, la cui concezione dei diritti sulla proprietà privata, ed il ruolo dello Stato in un programma di rapido sviluppo, aveva molte caratteristiche in comune con quelle dei fascisti.
Fino al 1949, influenzato dal pensiero politico di Sun, Mao non fu visto come un Marxista rivoluzionario, ma bensì come un riformatore agrario e nazionalista evolutivo.
Il suo sistema poteva, e fu, considerato da molti, di "destra".
Dopo il 1949, Mao scelse di eliminare la proprietà privata al fine di assicurare al Partito Comunista il controllo assoluto sulla nazione.
Così il sistema, nel corso del suo governo, divenne di "sinistra". Deng Xiaoping, al contrario, ripristinò molte caratteristiche della proprietà privata nel suo sistema di sviluppo post-maoista - nel quale molti osservatori cinesi e stranieri videro "una restaurazione del capitalismo" (qualcuno addirittura la "rinascita del fascismo").
Chiaramente in questo caso, il sistema si orientava a "destra".
In questi sistemi, se la proprietà privata insieme al mercato dei beni di consumo, vengono visti come aiuto alla crescita economica, allora tendono ad essere utilizzati dal partito al potere. Passando di conseguenza da "destra" a "sinistra" con una certa frequenza.
E' chiaro che si possa fare una distinzione "destra" "sinistra", senza però dimenticare il fatto che tutti questi sistemi condividono fondamentali analogie istituzionali, che li rende tutti membri di una mal definita, ma distinguibile, categoria politica.
Tutti condividono un fondamentale carattere "totalitario" - riconosciuto dai Fascisti percettivi.
Basti tener conto dell'importanza della visita di Ugo Spirito nella Cina Maoista. I cui effetti divennero più evidenti nella Cina post-Maoista.
D: Focalizziamo l’attenzione su un tratto distintivo dell’ideologia fascista: il totalitarismo. In Italia il “pioniere” degli studi sulla sacralizzazione della politica e sul totalitarismo fascista è lo storico Emilio Gentile, di cui sicuramente ha letto gli studi. Nonostante i suoi studi, molti tutt’ora asseriscono che il fascismo fu un “totalitarismo imperfetto” o un “totalitarismo mancato”, che il regime non fu veramente totalitario e che la borghesia, la chiesa e la monarchia siano stati un ostacolo all’affermazione di un totalitarismo integrale. Cosa ne pensa lei?
R: E' chiaro che in linea di principio, l'intenzione di un sistema totalitario è il controllo assoluto.
E, che tale controllo non può essere pienamente raggiunto è generalmente riconosciuto.
Stalin, certamente non ha avuto il controllo assoluto del suo sistema. Nemmeno Hitler o Mao.
Hanno tutti avuto un diverso grado di controllo, ma quello che conta è che tutti abbiano tentato di avere un controllo totale. In tutti questi sistemi, lo Stato controlla più aspetti della vita privata di quanto non sia ammesso in un ambiente non totalitario. La portata ed il carattere di tale controllo dipende dal rispettivo sistema. Ovviamente, nel caso Fascista, convinti come erano che l'esistenza di un certo grado di proprietà privata e di alcune associazioni private, fossero opportunamente funzionali (data l'influenza di economisti teorici come Vilfredo Pareto e Maffeo Pantaleoni) al loro programma di rapido sviluppo industriale, permisero la sopravvivenza di alcune istituzioni prebelliche (ma sempre, controllate per la maggior parte dallo Stato e dal Partito).
In tale contesto, è evidente che Mussolini fosse convinto che un tentativo di distruggere la Chiesa cattolica in Italia avrebbe avuto conseguenze dannose, da sembrargli più opportuno esternderne il controllo (ad esempio con i Patti Lateranensi).
Un ragionamento simile si puo' fare anche per quanto riguarda la Monarchia e l'esercito.
Il fatto che il Fascismo fosse "sincratico", consentendo alle istituzioni economiche, religiose, militari e monarchiche pre-fasciste di sopravvivere alla rivoluzione, era in gran parte funzionale alle circostanze politiche in cui salì al potere.
Mussolini aveva osservato nella Russia di Lenin i risultati ottenuti cancellando tali istituzioni: il crollo pressochè totale dell'economia russa, una lunga guerra civile, e la conseguente fame e morte di milioni di persone.
Piuttosto di pagare un prezzo simile, con il rischio di mutilare il rapido sviluppo economico da lui auspicato, Mussolini scelse di controllare queste istituzioni non fasciste attraverso l'intervento dello Stato e del Partito.
Chiamare questo sistema "amministrativo" piuttosto che "totalitario", diventa poco più che una questione di preferenze. Ma una volta scelto il nome, andrebbe usato anche per includere la Cina post Maoista.
Poco chiara rimane l'identificazione della Germania di Hitler - dove sia la chiesa pre-rivoluzionaria, che le elites militari ed economiche, sopravvissero nel disordinato periodo Nazionalsocialista.
In ogni caso, che siano "ammistrativi" o "totalitari", questi sistemi condividono alcune proprietà molto singolari che li segnano come categorie riconoscibili.
D: E a proposito di Chiesa e religione cattolica, nel 2010 Emilio Gentile ha pubblicato “Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell'epoca dei fascismi” in cui asserisce che i regimi totalitari siano portatori di concezioni dell'uomo e della vita contrarie alla dottrina e all'etica cristiane. A suo avviso come si pone il Fascismo di fronte le religioni ed in particolare di fronte il cattolicesimo cristiano?
R: Gli scritti di Emilio Gentile sono sempre perspicaci e coinvolgenti.
E' chiaro che i regimi totalitari (o amministrativi) prendono in considerazione quello che a noi sembra una concezione di vedute totalmente diversa riguardo alcuni obblighi sociali e problemi fondamentali della vita.
Tutti loro, per quanto possano tollerare l'esistenza di una chiesa, hanno una visione del mondo che è essenzialmente quella di una «religione politica» - che compete necessariamente con qualsiasi altra fede alternativa per assicurarsi più credenti.
Per quanto sia tollerata una religione ufficiale, la religione politica del Partito crea inevitabilmente tensioni tra i membri del Partito e nello Stato. Basti esaminare la storia di questi sistemi, in Russia, Cina, Cuba, nella Germania Nazionalsocialista, o nell'Italia Fascista.
Per questo l'Attualismo di Gentile è così interessante.
Gentile ha sempre sostenuto come non vi fosse alcuna incompatibilità fondamentale tra il suo totalitarismo, il suo Fascismo, e la religione Cattolica.
Nei suoi primi scritti cercò di fare il punto riguardo i suoi pensieri, e nel suo ultimo lavoro "La mia religione" sostenne come egli fosse sia attualista che Cattolico Romano.
Ciò nonostante, è chiaro come molti fascisti e cattolici trovarono molto difficile, se non impossibile, dare la propria fedeltà ad entrambi i sistemi di fede. Un problema simile si può riscontrare nella Germania di Hitler, mentre oggi nella Cina post -Maoista è possibile trovare un simile conflitto di coscienze.
D: Borghesia, grande industria e fascismo, lei ha scritto molti saggi in cui ha confutato la teoria marxista inerente il fascismo come cospirazione dei «capitalisti della finanza» o più semplicemente come «guardia bianca della borghesia». In un suo libro del 1979 “Italian Fascism and Developmental Dictatorship” lei ha dimostrato che il Fascismo ha promosso e condotto con successo lo sviluppo industriale della penisola, la crescita economica dell’Italia e la sua modernizzazione. Eppure ancora oggi molti sostengono che la politica economica fascista sia stata un freno allo sviluppo economico e industriale dell’Italia, che il fascismo agevolò le classi possidenti dimezzando i salari degli operai e danneggiando l’economia con la politica autarchica. Può sintetizzare per i nostri lettori una chiara analisi al riguardo?
R: E' quasi impossibile dare una risposta breve e convincente ad una domanda così specifica sulla politica economica fascista.
Per prima cosa, si deve capire che i periodi di relativa autarchia caratterizzano ogni sistema di sviluppo - provocato da circostanze politiche internazionali, peculiarità nazionali, o da una fase di crescita economica.
Se consideriamo solo i sistemi di mobilitazione di massa, i nazionalisti reattivi o i sistemi Statalisti con un Partito dominante, troveremo che tutti, per ragioni diverse, hanno attraverso tali periodi. Lenin, per suoi motivi, ha aperto la Russia post rivoluzionaria all'economia internazionale; Stalin, a sua volta, impose alla nazione un programma di sviluppo relativamente autonomo (come l'autarchia). Mao Zedong tentò la strada dello sviluppo autonomo (con l'eccezione di scambi commerciali con l'Unione Sovietica).
Deng Xiaoping dopo aver espressamente contestato la politica "autarchica" di Mao, "aprì" la Cina al capitale e al commercio straniero.
La politica di Stalin impose un costo enorme alla popolazione Sovietica - tra cui lo sfruttamento della manodopera e la morte di milioni di persone.
La politica autarchica di Mao, impose analogamente un livello di sfruttamento e morte alla Cina, mai registrati prima nella sua storia.
Sia Mao che Stalin, concepirono la fase di relativa autarchia come periodo in cui il capitale necessario di investimento per la crescita industriale, doveva essere preso direttamente dalla popolazione.
Da parte sua, Marx parlava di questo processo come "accumulazione primitiva di capitale", identificandolo come parte di un cammino di maturazione economica che doveva concludersi molto prima della rivoluzione socialista.
Questo suggerisce qualcosa, riguardo tutti i sistemi di rapida crescita e sviluppo tecnologico. Ed è particolarmente rilevante per quei sistemi a sviluppo tardivo.
In questo contesto, il breve tentativo di autarchia non sistematica e malamente applicata dell'Italia Fascista, si rivela come un piano d'azione prevedibile, per una varietà di ragioni, per un qualsiasi sistema di ritardo sviluppo economico.
I suoi costi erano alti, ed i risultati relativamente scarsi - ma neanche lontanamente vicini ai costi imposti alla popolazione russa, cinese, nord-coreana o cambogiana, dai loro rispettivi governanti in periodi simili.
L'Italia Fascista, oltre il fatto che lo sviluppo indigeno è parte dello schema generale di crescita economica, fu plasmata da fattori peculiari che nel 1930 operarono nel mondo.
Strateghi fascisti affermarono regolarmente come l'Italia fosse povera di risorse. E questo la rendeva particolarmente vulnerabile al capriccio dei poteri "plutocratici".
Senza qualche cambiamento, nelle sue condizioni, l'Italia sarebbe stata per sempre ostaggio di rifornimenti stranieri, ad esempio, per il carbone, ferro e commestibili.
Le sanzioni potevano negare, in qualsiasi momento, le risorse necessarie alla nazione.
Per questa ragione, si sostenne che la nazione necessitava di riserve per componenti critici della sua economia - e forniture per le proprie forze armate.
L'Abissinia avrebbe fornito proprio quelle risorse così essenziali.
In ogni caso, per quanto motivata, la scarsamente studiata politica autarchica fascista in Italia, di certo non durò a lungo, né faceva parte di un piano per ritardare la crescita economica, o di mero sfruttamento del lavoro italiano a beneficio dei capitalisti - non più di quanto faceva parte del piano di Stalin, di Mao, di Kim Il Sung, o Pol Pot, la morte innaturale di milioni di loro cittadini.
Quello che possiamo dire è che l'autarchia Fascista costò agli italiani molto meno di quello che pagarono i russi, i cinesi, i nord-coreani e i cambogiani, in programmi analoghi.
La breve fase autarchica dello sviluppo italiano è certamente costata meno rispetto alla lunga ed estenuante "accumulazione primitiva del capitale" che troviamo documentata nella storia della rivoluzione industriale Anglosassone.
Basti ricordare lo sfruttamento della manodopera femminile, dei bambini, e della schiavitù - per non parlare di tutta la questione della colonizzazione / imperialismo.
D: Fascismo, razzismo e nazismo: un tema tutt’ora scottante nel dibattito storiografico sul novecento. Ancora oggi si sente parlare di “nazifascismo”, di Mussolini “sterminatore di ebrei”. Quanto hanno in comune nazismo e fascismo? Il Fascismo è razzista? Lei ha scritto che “Un antisemitismo che discriminasse gli individui soltanto in base alla loro appartenenza ad una presunta comunità biologica non era compatibile con i valori sociali e politici con cui Mussolini aveva identificato il Fascismo”… in cosa si diversifica il “razzismo e antisemitismo fascista” dal “razzismo e antisemitismo nazista”? Il Fascismo può o meno essere considerato un complice di Hitler nello sterminio degli ebrei?
R: Ancora una volta, nessuna risposta semplice sarebbe adeguata, ancor meno convincente.
Per prima cosa, c'è da dire che tutta la questione della razza produsse chiaramente problemi di ordine morale tra molti fascisti.
Gentile contestò duramente il razzismo biologico estraneo alla sua filosofia e convinzione morale. Mussolini stesso, non si rassegnò mai alla forma di razzismo che animava il nazionalsocialismo. Anche quando ragioni di politica internazionale, economica e militare richiesero un'unione sgradevole ed incondizionata con la Germania Hitleriana, egli ha sempre cercato di distinguere il razzismo Fascista da quello Nazionalsocialista. E' per questa ragione che accolse con favore l'intervento di Evola sul "razzismo spirituale" - al fine di sottolineare come il pensiero italiano non si identificava con il razzismo biologico.
In realtà gli intellettuali fascisti avevano formulato una dottrina sulla razza (che ho riassunto nel mio lavoro "Ideologia del Fascismo") tipicamente Fascista, che non aveva niente a che vedere con Evola (infatti la maggior parte degli intellettuali Fascisti rifiutò le idee di Evola) - ma Evola era noto ai tedeschi, e poteva essere usato come rappresentante di comodo per veicolare il messaggio di indipendenza intellettuale Fascista.
Niente di tutto questo assolve Mussolini o i Fascisti dalla complicità nell'omicidio di ebrei italiani.
Al tempo della Repubblica Sociale, nè Mussolini nè i Fascisti, avevano il controllo del territorio - ma ciò nonostante, anche se in maniera temporanea e contingente, avevano inserito l'antisemitismo nella loro dottrina. Squadre Fasciste assicurarono la raccolta dei cittadini ebrei mettendoli a disposizione delle squadre della morte SS - rendendo di fatto il Fascismo complice di tali omicidi.
In alcuni casi (il numero esatto e' ancora contestato) i Fascisti furono i diretti colpevoli dell'omicidio di ebrei.
Riconoscendo le distorsioni causate dalla seconda guerra mondiale, ma senza alcun tentativo di minimizzare l'immoralità delle circostanze che circondano la morte di innocenti, si deve riconoscere che il "razzismo", comunque lo si definisca, e l'antisemitismo, in qualsiasi modo si manifesti, si possono trovare con una certa regolarità in tutti quei sistemi politici costretti a passare attraverso uno sviluppo economico e industriale.
Ad esempio, sappiamo che Stalin nutriva un forte sentimento antisemita (che impersonava con una certa regolarità), e che il sistema sovietico, al momento della sua caduta, aveva messo insieme una dottrina "etnogenetica", che condivideva molte analogie con la dottrina Fascista della razza.
Nei sistemi in fase di sviluppo economico forzato, viene data molta importanza all'unità, alla conformità, alla omogeneità, e viene data la precedenza alla comunità sul singolo.
E, al fine di stimolare un lavoro disinteressato, si ricorre alle glorie del passato e alle imprese storiche.
Viene incoraggiato un costante senso di comunità per garantire obbedienza e sacrificio. In un tale contesto, è molto facile scivolare in una qualche forma di collettivismo con forme caratteristiche di "razzismo".
La letteratura contemporanea cinese pone molta importanza sulla continuità storica e la particolarità del popolo cinese, sui loro talenti, e le loro affinità genetiche.
Per delle persone, ritenute a lungo "inferiori" una tale risposta non è del tutto inaspettata.
Si possono trovare elementi simili nel pensiero politico di Sun Yat-sen e Chiang Kai-shek.
E' quando questo collettivismo assume forme patologiche che diventa una questione importante di indignazione politica e morale.
Nella Kampuchea Democratica di Pol Pot si può ritrovare tutto nella sua forma più virulenta.
Li, alla "razza Khmer, i fondatori imperiali della cultura Khmer, è stata data la preferenza dalla leadership politica.
E per questo tutti gli altri gruppi etnici e religiosi hanno pagato un prezzo terribile.
Quasi un quarto della popolazione della "Kampuchea" e' stata sterminata - più di quanto si pensi, perché le vittime erano considerate "non-Khmer, estranei".
Il Nazionalsocialismo era una forma aggravata di questo tipo di patologia politica.
Per motivi di cui non ci è dato sapere, il Nazionalsocialismo come Pol Pot dei Khmer Rossi, ha dato espressione a una forma patologica di collettivismo che sembra endemico a molti sistemi di rapido sviluppo economico.
Altri sistemi hanno dato espressione a forme più lievi di questo tipo di collettivismo.
Ai giorni nostri, li troviamo tutti moralmente discutibili.
Nel peggiore dei casi, danno luogo allo sterminio, alla schiavitù, allo sfruttamento e all'emarginazione.
D: Nel dopoguerra molti movimenti e partiti di estrema destra italiani cosiddetti “neofascisti” hanno preso il nazismo come punto di riferimento ed importato in Italia simboli runici come la “croce celtica”. Questi partiti si possono realmente considerare “eredi del Fascismo”? Nel suo lavoro "The search for neofascism – the use and abuse of social science", Cambridge University Press, 2006 lei ha scritto che i gruppi di destra radicale, a cominciare dal Movimento Sociale Italiano, hanno finito col negare e snaturare l'ideologia fascista. E' possibile quindi parlare di una rottura ideologica tra "fascismo" e "neofascismo radicaldestrorso" invece che di una continuità?
R: Se la mia analisi è attendibile, non ci si aspetterebbe la nascita del "fascismo", in qualsiasi forma, e il suo apparire in una comunità che ha superato lo stadio di una "guida forzata di maturità economica e industriale".
Tecnicamente, l'Italia Fascista ha raggiunto lo stato di maturità industriale durante la fine del 1930 (momento in cui la maggior parte del prodotto nazionale lordo proveniva dalle fabbriche, piuttosto che dal settore agrario).
Non ci si aspetterebbe la comparsa di un movimento Fascista generico nell'Italia del dopoguerra (a meno che la nazione fosse afflitta da circostanze particolari).
Piuttosto, dopo la fine della seconda guerra mondiale, ci si poteva aspettare la nascita di movimenti generici collegati ai ritardi di sviluppo economico, nelle nazioni industrialmente retrogade - ambiente più appriopriato per la nascita di movimenti "fascisti".
Sarebbero apparse come forme di socialismo "cinesi", "nord coreane", "cubane", "vietnamite", "arabe" o "africane" , caratterizzate dal nazionalismo reattivo, una guida carismatica, con predominanza del partito unico, un'etica basata sul lavoro, il sacrificio, la frugalità, e coraggio, e con particolare attenzione all'obbedienza, alla disciplina e al collettivismo.
In questo modo, è possibile trovare più "Fascismo" nel socialismo "cubano" o "cinese" che "Marxismo".
Nessuno di questi sistemi "socialisti" mostra caratteristiche del Marxismo tradizionale.
Alcuni di loro (ad esempio il socialismo "cinese") non respingono più, nei loro programmi di rapida crescita economica e di sviluppo, il ruolo della proprietà privata, della struttura societaria dell'economia, o il mercato.
Tutto ciò suggerisce che non ci si aspetterebbe la nascita di un qualsiasi serio "fascismo" in nazioni "consumistiche" industrializzate.
Ed ecco perchè nel dopoguerra italiano, il partito MSI, ed i suoi derivati, si trasformarono velocemente in partiti "borghesi democratici".
I piccoli gruppi che si autodefiniscono "neofascisti", d'altro canto, sono quasi tutti composti da persone marginali ed infelici, incapaci di mobilitare il sostegno della popolazione generale (ad eccezioni di alcuni pochi superstiti nostalgici).
In realtà, la maggior parte di questi gruppi, respinge il Fascismo storico come "irrilevante" o "troppo debole".
Essi tendono a promuovere le forme più estreme di "identità politica", basata sull'identità razziale o etnica - che si ritrova negli atteggiamenti più moralmente discutibili dei nazionalsocialisti.
Sono i prodotti frustrati di una società post-industriale. Qualsiasi discussione sul perché il razzismo del Nazionalsocialismo occupa una tale importanza tra i gruppi "neofascisti" in Europa e in Nord America, richiederebbe un'esame più ampio di quello possibile entro i confini di questa intervista.
Le caratteristiche politiche del Fascismo possono essere facilmente apprezzate in ambienti con un ritardo sviluppo industriale, come garanzia e sostegno di programmi di crescita forzata.
Il tipo di politica identitaria richiesta dal Nazionalsocialismo, d'altra parte, è talmente esagerata che sarebbe, com'è stata, distruttrice degli sforzi collettivi e dell'unità essenziale in un sistema in via di sviluppo.
E' questo in sostanza, il motivo per cui possiamo trovare tratti di Fascismo generico ovunque nei paesi in via di sviluppo - mentre solo raramente possiamo trovare il razzismo così come viene identificato nel Nazionalsocialismo.
D: Alcuni storici tendono ad affermare l’esistenza dei cosiddetti “fascismi” europei o mondiali, ricercando delle specifiche comuni nei regimi autoritari sorti nel novecento (esempio la Spagna di Franco). Roger Griffin, docente all’Università di Oxford, attribuisce al Fascismo un’ideologia eclettica, ma «palingenetica» e «olistico-nazionale», carattere di elemento unificante dei diversi “fascismi”. A suo avviso è corretto parlare di “fascismi”? Sono realmente esistite nel mondo esperienze politiche che hanno fatto propria la Dottrina di Mussolini e Gentile?
R: Si possono trovare tratti generici del Fascismo in tutto il mondo in via di sviluppo.
Ma in pochi li identificano come "fascisti".
Nel 1970, Almirante disse che i fascisti avevano perso la "battaglia delle parole".
La parola "fascismo" non ha più lo stesso significato che aveva per Mussolini o Gentile.
Ora significa "razzismo", omicidio di massa, guerrafondaio, oppressione politica e sfruttamento delle donne e del lavoro.
Ci sono poche speranze che si possa riabilitare l'uso del termine "fascismo" tra coloro che si richiamano alla politica.
Gli accademici moderni (che dovrebbero essere interessati alla storia del Fascismo) hanno l'obbligo di rivedere gli sforzi compiuti in passato per intraprendere uno studio più obiettivo e completo dell'esperienza Fascista italiana, in modo da consentire un'accurata versione di ciò che realmente è accaduto nel quarto di secolo di governo Fascista.
Si può cercare ovviamente di classificare i movimenti come "fascisti" o "semi-fascisti", selezionando una raccolta di tratti comuni (così come procede la classificazione).
Non esiste una selezione "giusta" o "sbagliata".
La vera questione è se la selezione di uno o di un altro insieme di tratti caratteristici possa essere davvero di aiuto nella comprensione di un periodo così complicato nella storia del mondo. Caratterizzazioni come "palingenetico" e/o "olistico nazionale", a mio giudizio, non sono molto utili. Infatti tali caratteristiche si possono ritrovare in molti, se non in tutti, i sistemi a ritardo sviluppo economico.
La Cina contemporanea non è "palingenetica"? La Kampuchea di Pol Pot non era "palingenetica"? E la maggior parte di questi movimenti non erano "olistico-nazionali"?
In che modo potrebbe essere d'aiuto una simile caratterizzazione? - soprattutto se si insiste su una distinzione tra "destra" e "sinistra" o movimenti rivoluzionari "fascisti" e "non fascisti" sulla base di tali valori?
Usando questo metro di valutazione la Cina post Maoista è di "destra" o "sinistra"?
Ed è davvero "non fascista"?
E' chiaro che nessun sistema moderno si identificherebbe come "fascista". Per i comparatisti, l'identificazione dei "tratti fascisti" dovrebbero servire al solo scopo cognitivo. Sono convinto che tale scopo può essere raggiunto considerando seriamente il fascismo come un caso paradigmatico. Cosa sostenevano gli intellettuali Fascisti? Quali erano le loro intenzioni? Che tipo di istituzioni hanno creato? E, se si sceglie di procedere ad una valutazione storica: che cosa hanno realizzato? I Fascisti erano persone coerenti?
In generale, i loro comportamenti manifesti erano conformi ai loro annunciati propositi morali, culturali, economici e politici?
Non ci si può aspettare che i politici contemporanei, in qualsiasi circostanza immaginabile, scelgano di abbracciare le idee esplicite di Mussolini e/o Gentile.
Nella migliore delle ipotesi, ci si potrebbe aspettare di trovare riflessioni delle loro propugnazioni filosofiche, morali, militari, economiche e nazionaliste, nelle dottrine rivoluzionarie delle nazioni meno sviluppate. Questo si può trovare facilmente.
I Fascisti tradizionali hanno riconosciuto la presenza di alcuni di quei tratti nella ex Unione Sovietica, nella Cuba di Castro, e nella Cina "comunista".
Quello che invece non è mai stato trovato è qualcosa che potesse essere identificato con il Marxismo tradizionale di Karl Marx e Friedrich Engels. E nemmeno altri ci sono riusciti.
In questo caso, si dovrebbe spiegare la grande differenza tra il "Marxismo" dei rivouzionari nei paesi meno sviluppati e il Marxismo dei partiti socialisti occidentali - in Germania, Francia, Italia e Stati Uniti.
C'è una differenza chiara e costante tra le dottrine rivoluzionarie dei nazionalisti reattivi e delle economie in via di sviluppo, e le dottrine "borghesi" dei "rivoluzionari" delle piu' avanzate nazioni industrializzate del mondo.
Il Fascismo ideò una dottrina funzionale per quelle nazioni meno sviluppate angosciate da tutti i disagi di un ritardo sviluppo economico e militare.
Fin dai tempi di Lenin, i Marxisti hanno cercato di "sviluppare creativamente" il Marxismo tradizionale, in modo che le dottrine potessero divenire motivo di un rapido sviluppo economico. Il Marxismo tradizionale non era mai stato predisposto ad una simile funzione. Per il marxismo classico, la rivoluzione socialista può avere luogo solo in un ambiente industrialmente avanzato. I Fascisti, sin dall'inizio del loro movimento, capirono che il Marxismo era inefficace nelle società sottosviluppate. Misero quindi insieme un articolato programma di sviluppo che andasse bene ad una nazione poco sviluppata industrialmente. Il sistema creato da Lenin e Stalin era simile, ma in versione molto più distruttivo - in termini di vite umane e beni capitali. I risultati si sono visti, per esempio, in Russia, Corea del Nord, Cuba, e Cina.
Alcuni di questi sistemi hanno assunto sempre più le caratteristiche del Fascismo classico - con alcune differenze generate dalle loro circostanze particolari.
Basterebbe considerare la Cina contemporanea. D'ispirazione nazionalista, governata da un partito unico, ha rifiutato la lotta di classe, ed enfatizzato la produttività, l'impegno personale, l'eroismo, l'obbedienza ed il sacrificio disinteressato. Ha sempre avuto un "leader supremo", e ha rigettato la "democrazia borghese".
Subito dopo il suo sviluppo, ha assunto caratteri marcatamente militari ed irredentisti - rivendicando molti territori adiacenti come "terre perdute" - avendo fatto parte dell'impero cinese al tempo della dinastia Ming.
In tutto questo non si trova traccia del Marxismo Classico.
Al contrario, c'è molto che è stato suggerito, alla fine del secolo XIX, da Mazzini e dai nazionalisti di sviluppo reattivo, alle meno sviluppate Asia e Europa.
Questi nazionalisti non reagivano a dottrine prestabilite. Ma rispondevano alla realtà politica, economica e militare del loro tempo.
Come Sun Yat-sen, in Europa i nazionalisti di sviluppo reattivo seguaci di Mazzini, misero insieme un sistema di credenze rivoluzionarie, che subito dopo la Grande Guerra, emerse con il nome di Fascismo.
Quasi tutti condividevano tali credenze con i primi Fascisti - in quanto rispondevano alle condizioni sfavorevoli dei loro rispettivi paesi.
Analogie comuni, suggeriscono condizioni condivise.
Per quanto le loro dottrine si avvicinino a quella di Mussolini e Gentile, è molto improbabile che esse provengano dalla lettura dei libri. (Anche se va detto che Fidel Castro aveva molta più familiarità con il lavoro di José Antonio, di quanto ne avesse con gli scritti di Karl Marx.)
In queste circostanze, i rivoluzionari dei paesi meno sviluppati, seguono la realtà concreta del loro paese, come fecero a suo tempo i Fascisti storici più che i Marxisti tradizionali.
Basterebbe rivedere il contenuto delle ideologie rivoluzionarie dei paesi in cui si manifestò il socialismo "cinese", "arabo" e "africano" ad esempio, per vedervi rispecchiato un più povero e deviato riflesso di Fascismo.
Sicuramente vi si troveranno rappresentate molte più caratteristiche del Fascismo di quante ce ne siano del Marxismo classico.
Oggi, la "Cina Rossa", assomiglia molto di più alla "Repubblica Sociale" di Mussolini che ad ogni altra cosa auspicata da Karl Marx e Friedrich Engels.
Sembra quasi che la storia - con tutta la sua tragedia, la perdita di vite umane, e distruzione - abbia voluto rivolgere al Fascismo, un'ultimo triste beffardo sorriso di scherno.
FINE
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