Apposite commissioni istituite presso la Presidenza del Consiglio attribuirono la qualifica di partigiano a 393.341 persone. Le stesse fonti partigiane evidenziano come tale cifra sia molto lontana dalla realtà. Eccone alcune, tra le più autorevoli.
Il generale trabucchi, comandante del CRMP (Comitato Regionale Militare Piemontese), nel suo libro I vinti hanno sempre torto, dichiara: “La barriera di protezione del buon nome partigiano, aveva subito rudi colpi dopo la fine di gennaio (1945, ndr), quando gli attendisti compresero, a luce solare, che bisognava affrettarsi per essere dalla parte del vincitore al momento della liberazione. Al 25 aprile queste barriere di protezione furono travolte ed entrò nelle formazioni il flotto della razzamaglia: avventurieri, disertori, profittatori, gente che aveva qualcosa da far dimenticare, da occultare, da far perdonare”.
Ferruccio Parri, esponente del Partito d’Azione e vicecomandante, col comunista Luigi Longo, del CVL (Corpo Volontari della Libertà, denominazione assunta dall’insieme delle formazioni partigiane a capo delle quali era Raffaele Cadorna), sulla Settimana Incom n. 47 del 1962 affermò: “Le bande raccogliticce ed improvvisate (…) ingrossarono a dismisura l’esercito dei volontari”.
Riccardo Bauer, anch’egli appartenente al Partito d’Azione e membro della giunta militare del CLN, rilasciò un’intervista a Panorama nel 1980, in cui ammetteva che “la maggior parte di questi signori è scappata in montagna per sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi e dei repubblichini. A insorgere è stata una piccola minoranza”.
Ma già il 20 gennaio 1946 su Argomenti (bollettino a cura del CLNAI), si poteva leggere: 31 dicembre, 9.000 partigiani; 30 novembre 1944, 62.000 partigiani; 15 aprile 1945, 130.000 partigiani.
Come si può notare, si tratta di cifre molto inferiori a quelle fornite dalle commissioni governative di riconoscimento.
Giorgio Bocca informa (Storia dell’Italia partigiana, Laterza 1966) che la consistenza delle formazioni partigiane nei diversi periodi era la seguente: inverno 1943-1944, circa 3.800 partigiani; 30 aprile 1944, 12.600; estate 1944, circa 70.000; al 25 aprile 1945: 80.000.
Giorgio Pisanò concorda sostanzialmente con Bocca: inverno 1943-’44, dai 3.000 ai 4.000 partigiani; estate 1944, circa 60.000; al 25 aprile, 80.000.
Come Pisanò, Bocca svolse le indagini provincia per provincia, raccogliendo notizie presso le organizzazioni partigiane. Egli, sul n. 441 di Historia (novembre 1994), ricordò che al momento del proclama lanciato dal comandante in capo delle forze alleate in Italia, generale inglese Harold Alexander (13 novembre 1944), mirante a far sospendere l’attività ribellistica in attesa di nuove istruzioni per la cosiddetta insurrezione finale “le formazioni si riducono all’osso”. E’ questa un’ulteriore conferma che l’effettiva consistenza del movimento partigiano era ben lontana dalle cifre dichiarate da altri noti esponenti antifascisti, quali i citati Luigi Longo e Parri, che nel respingere le disposizioni di Alexander alla tregua parlava il 13 dicembre 1944 di “un esercito di ottantamila partigiani”, quanti, forse, se ne videro nell’ultima ora.
Nel maggio 1980 i cittadini italiani con tanto di brevetto partigiano ammontavano a trecentocinquantottomila. Ciò significa che il logico naturale calo del loro numero, dopo 35 anni dalla fine della guerra, non era avvenuto. Unica spiegazione plausibile: le iscrizioni erano rimaste aperte per i….ritardatari. In anni recenti, nel cuneese, è stata promossa un’iniziativa per distribuire nuove tessere dell’ANPI, prefirmate dai responsabili al vertice dell’associazione, a persone nate negli anni Cinquanta. E’ cronaca recente (anno 2003) la consegna della tessera “ad onorem”nelle mani di un consigliere bovesano nato nel 1938, a motivo della sua disponibilità ad accogliere le comitive di turisti nella “città martire”.
Pisanò scrive nella Storia della Guerra Civile in Italia che “le adesioni alla RSI raggiunsero il milione di unità, comprendendo in tale cifra gli iscritti al partito Fascista Repubblicano (in gran parte militarizzati a partire dall’estate del 1944 nelle Brigate Nere), gli appartenenti alle Forze Armate (esercito, aviazione, marina,Guardia Nazionale repubblicana, Decima Flottiglia Mas, Servizio Ausiliario Femminile), e alle formazioni che, fuori dal territorio della RSI (fronte russo, Germani, baltico, fronte occidentale, balcani, Egeo), continuarono a prestare servizio accanto alle truppe germaniche sotto le insegne della repubblica di Mussolini”.
Riguardo ai caduti partigiani, Pisanò afferma:
“Secondo i dati ufficiali (presidenza del Consiglio dei ministri)i partigiani caduti nel territorio della RSI sarebbero stati 30.889, cui andrebbero aggiunti 9.980 civili trucidati nel corso di rappresaglie tedesche e fasciste. Totale: 40.869.
Si tratta di una cifra assolutamente inattendibile: prima di tutto perché i partigiani, come abbiamo documentato, non furono più di 80.000 e in secondo luogo perché le perdite subite dai civili nelle rappresaglie sono state quasi sempre alterate. Basta ricordare che i massacrati di marzabotto risultano “ufficialmente” 1.830, mentre in realtà furono circa 600. In base ai dati da noi raccolti, i caduti in combattimento o fucilati (comprendendo nel numero anche i civili trucidati nelle rappresaglie), furono circa 12.000, ai quali vanno aggiunti altri 3.000 antifascisti deceduti nei lager tedeschi. In totale: 15.000 caduti.
A conferma della validità di questa cifra va notato che, secondo i dati ufficiali, in Lombardia i guerriglieri caduti sarebbero stati 5.040. Ebbene, in una testimonianza di Gustavo Ribet, già comandante regionale del CVL per la Lombardia, apparsa sul numero 16 (dicembre 1945) della rivista Mercurio, il numero dei caduti partigiani nella regione viene stabilito in 2.594, comprendendovi i morti in prigione, nei campi di concentramento, in rappresaglie e negli ospedali: esattamente la metà della cifra ufficiale. Tale proporzione tra perdite effettive e perdite “ufficiali” si può riscontrare, più o meno, in tutte le regioni. Ciò conferma che il dato di 15.000 caduti partigiani da noi riscontrato è esatto”.
Riteniamo che l’analisi di Pisanò sia corretta, in quanto le nostre indagini relative al cuneese hanno messo in luce l’enorme divario tra i dati ufficiali e reali. Si pensi che la motivazione della Medaglia d’Oro al Comune di Boves fa riferimento ad oltre 200 uccisi, mentre a quelle date i documenti ne registrano circa un terzo. Eppure Luigi Longo, nel volume Il secondo Risorgimento d’Italia (stampato nel decennale del 15 aprile a cura del PCI), poteva enfatizzare: “nel nome dei 72.000 caduti partigiani”, tanti quante furono – realmente – le vittime civili dei bombardamenti angloamericani!
I fascisti uccisi tra l’8 settembre 1943 e la fine delle “epurazioni” furono sicuramente più di 100.000, dei quali: 7.000 circa caddero in combattimento nel territorio della RSI tra l’8 settembre ed il 25 aprile 1945; 12.000 circa furono uccisi dai partigiani nello stesso periodo; oltre 25.000 caddero fuori del territorio della RSI nell’arco di tempo considerato; altri 10.000 vennero uccisi da jugoslavi nella Venezia Giulia, in Istria e Dalmazia; un numero ancora da definire perché sempre in aggiornamento (a motivo della scarsità o, talvolta, assoluta mancanza di documentazione, oltre al continuo ritrovamento di resti individuali e fosse comuni), riguarda gli eliminati dopo il 25 aprile 1945. Gianpaolo Pansa, nel suo libro Il sangue dei vinti, ricorda come Togliatti sostenne il numero di 50.000 uccisi.
Articolo tratto da STORIA DEL NOVECENTO numero 49 aprile 2005 pagine 51-52.
Nessun commento:
Posta un commento