di Toni Liazza
Molti mestieranti di storia hanno scritto che la guerra ’39-’45 fu una guerra totale, perché ideologica. Giudizio sommario. In realtà fu una fase interlocutoria, un momento del lungo cammino iniziato nel XVIII secolo per la realizzazione del Nuovo Ordine Mondiale, obiettivo occulto dei potentati dell’alta finanza internazionale. Falsificazione, deformazione e mistificazione della realtà trascesero i limiti della propaganda di guerra per trasformarsi in elementi fondanti della religione antifascista, dotata negli anni di articoli di fede indiscutibili.
Alle azioni congiunte delle Grandi Logge Massoniche e dell’Internazionale Ebraica, che aveva dichiarato guerra alla Germania nel marzo ’33, diede un contributo notevole il Komintern, che nel VII Plenum del luglio-agosto 1935 ordinò ai sostenitori del Comunismo che i termini fino ad allora usati di Stato capitalista, grassa borghesia, plutocrate, finanziere, conservatore, chiesa, clero, ecc., fossero sostituiti con i termini di Fascismo e fascista.
In due parole brevi, semplici e facili da pronunciare fu compressa l’identità del male assoluto, sintetico simbolo di tutte le forze che avversano il Comunismo. L’ordine fu eseguito immediatamente con grande scrupolo, in ogni angolo della Terra ove militassero dei comunisti, ottuse marionette manovrate dai potentati finanziari e bancari anglo-americani.
Oggi, anno 2010, gli Anglo-americani e le loro truppe coloniali lottano contro il Terrorismo, gli Stati canaglia e coloro che giudicano nemici della civiltà. Sessantacinque anni fa conclusero la lotta contro il Fascismo e l’Imperialismo nipponico, bollati come nemici della civiltà. Ancor prima del 1814, quando smisero di combattersi, Nord-americani e Britannici iniziarono ad intervenire in armi in ogni parte della Terra, sempre in nome di sacri principi e contro il nemico di turno della libertà, della democrazia e dei diritti umani. Dal 1798, quando per due anni condussero una guerra navale mai dichiarata alla Francia, fino al 1945, gli Stati Uniti intervennero con le armi all’estero per 168 volte. Le imprese dell’esercito e della marina di Sua Maestà non si contano neppure. Oggi, anno 2010, le sole forze armate degli Stati Uniti dispongono di un numero imprecisato di basi in territori stranieri, di poco inferiore al migliaio. Le attività umane, economiche, sociali e politiche mondiali sono sempre più controllate dagli Stati Uniti d’America, la cui volontà di dominio si esprime in una strategia di interventi diretti ed indiretti continui per orientare le norme degli affari mondiali in funzione dei loro interessi. Il Rapporto Globale 2000, pubblicato nel 1980, presentava lo stato del mondo evidenziando le minacce che avrebbero potuto pesare su questi interessi. Venti anni più tardi, gli Statunitensi, per giustificare, nel contesto della loro sicurezza, gli interventi compiuti ad ogni latitudine, costruiscono la più grande montatura che si possa immaginare: “una guerra mondiale contro il Terrorismo” o, in altri termini, una guerra contro i popoli che rifiutano di diventare i loro schiavi.
I quattro elementi maggiori della strategia di conquista e di dominio del mondo da parte degli Statunitensi sono:
1) controllo dell’economia mondiale e dei mercati finanziari;
2) saccheggio di tutte le risorse naturali (materie prime e risorse energetiche) nevralgiche per la crescita delle loro ricchezze e del loro potere attraverso le attività delle corporazioni multinazionali;
3) controllo dei 191 governi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ed infine
4) la conquista, l’occupazione e la sorveglianza di questi elementi grazie ad una rete di basi e di installazioni militari che coprono l’intero Pianeta (continenti, oceani e spazio extra-atmosferico). Si tratta di un Impero di cui è molto difficile determinare l’ampiezza.
La realtà di oggi consente agli uomini di buona volontà una lettura dei fatti di settanta anni fa depurata dalle falsificazioni, deformazioni e mistificazioni propagandistiche.
Interessanti, oltre quelli di Harry Elmer Barnes e Carroll Quigley, gli studi dello storico e giornalista britannico Alan John Percival Taylor, che pubblicò a Londra nel 1961 “Le Origini della Seconda Guerra Mondiale”, edito in Italia da Laterza Universale nel 1970 e ripubblicato nel 2006 da Laterza Economica. Taylor dimostra dettagliatamente che Hitler – dal Marzo del 1933 fino al Settembre del 1939 - non voleva una guerra: né locale, né europea, né mondiale. La sua unica, fondamentale, mira in politica estera era la revisione dell’iniquo Trattato di Versailles, e tutto ciò in modo pacifico.
Questa è la tesi più notevole e coraggiosa del libro, molto ben argomentata. Fin qui, anche coloro che erano stati senza riserve dalla parte della giustizia e della necessità di rivedere il Trattato di Versailles, erano convinti che, anche se il programma revisionista di Hitler era giustificato nei suoi obbiettivi generali, egli lo perseguì in modo colpevolmente brusco, provocatorio e polemico, rischiando la guerra in tutti i passi da lui intrapresi per ottenere la revisione del Trattato di Versailles. In altre parole, anche se il suo obiettivo era giustificabile, i suoi metodi per ottenerlo furono imperdonabilmente violenti, ingannevoli e torbidi. Il professor Taylor respinge e confuta questa interpretazione in modo esaustivo, come per l’accusa che Hitler volesse provocare la guerra in ogni momento. Egli sostiene che Hitler fu particolarmente cauto e moderato in tutti i passi importanti da lui fatti per rivedere il Trattato di Versailles. Egli permise che altri creassero delle situazioni favorevoli al conseguimento dei propri scopi e poi le sfruttò in modo non cruento.
Una cosa deve essere chiara, anche per coloro che hanno il più ostile degli atteggiamenti, sia verso Hitler che verso la tesi del professor Taylor: e cioè che gli Anglo-americani e i Francesi ebbero qualcosa come tredici anni per rivedere il Trattato di Versailles. Ma non fecero nulla, benché uno degli obiettivi dichiarati della Società delle Nazioni fosse proprio quello di rivedere il Trattato di Pace del 1919. Lo storico americano Sidney Bradshaw Fay dimostrò già nel 1920 che la clausola del Trattato di Versailles sulla colpevolezza della guerra, che aveva proclamato che gli unici responsabili della prima guerra mondiale furono la Germania e i suoi alleati,
non aveva alcun valido fondamento storico.
In anticipo sul revisionismo storiografico di Nolte e di altri, Taylor, sulla base della padronanza delle fonti diplomatiche, già negli anni Sessanta sottopose a pesanti revisioni la tesi che la Seconda guerra mondiale fu dovuta tutta ed esclusivamente al bellicismo aggressivo di Hitler, e metteva in luce nella maniera più cruda le enormi responsabilità dei paesi occidentali. Quanto a Mussolini, tutti gli storici onesti sono giunti da tempo alla conclusione che egli non voleva la guerra. Dopo l’Accordo di Monaco del 30 settembre ’38, ogni suo pensiero fu solo per l’ E 42.
“The poker of financial capitalism had a far-reaching plan, nothing less than to create a world system of financial control in private hands able to dominate the political system of each country and the economi of the world as a whole”
Carroll Quigley “Tragedy & Hope” The Macmillan Company, New York, 1966
Fonte: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=8650
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