sabato 13 ottobre 2012

Commentario su delitti e sulle pene

Pubblicato Lunedì, 30 Aprile 2012 21:45
Scritto da enzone
 
Da tempo si continua a discutere in rete e nei circoli borbonici e meridionalisti della lettera che Lord Gladstone ha scritto per presentare la sua presunta visita alle prigioni napoletane, visita che avrebbe, a suo dire, effettuato e dove avrebbe rilevato l'assoluta e indicibile violenza dei gendarmi nei riguardi del “poveri detenuti”.
Si sa anche che a commissionare questa lettera fu Lord Palmerston primo ministro inglese.
Questa lettera destò in tutta Europa sdegno e orrore nei confronti del re delle Due Sicilie Ferdinando II e a nulla valsero le repliche di quest'ultimo che anzi, invitò giornalisti e diplomatici di tutto il mondo ad entrare nei bagni penali borbonici anche senza preavviso.

In realtà pochi sanno che Gladstone invece descrisse le condizioni delle carceri di Sua Maestà la Regina Vittoria mirabilmente descritte dal romanziere Dickens e dove lo stesso Cavour annotò tra i suoi scritti :”La prigione è orribile...nella quale sono rinchiusi, come bestie feroci, 360 individui. Niente può dare idea del misero stato in cui si trovano. Stanno rinchiusi in 60 dentro una sola camera, respirano aria mefitica e si coricano su delle miserabili stuoie di giunco.
Fanno pena a vederli. Sono ammucchiati uno sugli altri senza nessuno ordine né distinzione...ladisciplina è severa. I detenuti sono sottoposti alla legge del silenzio assoluto. Non possono parlare in nessun momento e per nessuna circostanza. Le punizioni sono il pane e acqua, i ferri e la cella oscura. Siamo discesi in uno di questi buchi. In verità non ho visto niente di più tetroin vita mia ”.
Gladstone per giudicare avrebbe dovuto visitare anche il bagno penale della Cayenna o il “Castello d'Iff” a Marsiglia dove Alessandro Dumas volle che fosse rinchiuso Edmond Nantes, il conte di Montecristo o qualsiasi altro carcere in Europa.
Certo, la prigione era ed è un luogo d'espiazione della pena, sono limitate le libertà personali, ma, l'Inferno descritto da Gladstone non era a Napoli.
Ci tocca ricordare, o meglio per molti portare a conoscenza, quello che era il comparto della giustizia del Regno delle Due Sicilie “negazione di Dio” governato dal “Re Bomba”, epiteti questi diffusi per isolare politicamente i Borbone di Napoli.
Il codice penale del Regno delle Due Sicilie venne promulgato nel 1819 e prevedeva comunque la pena di morte e i lavori forzati, pene per il resto comuni in altri ordinamenti europei ma già nel 1836 il Re abolisce i lavori forzati e per quanto riguarda le sentenze di morte, che avevano bisogno del suo sigillo per essere eseguite, commutò la maggior parte di esse in carcere a vita.
Il Regno di Sardegna, in pieno regno costituzionale, dal 1851 al 1855 emise ed eseguì 113 condanne capitali.
Il predetto codice penale introdusse inoltre che l'elevazione al rango di magistrato di un cittadino avvenisse a mezzo di concorso pubblico il che destò scalpore in un mondo che tali cariche erano designate dal sovrano e molto facilmente cadevano (insieme alla testa del magistrato) alla morte del re.
Nei capoluoghi delle Province napolitane erano insediate le Gran Corti Criminali, esse avevano sempre un numero di membri pari in quanto la legge prescriveva che in caso di giudizio nullo (quindi con una votazione paritaria) l'opinione è per il reo, cioè, mancando di un giudizio certo della colpevolezza, nel dubbio si assolveva l'imputato.
Paolo Mencacci, uno storiografo ormai dimenticato dai circuiti ufficiali, ricorda che “a giudicare coi criteri odierni che ritengono la pena di morte una barbarie, il Regno delle Due Sicilie, nel decennio che precede l'unificazione, è senz'ombra di dubbio uno stato modello ”.
Allora da dove viene quest'attacco indegno verso Ferdinando II e il suo regno, senza ombra di dubbio a tirare le fila della cospirazione fu, neanche a dirlo, il Piemonte ormai dichiaratamente pronto a fagocitare i liberi regni italiani coadiuvato dai liberali francesi e inglesi che vedevano nel sistema di governo di Ferdinando un cuneo nei loro imperi commerciali, un cancro che avrebbe potuto far marcire le loro strutture economiche.
Il Regno che era definito “la negazione di Dio” con il re che “bombardava i propri sudditi” alla lettura degli atti risulta invece essere concettualmente molto più avanti rispetto ai tempi, non è eresia definire Ferdinando II re delle Due Sicilie un sovrano progressista; un re che patteggia per il proprio popolo e che osteggia la comune visione massonico-liberale della società non poteva sopravvivere.
Ferdinando venne ferito dal Milano e in capo a qualche anno, nel 1859, lasciò che il suo spirito lasciasse questo mondo e il regno nelle mani di un ragazzo impreparato che lo perdette poco più di un anno dopo.
Non potremmo mai sapere cosa avrebbe potuto diventare il regno delle Due Sicilie se Garibaldi fosse stato ributtato a mare, quello che possiamo invece fare è far si che il sogno di Ferdinando II diventi realtà, il suo popolo che ancora fortemente lo ama deve ritrovare lo spirito che il suo sovrano gli ha lasciato.
Ferdinando II non è morto, egli vive ancora e ci indica la strada, sta a noi capire quale ...... non do limiti alla provvidenza.

http://www.comitatiduesicilie.it/index.php/it/appunti-storici/386-commentario-su-delitti-e-sulle-pene

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