© Il Mulino - Bologna 2006 - Biblioteca storica
448 pagine - Euro 25.00 -
Notizie sull'autore:
Giuseppe Parlato insegna Storia contemporanea nella Libera Università “San Pio V” di Roma. Con il Mulino ha pubblicato anche “La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato” (2000).
Introduzione:
A soli venti mesi dalla fine del fascismo e della guerra civile, il 26 dicembre 1946 nasceva a Roma il Movimento sociale italiano. Esso costituì il risultato di un intenso lavoro di contatti e di relazioni che ebbe inizio addirittura prima della fine della guerra e che coinvolse anche ambienti legati ai servizi segreti americani. Avvalendosi di un’ampia messe di fonti edite e inedite, italiane e straniere, Parlato rovescia la visione tradizionale di un neofascismo puramente nostalgico: il neofascismo e il Msi si inserirono bene nella politica della Guerra fredda, dove, nella contrapposizione al comunismo, potevano individuare nuovi spazi di agibilità politica. Il volume prende le mosse dalla descrizione del fascismo clandestino al Sud, nell’Italia liberata, fra il 1943 e il 1945, per poi affrontare l’attività riservata svolta dai neofascisti in funzione anticomunista. Scorrono in queste pagine momenti inediti e sorprendenti: la prima apertura ai neofascisti, realizzata da Togliatti nel novembre 1945; il ruolo della Chiesa nella loro organizzazione unitaria; i rapporti fra i neofascisti ricercati dalla polizia con autorità di governo e uomini politici antifascisti al fine di concordare l’amnistia Togliatti; gli uomini della Decima Mas invitati come addestratori dei reparti d’assalto in Israele; aspetti nascosti dell’attentato all’ambasciata inglese a Roma (1946); le profonde differenze fra la strategia di Romualdi e quella di Almirante al momento della nascita del Msi.
Recensione di Gerardo Picardo (da Fiammatricolore.net)
Gli inediti di Giuseppe Parlato storicizzano il neofascismo. La Decima Mas addestra reparti d’assalto israeliani. Pino Romualdi mattatore al referendum monarchia-Repubblica. Alla ricerca dell’archivio sommerso della destra italiana.
La vecchia tesi di Angelo Tasca, fatta propria da Renzo De Felice, resta sempre valida: per interpretare il fascismo occorre prima farne la storia. Partendo da questo assunto, Giuseppe Parlato ha appena pubblicato ‘Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948’ (Il Mulino, pp. 445, euro 25). Un libro ‘scomodo’ per certi versi, che fa parlare carte inedite e racconta l’altra faccia del Movimento Sociale Italiano, nato a soli venti mesi dalla fine del fascismo e della guerra civile, il 26 dicembre 1946. “Ci ho messo sei anni a scriverlo”, dice il docente di Storia contemporanea alla Libera Università ‘San Pio V’ di Roma, che spiega: “Ho voluto mettere l’accento su cosa hanno davvero fatto i fascisti dopo che il loro capo non c’era più. In secondo luogo, ho reso la ‘cronaca storica’ del Msi, svelando come - ancora durante il conflitto - alcuni personaggi dei servizi segreti americani hanno ritenuto che la guerra, una volta terminata, avrebbe dato spazi al partito comunista”. “Quest’idea - aggiunge il vicepresidente della Fondazione ‘Ugo Spirito’ - era propria anche di alcuni autorevoli esponenti fascisti, da Junio Valerio Borghese al principe Pignatelli, allo stesso Pino Romualdi. In pratica - taglia corto l’esperto - dopo la fine della guerra il problema era se avere il comunismo o l’anticomunismo. La posta in gioco era alta: la civiltà occidentale”. Di fronte a questo pericolo, dunque, la possibilità di collaborare con gli ex nemici per arginare l’avanzata comunista non sembrò un fatto negativo. Ciò che rimaneva delle aquile littorie dopo il 25 aprile del ’45 “viene ‘corteggiato’ sia dal Pci che dai servizi americani, come anche dalle forze democristiane. Ma strizzano l’occhio ai ‘figli di Salo’ anche la Chiesa e la massoneria e perfino gli ebrei. Uno degli aspetti inediti di questa lunga narrazione è infatti il racconto degli uomini della Decima Mas invitati come addestratori dei reparti d’assalto in Israele. Un fatto, questo, che suona ‘strano’ secondo gli schemi classici’’. Di fatto anche la trattazione del ‘fascismo clandestino’ è un terreno di nuove informazioni perché quasi nulla si sapeva di questo complesso fenomeno che ebbe significative ricadute soprattutto al Sud. Parlato presenta poi in modo nuovo anche la grande scelta tra monarchia e Repubblica. Al referendum del 2 giugno 1946, infatti, il grande artefice dell’immissione dei neofascisti nel gioco politico italiano è stato Pino Romualdi. “Ha fatto un discorso semplice – spiega l’autore - sapeva che i fascisti erano pochi e malmessi. In galera o ancora prigionieri, almeno quelli che non erano morti. Allora fece ai repubblicani una proposta chiara: se vince la Repubblica e i monarchici volessero tentare un colpo di Stato, noi vi aiuteremo. Poi lo stesso Romualdi fa l’identica offerta ai monarchici: se vincete e i comunisti accennano a un’insurrezione, difenderemo la monarchia”. “Con questo sistema – argomenta ancora lo storico - Romualdi ‘mercanteggia’ con entrambi gli schieramenti senza offrire nulla. Insomma Romualdi vende la pelle di un orso che non c’è. Ma con quest’abilità porta a casa l’amnistia di Togliatti, nel giugno ’46. Ventimila fascisti tornano in circolazione. Dall’amnistia alla nascita del Msi passano solo sei mesi. E l’amnestia è anche il recupero di una classe dirigente fascista che ha permesso al Msi di nascere”.
Ma c’è ancora un’altra considerazione da fare. “La guerra – insiste Parlato - finisce il 25 aprile del ’45 con l’eliminazione fisica dei fascisti. E Giampaolo Pansa insegna. In questo contesto trovo sorprendente che 20 mesi dopo il termine del conflitto nasca tranquillamente un partito che si dichiara neofascista. Ciò è stato troppo spesso spiegato e iscritto a merito della forza ideale dei ‘vinti’ che si riscattano o dei proscritti che risorgono dalle rovine. Un discorso vero per la base e i militanti. Ma fermo restando la buona fede di chi ci ha creduto, sarebbe stato semplicissimo per il governo di allora, con i comunisti al potere, stroncare subito il nuovo partito”. Le informazioni della polizia riferiscono che i ‘fascisti’ a capo del Msi erano ben conosciuti. Era gente che era stata nella Decima o aveva fatto parte dei Guf o della Repubblica Sociale. E allora, perché a venti mesi dal 25 aprile nasce un partito di fascisti? “Il punto è proprio questo - replica l’allievo di De Felice - fino a questo libro non c’è una risposta storica su questo aspetto. La spiegazione credo vada individuata nella dinamica della guerra fredda. Nel testo cito una risposta di Scelba, allora ministro dell’Interno, all’Anpi. E’ dei primi del ’48. L’Anpi si lamenta dei fascisti in politica. Si arriva persino a chiedere ‘perché abbiamo fatto la Resistenza se le camicie nere sono tornate e vanno anche alle politiche’. La replica di Scelba è affidata a un telegramma molto freddo, che recita: ‘Non risultano azioni eversive a carico del Msi’. E aggiungeva che l’Italia è un Paese democratico. Non spetta al governo sciogliere i partiti, ma alla magistratura”. Ma, avverte Parlato, “questo non vuol dire che gli Usa volessero la fiamma, ma che invece era talmente forte la paura del comunismo che alcuni settori dell’intelligence d’oltreoceano hanno rafforzato lo schieramento anticomunista ‘ribattezzando’ alla vita politica ex fascisti. Del resto – si chiede l’autore - in caso di ‘pericolo rosso’, chi avrebbero mandato a combattere, i socialdemocratici?”.
“Questo libro piacerà poco a tutti, a destra come a sinistra – dice Parlato sorridendo - Non andrà giù a chi ha una mentalità solo politica. Perché immagino alcuni storceranno il naso leggendo che i comunisti sono stati i primi a collaborare coi fascisti. Mi auguro però, che a parte i mal di pancia, questo contributo possa ‘stanare’ altre carte. Sono convinto che ci sia un archivio ‘sommerso’ della destra fatto di tanto materiale ancora privato che occorre invece tirar fuori per costruire insieme l’archivio documentario della destra italiana”. Alla maniera defeliciana, anche questo lavoro non ha conclusioni. “Abbiamo sempre immaginato che il 25 aprile fosse una pagina nuova nella storia italiana – sottolinea lo storico - Ma se vediamo dopo quella data, fino al ’68, notiamo che la società si regge ancora su istituzioni nate durante il periodo fascista. Non che l’Italia del dopoguerra sia fascista – mette in chiaro Parlato - ma il regime aveva talmente innervato la struttura del Paese che nemmeno una guerra persa ha cancellato le istituzioni del Ventennio, modificate, nel bene e nel male, solo ideologicamente in democrazia. Una presenza costante. Altro che fascisti su Marte”.
http://www.ilduce.net/recensione57.htmhttp://www.ilduce.net/recensione57.htm
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