“Povera terra mia. Povera la mia terra invasa, conquistata, devastata, distrutta e calpestata da una ciurmaglia di gente ignorante, violenta e zotica; una ciurmaglia che non sapeva proferire verbo e che si esprimeva con suoni e grugniti, come gli animali più immondi, come le bestie più disgustose: una ciurmaglia che era arrivata in un paese che era culla di antiche civiltà, di cultura, Madre della lingua che tutti, poi, parlarono. Povera terra mia derubata, espropriata delle sue ricchezze, saccheggiata, spogliata fino all’ultima briciola di grano, fino all’ultimo spicciolo.
Povera terra mia offesa, svergognata, umiliata, violentata, stuprata senza pietà, disonorata e mai più purificata e riscattata.
Coloro che ti hanno offesa avrebbero dovuto chiederti perdono in ginocchio, il viso per terra, il capo sparso di polvere; la loro ignominia, ricaduta su loro e sui loro figli, sarebbe dovuta rimanere come una macchia nera ed incancellabile nelle loro anime, riempiendo le loro coscienze di vergogna e di infamia per sempre. Il loro delitto atroce non doveva cancellarsi, non doveva essere dimenticato, come è stato per altri olocausti più recenti.
Ed invece è stato subito accantonato, messo da parte, come cosa da nulla, inesistente.
Povera terra mia, figlia mia e madre mia: nessuno ha pianto per te, nessuno ha pianto per le tue figlie rese impure, per i tuoi figli ammazzati senza pietà come agnelli al macello: neppure una lacrima per te è stata conservata.
Povera terra mia, da me così amata, di quel grande amore che hai pur ripagato con sgarbo e disprezzo, io che nel tuo grembo sono nato riesco a leggere il tuo animo esacerbato dal dolore.
Povera la mia terra, costretta in un angolo, depredata di tutto e indotta ad elemosinare per il resto dei suoi giorni, perché il vincitore, il barbaro conquistatore, potesse assaporare fino in fondo la sua meschina vittoria, la sua vigliaccheria, la sua codardia disumana.
Povera terra mia, te lo dico perché non credo che sarai mai più liberata, che mai più tornerai quella di prima, mai più sarai la ridente terra che i greci avevano eletto a loro giardino, il luogo della eterna primavera e dell’abbondanza delle messi, della gioventù, della bellezza.
Ti dedico queste righe, che servono a poco, e che testimoniano la mia rabbia ed il mio dolore.
Se possono valere qualcosa le lacrime dell’ultimo dei tuoi figli, io te le dono così come sono, amare e salate”.
Francis Allenby
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