venerdì 17 agosto 2012

Mussolini ed Hitler comparati


Per meglio comprendere certi avvenimenti che si verificarono durante la seconda guerra mondiale, crediamo sia opportuno tracciare un profilo, sia pur generico e sintetico, delle personalità di Benito Mussolini ed Adolf Hitler.

MARZIO DI BELMONTE

Tratto da: Il Carteggio Mussolini / Churchill  nel contesto della Seconda Guerra mondiale

HITLER  E  MUSSOLINI

Con poche e sintetiche parole e senza addentrarci troppo in valutazioni ideologiche,   vorremmo tratteggiare le diversità umane e politiche, nonché i rispettivi atteggiamenti di Hitler e di Mussolini di fronte alla guerra, alla sconfitta inevitabile e quindi alla loro fine.
Questo ci consente di capire meglio ed inquadrare nella giusta luce molti comportamenti e decisioni che vennero prese nel corso della guerra.
Alcuni accenni, come per esempio quelli su la visione della guerra da parte di Mussolini, li abbiamo già dati, altri è necessario ora completarli.
Tanto per cominciare si deve considerare che stiamo parlando di due uomini dai comportamenti affatto diversi e spesso condizionati dalle contingenze e dalle diverse realtà nazionali e geopolitiche del loro tempo. L’enorme sproporzione tra la super potenza germanica e la debole potenza italiana, non possono non aver influito enormemente nelle rispettive prese di posizione di questi due statisti.
Con il senno del poi, e conoscendo oggi i retroscena occulti che stavano dietro alla guerra, possiamo sinceramente dire che, a conti fatti, anche se perdente, fu senz’altro più opportuna e lineare la condotta estrema e l’agire irresoluto del Fũhrer, ma altrettanto rispettabile fu quella del Duce.
Sia Hitler che Mussolini furono dei rivoluzionari in senso completo, in quanto elaborarono, partendo quasi dal nulla, una politica ed una ideologia affatto originali. Intrapresero quindi e portarono avanti, in proprio nome e sfruttando ogni genere di appoggio contingente, una rivoluzione tesa alla conquista del potere ed infine, conquistato il potere, lo gestirono da statisti e uomini di governo attraverso il loro operato e incisive riforme legislative. 
Entrambi profondi conoscitori dell’animo umano e di coloro che li circondavano, intuendone immediatamente i loro pregi, le loro debolezze ed i loro difetti. Hitler, però, oltre a sfruttare abilmente queste valutazioni, ne traeva subito le dovute conclusioni; Mussolini invece ci passava sopra, pensando che comunque avrebbe potuto utilizzare certa qualità umane (specialmente se di alto livello tecnico) tenendone sotto controllo i difetti e le magagne.
Hitler grande organizzatore di partito, nonchè eccellente stratega militare e attento conoscitore degli armamenti bellici, Mussolini polemista e giornalista di razza, profondo pensatore e trascinatore impareggiabile, ma carente nella competenza militare tanto che non fu difficile, da parte dei generali massoni e badogliani, di ingannarlo come e quando volevano. Entrambi grandi oratori capaci di affascinare le folle ed i seguaci: Hitler con una secca logica, impetuosa e violenta, Mussolini con una verbosità passionale ed a volte retorica, ma capace di una sintesi e di una comprensione straordinaria del discorso.
Tutti e due avevano contrastato con violenza il comunismo e lo avevano sconfitto, ma mentre per Hitler, il bolscevismo era un evidente strumento in mano all’ebraismo, per Mussolini era più che altro una degenerazione del socialismo, quel socialismo dal volto umano, ricondotto ad una dimensione nazionale, a cui rimase sempre legato.
Hitler, infatti, avvertiva il problema ebraico essenzialmente come una cospirazione mondiale tesa alla conquista di un biblico potere su tutto il genere umano; ne valutava le deleterie responsabilità nella storia tedesca e ne calcolava i pericoli degenerativi per le popolazioni di razza ariana.
In conseguenza di tutto questo e ritenendo gli ebrei oltretutto responsabili dello scatenamento del conflitto mondiale, era estremamente deciso a cacciarli da tutta Europa ed in questo senso agì, con cruente ed inevitabilmente inumane conseguenze, per tutto il corso della guerra. E’ anche indubbio che la visione razzista in Hitler risentiva, almeno in parte, degli influssi di un certo darwinismo.
Mussolini, pur condividendo le accuse verso le cospirazioni ebraiche, ne avvertiva solo in parte i pericoli esistenziali e degenerativi, forse anche per la diversa situazione del suo paese rispetto al tasso di presenza giudaica.
In questo era più che altro Romano, nel senso che gli bastava togliere agli ebrei le possibilità di speculazione e di manovra, riassumendoli poi in qualche modo nella nazione e subordinandoli agli interessi ed alla vita dello Stato. 
Dal punto di vista razziale poi, anche in considerazione dell’eterogeneità del composito razziale degli italiani e forte della presenza di uno Stato etico ed autoritario, Mussolini tendeva ad annettere meno importanza ai fattori biologici esaltando invece gli aspetti spirituali ed etici degli individui (la cosiddetta stirpe italica, più ideale che razziale, da difendere e valorizzare).
Ma vediamo, più da vicino le altre loro  peculiarità e differenze.
Hitler era un rivoluzionario assoluto, come forse mai si era visto apparire nella storia, ed il suo agire era drastico e cruento, ma sostanzialmente e rivoluzionariamente giusto. Questo suo carattere spietato lo si era visto chiaramente all’opera nel 1934 con la “notte dei lunghi coltelli”, di fronte alla defezione interna delle SA,  ma anche dopo il violento repulisti seguito all’attentato del 20 luglio 1944 nel quale si configurava oltretutto un vile tradimento verso la patria in guerra.
Utilizzava l’arte politica come un mezzo, uno strumento per la conquista e la gestione del potere, ma la aborriva sinceramente. Era però capace di simulare stati d’animo ed aspetti esteriori tali da influenzare le capacità decisionali di coloro che gli si ponevano innanzi. Ogni suo compromesso, ogni suo accordo che aveva dovuto giocoforza conseguire, non lo distoglievano mai dagli obiettivi che si era proposto ed egli usava questi compromessi (con l’industria, con le forze armate, con l’aristocrazia tedesca, con la borghesia, con lo stesso partito, ecc.), al solo fine di raggiungere, per altre vie, l’obiettivo di una rivoluzione finalizzata alla edificazione di una grande Germania nazionalsocialista.
Mai, però, i compromessi che pur aveva dovuto praticare, lo deviavano dai suoi obiettivi. In questo fu un rivoluzionario totale e forse, come detto, mai si era visto nella storia, un uomo così risoluto, coerente e caparbio, fino all’incredibile, nel raggiungere determinati obiettivi da lui prefissati, poi magari deviati, sospesi, ma mai abbandonati e sempre alla fine realizzati.
Tutti coloro che, stringendoci accordi, che offrendogli delle mediazioni pensavano di averlo in qualche modo limitato, controllato o stemperato nei suoi fini, ne rimasero poi smentiti e sopraffati, proprio perchè il Führer, quale fosse stato il compromesso subito, non rinunciò mai alla realizzazione dei suoi piani.
Egli aveva concepito il nazionalsocialismo come una alternativa politica radicale e confacente alla natura ed agli interessi del popolo tedesco, popolo secondo lui da riunire in un Grande Reich.
Intese la guerra, conscio della posta in gioco, come un tutto o niente in un ordine di cause, oseremmo dire, metastoriche.
Da qui i suoi ordini di distruzione e di resistenza ad oltranza fino all’ultimo uomo onde far trovare terra bruciata all’avanzata del nemico.
Aveva infatti, giustamente, valutato che non poteva esserci alcun futuro, di nessun tipo, dopo la sconfitta, né per il nazionalsocialismo, né per la nazione tedesca così come lui  l’aveva concepita e neppure per una libera Germania. 
La guerra, nella sua configurazione mondiale, gli era stata subdolamente imposta dagli avversari che miravano alla distruzione della Germania ed all’occupazione dell’Europa, ma in un certo senso l’aveva anche voluta, o meglio accelerata in quel settembre del ‘39, sia per non perdere l’occasione storica irripetibile di conseguire gli irrinunciabili obiettivi geopolitici nell’Est Europa e sia per non farsela imporre successivamente e in condizioni di manifesta inferiorità. Con questi presupposti e in quelle condizioni, l’unica decisione consequenziale e coerente, anche per evitare di cadere vivo nelle mani del nemico (lo avrebbero ridotto ad un pagliaccio prima di ucciderlo), era quella che prese: barricarsi dentro Berlino per l’ultima battaglia e togliersi la vita.
Mussolini era, invece, essenzialmente un rivoluzionario squisitamente politico, dove la politica è l’arte del possibile ed aveva, inoltre, quella particolare indole interiore che lo faceva sentire uno statista al servizio totale della nazione.
Aveva concepito il fascismo come unica possibilità di attuare un socialismo effettivamente praticabile e di inquadrare, in un corpus di leggi innovative e di iniziative sociali rivoluzionarie per l’epoca, tutto l’apparato dello Stato e la vita della Nazione. Nazione, intesa come Patria, in cui il fascismo ne doveva costituire, appunto, l’ossatura ed il volano per indirizzarla verso grandi traguardi. Imprese queste non da poco, se solo si considera che tutta la struttura economica e finanziaria italiana erano un retaggio del risorgimento massonico e quindi inquinate da profondi ed antichi legami finanziari e massonici di natura internazionale e cosmopolita.
All’occorrenza usava la violenza come mezzo, ma aborriva il sangue e le vendette, preferendo risolvere i contrasti ed i rapporti di potere politicamente: gli bastava che gli avversari fossero posti fuori gioco ed invece di eliminarli fisicamente preferiva controllarli e spesso finanziarli come fece per buona parte del fuoriuscitismo italiano.  Col tempo era incline a perdonare e recuperare persino irriducibili avversari. 
Alla notizia che in Germania c’era stata la sanguinosa “notte dei lunghi coltelli”, ne restò inorridito affermando: <>.  Le grazie che concesse, ai condannati a morte durante la guerra civile non si contano e il socialista Carlo Silvestri ne fu testimone.
Essendo un politico, per giunta pragmatico, i compromessi erano per lui un arma essenziale ed in questo era un maestro nel gestirli, convinto che l’importante era, comunque, tenere in mano il potere per attuare cambiamenti rivoluzionari fatti di lente tappe riformatrici ed attraverso l’opera legislativa del suo governo.
E questo anche perchè era conscio di condividere un potere in diarchia con la Monarchia e condizionato da molte forze non proprio amiche (finanza, industria, militari, Vaticano) che, per la nostra storia nazionale, ma anche per lo scarso materiale umano a disposizione, era conscio che non sarebbe riuscito a soggiogare completamente.
Di fatto però e alla lunga, spesso i tergiversamenti ed i compromessi lo distoglievano dagli obiettivi rivoluzionari che pur avrebbe dovuto attuare, lasciando le cose come stavano con gravi implicazioni future per il fascismo (e per la guerra).
Creò il fascismo nel marzo del 1919 sulla scia dell’interventismo e della difesa e valorizzazione di Vittorio Veneto (quindi con un certo fardello di reminiscenze risorgimentali antiaustriache di stampo massonico, ma volenti o nolenti era quella la nostra storia) e sull’intuizione della composizione tra il sociale e il nazionale (in pratica un socialismo nazionale), ma anche come reazione ad un possibile avvento rivoluzionario del bolscevismo italiano. 
Consequenziale alla sua storia di socialista, massimalista prima e nazionale poi, ne impiantò il programma originario su dettami prettamente di sinistra. Questo primogenito fascismo di sinistra, per altro sconfitto alle elezioni del novembre del 1919, si rivelò ben presto inadeguato nel processo rivoluzionario.
La necessità di far avanzare il movimento fascista e di provare a prendere il potere portò quindi Mussolini, già dal maggio del 1920, a rettificare le posizioni politiche del fascismo, rispetto all’atteggiamento verso la borghesia e la pregiudiziale repubblicana che venne accantonata. Questa nuova politica portò il fascismo ad utilizzare gli appoggi di agrari e capitalisti vari spaventati dalle violenze dei rossi. Al contempo, inevitabilmente, le file fasciste si riempirono con gli elementi di più disparata origine ed estrazione ideale.
Il congresso fascista di Roma del 1921 sancì una svolta a destra, già da tempo in atto, del fascismo stesso e portò all’avvento di personalità come Dino Grandi, ecc.
In ogni caso i sovvenzionamenti e gli appoggi (compresi quelli di origine massonica) furono per Mussolini sempre e solo un mezzo per la rivoluzione.
E’ falso, infatti, che il fascismo sia nato come una espressione del capitalismo e degli agrari o dei massoni, tutti sia pure in qualche modo interessati e partecipi, ma esso nacque essenzialmente dalla enorme e prorompente vitalità e originalità idealistica e politica di Mussolini.
E’ certo comunque che Mussolini aveva perfettamente la coscienza di doversi scrollare di dosso l’ingombrante fascismo agrario (in particolare quello toscano con le sue squadre armate) e l’ingerenza del grande capitale.
Il suo desiderio era quello di varare un governo con i socialisti unitari ed i popolari, coinvolgendo anche la Confederazione del Lavoro. Non gli fu possibile per le trame massoniche che arrivarono a gettargli contro il cadavere di Matteotti anche per frenare le sue iniziative a sinistra. Da quel momento dovette ripiegare sul solo corporativismo, tra l’altro stemperato dalle resistenze del capitalismo. 
Assunse il potere nel 1922 con la marcia su Roma, ma con il consenso della corona, iniziò gestendolo con una politica economica e nazionale di destra del resto opportuna, in quel periodo, per rilanciare il potenziale industriale ed economico, assai misero, della nazione, ma non tralasciò mai, nonostante aveva dovuto abbandonare l’idea di coinvolgere nel governo i socialisti, la possibilità di introdurre profonde riforme sociali, come per esempio lo Stato del Lavoro e le Corporazioni che però non poterono essere portate alle loro conseguenze naturali a seguito delle resistenze borghesi e di classe.
Dalla presa del potere in poi, comunque, Mussolini, spiazzando tutti coloro che lo avevano ritenuto gestibile e manipolabile o un fenomeno transitorio, dimostrò grandi doti di statista e di abile politico cercando, in una situazione piena di ostacoli e resistenze, di subordinare ogni decisione e gli stessi aspetti ideologici del fascismo, agli interessi dello Stato ed alla realizzazione di una moderna e grande Nazione italiana. 
In questa ottica di valorizzazione di ogni peculiarità nazionale e di proiezione del paese verso grandi compiti, rientra anche l’abile accordo sulla Conciliazione tra Stato e Chiesa del 1929, che gli attirò ancor di più gli odi massonici.
Egli spese ogni sua energia alla elevazione morale e materiale del popolo italiano, arrivando a costruirgli un Impero coloniale che potesse risolvere il problema dell’esuberanza popolare della nazione non bilanciata da risorse e ricchezze naturali. E’ comunque indubbio che senza il grande impulso del fascismo, nel campo delle riforme e delle grandi costruzioni e realizzazioni delle infrastrutture in ogni angolo della penisola, l’Italia sarebbe rimasta un paese estremamente arretrato al pari di analoghe nazioni balcaniche o del sud Europa.
Cercò quindi di sollecitare ogni energia psica e morale ed ogni volontà di potenza nell’Italiano, al fine di poterlo adattare a grandi compiti.
Acconsentì quindi ad irrigimentare ed inquadrare tutto il popolo in uno stile guerriero e dinamico, ottenendone quasi sempre però, per le poche attitudini  di questo stesso popolo e l’inadeguatezza dei gerarchi (Starace), una penosa e ridicola caricatura (vedi i gerarchi in stivali con pancetta costretti, per fare carriera, a correre e saltare nelle parate oppure i retorici “A noi!” spesso proferiti a vanvera da qualunque imbecille o pusillanime).
E proprio questa contraffazione ridicola delle qualità rivoluzionarie e dello stile di vita di cui il fascismo era portatore, che mostra come fu  proprio l’italiano, inteso come razza, come sostanza caratteriale ed attitudine psicologica di un popolo, ad agire negativamente verso il fascismo e non il contrario!
Come si vede, dal 1919 al 1943, era stata la sua una politica essenzialmente pragmatica con la quale aveva sempre adeguato l’ideologia fascista agli interessi preminenti della nazione e nel presupposto che il fascismo, come stile di vita, riforme sociali e programmi politici, si sarebbe potuto attuare, silenziosamente, lentamente ed automaticamente solo attraverso il mantenimento del potere, anche se nel frattempo le forze conservatrici e del grande capitale avrebbero mantenuto privilegi e frenato ogni apertura sociale..
In tal modo trascorse il cosiddetto Ventennio, dove però si accumularono tutte le carenze, i compromessi, le debolezze caratteriali del popolo e le deficienze del fascismo stesso  il quale, sottoposto alla prova della guerra, crollò miseramente portando Mussolini ed il fascismo al 25 luglio.
Con la RSI, libero da legami plutocratici e borghesi, era finalmente riuscito ad attuare il suo vecchio sogno socialista per la realizzazione massima di una grande riforma di giustizia sociale, per di più scrollando di dosso alla nazione una Corona da sempre parassita e vigliacca. Mussolini avrebbe voluto lasciare almeno questa eredità al popolo italiano, ma non gli fu possibile.
L’infamia, moralmente e storicamente incalcolabile, dell’8 settembre ed il conseguente sfascio di tutta la Nazione, lo costrinsero a privilegiare una imprescindibile ricostruzione ed affermazione dello Stato e dell’esercito italiano, ed in questo senso dovette utilizzare e chiamare a partecipare alla RSI uomini e personalità di grande carisma e capacità tecniche, ma essenzialmente moderati e certamente poco o niente fascisti. Furono, in buona parte, proprio costoro che, a guerra finita, data la loro forma mentis, riabbracciando conservatori ed ex pseudo fascisti del ventennio, trasformarono il fascismo in un neofascismo subordinato agli interessi atlantici.
La guerra l’aveva subita, non la voleva, non per principio, ma per il semplice motivo che sapeva di non essere in condizioni di intraprenderla, ma la logica delle cose lo avevano obbligato a farla ugualmente.
E una volta dentro cercò disperatamente di condurla nell’esclusivo interesse della nazione incarnando una visione geopolitica confacente a questo interesse. Una visione geopolitica che contrastava sostanzialmente con l’occidente anglo americano, ma doveva fare i conti con i Savoia e gli ambienti militari che invece erano in sintonia con gli interessi franco inglesi per i quali vi si trovano contro solo per situazioni contingenti e transitorie.
Una geopolitica che non poteva altresì non essere diversa da quella della Germania tesa a programmi ed obiettivi geopolitici di diversa natura.
Il dramma del Duce era rappresentato dal fatto che, pur incarnando questa visione geopolitica di altissimo valore e peculiare agli interessi del nostro paese, non riusciva poi ad  attuarla per la manifesta inferiorità del nostro potenziale bellico.  
Era conscio che il fascismo era stato aggredito da una coalizione mondiale senza scrupoli, impersonata dai grandi parassiti e speculatori finanziari ed economici, e lo disse anche,  ma non ne traeva in pieno le stesse deduzioni circa una cospirazione planetaria in atto, prevalente su ogni altro aspetto storico e politico e quindi le irriducibili conseguenze che ne traeva Hitler.
Come già detto non arrivò a concepire una guerra totale del tutto o niente e dai caratteri metastorici.
Da rivoluzionario, essenzialmente politico, sperava sempre di trovare la strada per risolvere i problemi, a volte forse anche quelli di natura  bellica.
Ma in questo si sbagliava, perchè la coalizione nemica aveva fini ideologici e strategie di dominio planetario irriducibili, per le quali il fascismo, i suoi valori o anche una semplice struttura di Stato nazionalpopolare dovevano essere banditi per sempre.
Era comunque conscio, dell’inganno inglese nella nostra guerra, e della volontà altrui di scatenare, senza scrupoli, una carneficina mondiale.
Dovendo subire le conseguenze dell’8 settembre ed il pesante condizionamento che i tedeschi imponevano alla RSI, ne soffriva per l’impotenza a non poter riprendere la piena autonomia militare e dello Stato ed oltretutto detestava istintivamente il modo di comportarsi e di agire dei tedeschi stessi sul suolo italiano.
Con una autorità statale, di fatto in condizioni pietose, troppo fece per l’autonomia del governo repubblicano.
Con la fine della guerra e l’inevitabile sconfitta, avrebbe voluto difendere il suo operato ed al contempo difendere l’Italia di fronte a tutto il mondo, anche perché in possesso di documenti tali che non avrebbero lasciato dubbi in proposito.
L’amore per l’Italia e per il popolo italiano e la sua natura di statista al servizio della nazione lo portavano ad un distinguo tra il fascismo inteso come rivoluzione ed ideologia e la vita ed il futuro della Patria, con la quale il fascismo stesso si doveva identificare, specialmente dopo lo sfacelo dell’8 settembre.
Questo lo spinse, durante il governo della RSI, ad agire accantonando gli aspetti ideologici per privilegiare ogni possibilità di ricostruzione allora indispensabile dello Stato, al recupero dell’onore della nazione alla utilizzazione, come detto, di personaggi di valore, ma essenzialmente a-fascisti ed alla salvaguardia dei beni e delle strutture del paese evitando altri lutti. 
Ma nonostante tutto questo e nonostante lo scarso apporto bellico della RSI, traspare ugualmente come la RSI ed il fascismo repubblicano incarnino, sempre e comunque, quella visione geopolitica di Mussolini che si scontra con gli interessi britannici e che non coincide con quelli tedeschi.
Firmava ogni grazia che gli venisse sottoposta, anche a nemici che poi lo avrebbero vigliaccamente colpito, conscio che era oramai inutile ogni altro spargimento di sangue e che comunque il fascismo sarebbe finito con la guerra e l’occupazione Alleata.
Di qui i suoi tentennamenti sul da farsi; il disperato illusorio tentativo di indurre Churchill ad un accordo (considerando anche la presenza della Germania, come dimostrano le intercettazioni telefoniche ed epistolari), che potesse limitare i danni della sconfitta; la speranza finale di cercare un trapasso indolore dei poteri; il desiderio di lasciare le riforme sociali della RSI ai socialisti; gli spostamenti alla cieca del 25 e 26 aprile che, anche a seguito della resa tedesca lo condussero, prima ad evitare un arroccamento catastrofico dentro Milano e poi a peregrinare tra Como, Menaggio e verso il miraggio della Valtellina. 
Mussolini, in pratica, andò incontro al suo destino, conscio della sua buona fede e convinto che la Storia ed i documenti avrebbero parlato per lui.
Purtroppo tutto questo lo portò ad essere arrestato, sicuramente anche per delazione tedesca, da un pugno di cialtroni, abbandonato quasi da tutti ed infine ucciso vigliaccamente, assieme ad una donna, in modalità – che probabilmente per la loro bassezza e per i secondi fini che nascondevano – non sono mai state rese note.



N O T E

  157 - Il fascismo ed il nazionalsocialismo, possono anche essere considerati, da un punto di vista non solo politico e ideologico, un tentativo (forse l’ultimo) in atto nella Storia per una affermazione tradizionale eroica conforme ai tempi ultimi ovvero un ritorno, nell’affermarsi di certi valori atemporali, adattandoli a quello che è stato chiamato il secolo delle masse. Quello che però in questa sede ci interessa sono gli aspetti propriamente politici che caratterizzarono queste due rivoluzioni.
  158 - Tanto per avere un idea e fare un paragone, si consideri che Lenin e Stalin, altri due grandi rivoluzionari, non vantano però questa completezza ideologica e rivoluzionaria presente invece in Hitler e Mussolini. Lenin si ritrovò, già da tempo presente, la concezione marxiana della società per la quale, tutto al più, teorizzò e perseguì la condotta e la prassi rivoluzionaria; Stalin addirittura, partecipò, ma non teorizzò l’ideologia di partito. A questo devesi aggiungere la complicazione storica che Hitler e Mussolini si trovarono anche ad agire ed operare, quali portatori di un etica e di certi valori dal carattere tradizionale, in un contesto umano già in stato degenerativo di “modernismo” avanzato.
  159 -   Alquanto importante era stata, tra l’altro, la partecipazione di elementi di razza ebraica alla rivoluzione fascista (si è calcolato che circa 250 parteciparono alla marcia su Roma, 5 se ne contano alla fondazione del 23 marzo  del ’19, 4 saranno  sciarpe littorio, Enrico Rocca fondò il fascio di Roma e non fu il solo, alcuni come Finzi entrarono nell’entourage governativo, circa 50 diverranno podestà) ed oltretutto le proprietà ebraiche e le loro partecipazioni azionarie nella finanza e nell’industria, non avevano subito alcuna repressioni da parte della dittatura fascista. Ovviamente con l’avvento di uno Stato autoritario, l’operato di governo e le innovazioni legislative e sociali del fascismo, tesi a privilegiare gli aspetti etici e politici, rispetto a quelli economici, per l’ebraismo finanziario cosmopolita le cose si mettevano male, ma in sostanza, almeno fino alle leggi raziali del 1937/’38 la popolazione ebraica italiana rimase abbastanza estranea a forme di contestazione.
  160 - Pur non essendoci poi stato un concreto seguito (anche per certe resistenze cattoliche e nello stesso partito fascista) Mussolini, distinguendosi oltretutto dal razzismo di stampo tedesco, tendeva a condividere quel razzismo a carattere spirituale, proposto da J. Evola (vedi i libri di Evola “Il mito del sangue” e la Dottrina della razza” della Hoepli) dove gli aspetti biologici del razzismo erano subordinati e secondari rispetto a quelli psicologici, etici e soprattutto spirituali. La forza delle cose, invece, fece sì che il fascismo, con il suo manifesto della razza del 1938, attuò una brutta scopiazzatura, senza capo ne coda, del razzismo tedesco.
  161 -   Gli eccessi che si verificarono nel giugno/luglio del 1934 a seguito della repressione di Röhm e delle SA, furono più che altro dovuti ad iniziative non dipendenti da Hitler (in particolare di Himmler e di Goering). Ma è estremamente interessante sottolineare, per capire l’ideologia del Führer, come egli di fronte alle spinte idealistiche, ma inconcludenti, interne al partito ed alla SA che tendevano al compimento ideologico, politico e sociale, con una seconda rivoluzione, Hitler scelse la strada della collaborazione con le forze armate, subordinando ogni aspetto ideologico agli interessi della Nazione, ovvero alla possibilità di ricostruire una grande Germania che era il vero obiettivo ideologico e strategico della sua politica.
  162 -  Se si considera la pervicace volontà del mondialismo massonico, di conseguire un dominio mondiale totalitario e se si considera la contemporanea e conseguenziale invadenza, irreversibile, di uno stile di vita modernista e degenerato che hanno ridotto tutto il pianeta ad una poltiglia umana informe, multirazziale, priva di ogni senso della vita e di qualsivoglia valore, dobbiamo oggi dedurre che Hitler, nella sua visione assoluta e totalitaria del tutto o niente, nella sua visione metastorica della guerra, aveva ragione.
  163 -   I fratelli Rosselli, uccisi in Francia, lo furono per opera trasversale del Comintern, in quanto i sovietici controllavano una criminale organizzazione di destra all’uopo utilizzata per sporche operazioni contro dissidenti dalla politica staliniana e anarchici. Vedi: F. Bandini Il cono d’ombra Milano Sugarco,  1990..
  164 -  Nel settembre 1943 si sarebbe anche accontentato di aver messo in galera Ciano e compagni e se gli fosse stato possibile li avrebbe sicuramente salvati dalla condanna a morte. Questo suo aspetto umano lasciò sgomento Hitler, quando lo intuì, dopo il loro incontro a seguito della liberazione del Gran Sasso.
  165 -   La massoneria aveva avuto un decisivo ruolo nell’interventismo italiano del 1914 (con l’evidente scopo di portare l’Italia in guerra contro gli Imperi Centrali) ed anche negli appoggi a Mussolini ed al Popolo d’Italia che nacque proprio in quel contesto ed, in questo caso, con gli stessi intenti.
             A quel tempo ritroviamo massoni in ogni partito e ad ogni angolo del paese, tra gli irridentisti, in particolare nel contendere città come Trento e Trieste all’Austria poi, nel dopoguerra, alla fondazione del fascismo, soprattutto nell’impresa dannunziana di Fiume, ecc.
L’abilità politica di Mussolini, il suo forte pragmatismo politico, la difesa della vittoria mutilata, il successo sempre crescente del movimento fascista, indussero evidentemente i massoni a puntare su di lui per poterne fare un piccolo e locale Napoleone.
Ma come accadde poi con gli appoggi ed i finanziamenti degli agrari, Mussolini riuscì sempre a tenersi abbastanza indipendente tanto da poter determinare scelte e provvedimenti, ostici alla massoneria e tali da impedire a questa di prendere in mano il fascismo pur potendo contare, al suo interno, su tanti massoni.
Mano a mano che il fascismo si dava una sua ideologia divenendo al contempo anche partito di governo, affermando quindi il senso dello Stato gerarchico e la sua autorità, l’etica nell’economia, ecc., la massoneria che aveva considerato il fascismo come un fenomeno da utilizzare transitoriamente prese (a cominciare dal Grande Oriente del gran maestro Torregiani) a rivoltarsi contro il fascismo stesso e sopratutto contro Mussolini.  Questo portò a feroci contrasti tanto che Mussolini, come già aveva fatto nel PSI, al tempo in cui era socialista, finì per imporre l’incompatibilità tra il fascismo e questa setta. Molti gerarchi e capi fascisti dovettero scegliere, se stare con la massoneria o con il fascismo, ma mentre alcuni (vedi Farinacci) avevano da tempo già scelto il fascismo con convinzione, altri lo fecero solo per opportunismo. Note sono le vendette massoniche verso Mussolini, si vedano i vari attentati da lui subiti ed in questo rientrano anche strani attentati terroristici come quelli alla Fiera di Milano nel 1928.
   166 -  Vedesi il libro del socialista Carlo Silvestri Matteotti Mussolini e il dramma italiano Ed. Ruffolo 1947
   167 - Significativo quanto accadde dal 1922 al 1924 quando la massoneria e l’Alta  Banca speculativa (in primis la Banca Commerciale di Toeplitz), che aveva finanziato ed appoggiato la fase cruciale della presa del potere di Mussolini con l’intento di ipotecarne futuri benefici, riuscì ad introdurre o sistemare suoi personaggi e trafficanti non solo dentro il fascismo e nei giornali, ma anche nella Presidenza del Consiglio, formando una lobby criminale di stampo finanziario e massonico con la quale intraprendere tutta una serie di accaparramenti e speculazioni all’ombra del potere. Noti sono i nomi di coloro che si trovarono implicati in traffici e maneggi di dubbia finalità: Aldo Finsi, Cesare Rossi, Max Bondi, Filippo Naldi, Massimo Rocca, Filippo Filippelli, Carlo Bazzi, e soprattutto Giovanni Marinelli, ecc.
Ebbene, nonostante gli appoggi avuti ed il condizionamento in atto, laddove buona parte delle strutture statali e dello stesso fascismo erano piene zeppe di affiliati alla setta massonica, Mussolini, miracolosamente, riuscì ugualmente a muoversi nell’interesse dello Stato (vedi il diniego alla legalizzazione di casinò con gioco d’azzardo, lo scontro con la Standard Oil di Rockfeller sul petrolio, ecc.) tentando di affermare un carattere dirigistico all’economia del paese e cercando di concioliare l’etica con gli affari, tanto che questi ambienti finanziari e speculativi, anche dietro il pericolo di una apertura governativa di Mussolini ai socialisti, progettarono di defenestrarlo dal potere arrivando, per questo fine, all’assassinio di Matteotti (elemento che oltretutto stava per denunciarli) e persino ad un progetto per eliminare fisicamente Mussolini. Purtroppo però Mussolini fu anche costretto ad imporre la dittatura.
Dopo l’ulteriore colpo ricevuto con la Conciliazione, la massoneria italiana entrò apparentemente in sonno, per poi risvegliarsi con la nostra entrata in guerra in modo da poterla ferocemente sabotare.
    168 -   Storici e giornalisti ingenui, male informati o in mala fede, spesso rifacendosi alla politica di Mussolini degli anni ’20 e ’30, vista con occhi superficiali, e riscontrando in lui la sua insofferenza verso i teutonici, identificano in Mussolini una politica internazionale filo occidentale ed antitedesca, cosa che li porta poi a definire il Duce, anche negli anni ’40 più filo britannico che filo tedesco. A parte che quella politica internazionale, da Locarno a Stresa, era per Mussolini una politica di equilibrio tra potenze, atta a dare all’Italia il tempo di crescere, proprio già in quella politica e nel suo riconoscimento dell’Unione Sovietica, già si intravede come il Duce persegua una visione geopolitica esclusivamente confacente agli interessi italiani e quindi, in definitiva antibritannica per eccellenza ed al contempo equidistante da quella tedesca. Solo l’estrema debolezza della nazione e il substrato filo occidentale della monarchia e dell’industria italiana gli impedirono di perseguire sempre e  concretamente la sua visione geopolitica.
   169 -  In un ultimo scritto, da alcuni però messo in dubbio, ma comunque rispondente allo stile ed al pensiero di Mussolini, si può leggere: “Tra le cause principali del tracollo del fascismo io pongo la lotta sorda ed implacabile di taluni gruppi industriali e finanziari, che nel loro folle egoismo temevano ed odiano il fascismo come il peggior nemico dei loro inumani interessi. Devo dire per ragioni di giustizia che il capitale italiano, quello legittimo, che si regge con la capacità delle sue imprese, ha sempre compreso le esigenze sociali, anche quando doveva allungare il collo per far fronte ai nuovi patti di lavoro”.
   170 -  Mussolini, da buon pragmatico, aveva sempre considerato il Fascismo come una forza ideologica e politica al servizio della Patria con la quale, per la portata storica delle nuove idee, per l’etica che rappresentava e per il processo rivoluzionario che aveva intrapreso, finiva per identificarsi. La politica mussoliniana di mettere il Fascismo al servizio della Patria (tra l’altro il Duce non aveva mai dato un eccessivo potere ad uomini di partito attestati su posizione estreme come Farinacci o Preziosi e neppure a Pavolini durante la RSI, proprio per privilegiare l’interesse nazionale su quello di parte) venne considerata unilateralmente da traditori e pusillanimi che il 25 luglio 1943 ed il 25 aprile 1945, con la falsa e comoda scusa di anteporre la Nazione alla fazione (il Fascismo) si defilarono dai loro impegni e dal loro dovere di Fascisti. Il Fascismo al servizio della Nazione non poteva, infatti, essere inteso al servizio dell’Italia badogliana nata da un colpo di stato nè tanto meno, di quella del CLN.
  171 - Ai fini di una sua salvezza personale e di una uscita, sia pure ignominiosa dalla guerra, qualcosa in più gli sarebbe forse riuscita se, privo di scrupoli, avesse buttato a mare la Germania, l’onore e la sicurezza dell’Italia del Nord, ed ogni prerogativa fascista, trattando unilateralmente con gli Alleati e cercando di salvarsi la pelle in cambio di una specie di esilio. Mai è poi mai, infatti, alla Germania sarebbe stata evitata la distruzione totale, scopo vero di tutta la guerra. Non per nulla la resistenza tedesca al nazismo, che pur condusse all’attentato ad Hitler del 20 luglio, non trovò mai appoggi tra gli Alleati, proprio perchè questi non volevano essere poi obbligati ad accettare forme libere di rinascita nazionale tedesca anche se democratiche e di natura anti nazionalsocialista.
  172 - In una sua sottolineatura a matita, come era uso fare, di un discorso di Churchill ai Comuni del maggio 1944, Mussolini evidenziò quanto segue:
“La giustizia dovrà essere fatta ed il castigo cadrà sui malvagi e sui crudeli. Gli sciagurati che hanno macchinato per soggiogare prima l’Europa e quindi il Mondo devono essere puniti. Così dovranno esserlo anche i loro agenti che in tante nazioni hanno perpretato orribili delitti. Essi devono essere condotti ad affrontare il giudizio delle popolazioni che hanno oltraggiato, sulle stesse scene delle loro atrocità”.


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