martedì 7 agosto 2012

LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA



L ’ INFAMIA E IL  TRADIMENTO


Il 14 maggio 1943 la radio annunciava: “Ogni resistenza è cessata in Tunisia per ordine del Duce”. Questo significava che l’ultimo lembo d’Africa era stato perduto dalle forze dell’Asse. Le sorti della guerra volgono al peggio. Ora è il territorio italiano esposto agli attacchi nemici.
E nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943 scatta l’”Operazione Husky” : le armate settima americana agli ordini del Gen. Patton (66000 uomini) e ottava inglese agli ordini del Gen. Montgomery (100000 uomini) sbarcano nella Sicilia sud-orientale sopraffacendo le nostre difese.
Il 22 cade Palermo. La Sicilia è ormai perduta. La popolazione, messa alla fame. La notizia che tutti i siciliani avrebbero accolto con gioia gli anglo-americani acclamandoli è sicuramente non vera. Infatti un po’ in tutto il sud si ebbe una vera e propria resistenza fascista.

Alcuni uomini politici fascisti, fra cui Grandi, chiedono la convocazione del Gran Consiglio del Fascismo. E il Segretario Nazionale Carlo Scorza, d’accordo con Mussolini, lo convoca per il 24 luglio alle ore 17.
Dopo la relazione di Mussolini e alcuni interventi, prende la parola Grandi per illustrare il suo ordine del giorno che propone, in estrema sintesi, di mettere la situazione nelle mani del re. Mussolini avverte che l’approvazione di quell’ O.d.G. metterebbe in crisi il regime e propone di rinviare la discussione, data anche l’ora ormai tarda. Ma Grandi e altri chiedono di andare avanti. Sono ormai passate le ore 2 del 25 luglio allorchè si passa alla votazione degli O.d.G. Quello di Grandi viene approvato con 19 sì, 7 no e 1 astenuto .
Farinacci, il 28° membro, vota il proprio O.d.G. Sono le ore 2,40 del 25 luglio 1943.
La mattina del 25 trascorre senza che nulla accada. Mussolini si reca a Palazzo Venezia come di consueto e sbriga le cose correnti. Però chiede al re di anticipare alle ore 17 di quello stesso giorno, domenica, la consueta udienza settimanale del lunedì.
E alle 17 va dal Re. Non si sa molto del colloquio, nel quale il re comunica a Mussolini  che lo sostituirà con Badoglio.  Il colloquio,  però,  si  conclude  con  una cordiale  stretta  di  mano.  Certo  Mussolini  non  poteva immaginare che, uscito dalla sala dell’udienza, avrebbe trovato i carabinieri incaricati di arrestarlo.

Il re affida l’incarico di formare il nuovo governo al Generale Pietro Badoglio che annuncia subito che la guerra continua a fianco dell’alleato germanico e vieta qualsiasi manifestazione. In realtà egli avvia da subito contatti con gli anglo-americani per trattare le condizioni di un armistizio. Le trattative proseguono ma gli alleati anglo-americani vogliono la resa senza condizioni.
E il 3 settembre 1943 a Cassibile, presso Siracusa, il Gen. Castellano firma l’armistizio. Lo stesso giorno gli alleati sbarcano in Calabria e cominciano a risalire la penisola. Badoglio e il re, che temono le reazioni della Germania, cui fino all’ultimo si è giurata amicizia e rispetto del patto di alleanza, vorrebbero ritardare l’annuncio dell’armistizio (intanto, ad armistizio già firmato, i bombardieri americani continuano a seminare morte in Italia), ma la radio americana, alle ore 17,45 dell’8 settembre diffonde la notizia. E due ore dopo anche Badoglio è costretto a dare l’annuncio. Subito dopo fugge con il re, la sua famiglia e alcuni generali e il 9 è a Brindisi, in territorio già occupato dagli ex-nemici.
L’esercito italiano, lasciato senza ordini, si disperde, la flotta, ancora in piena efficienza, vergognosamente va a Malta a consegnarsi agli inglesi.
Molti italiani sono indignati e non riescono ad accettare la resa ignominiosa.
Lo stesso Eisenhower nel suo “Diario di guerra” scrisse: “…la resa dell’Italia fu uno sporco affare. Tutte le nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e guerre perse, ma l’Italia è la sola ad aver perduto questa
guerra con disonore, salvato solo in parte dal sacrificio dei combattenti della R.S.I…”.

In effetti quando all’armistizio “corto” firmato il 3 settembre e che constava di soli 12 articoli e contemplava soltanto la cessazione delle attività militari, seguì l’armistizio “lungo” firmato da Badoglio a Malta sulla nave “Nelson” il 29 settembre, ci si rese conto della eccezionale durezza delle condizioni: Il nuovo testo, composto da 44 minuziosi articoli, stabiliva che al governo italiano veniva tolta, praticamente, ogni potestà. Tutto, assolutamente tutto, doveva passare sotto il controllo degli anglo-americani, che imposero, addirittura, delle modifiche legislative. In pratica l’Italia del sud perdeva ogni sovranità. E i tedeschi, che, dopo l’arresto di Mussolini avevano fatto affluire numerose truppe, catturano e deportano in Germania molti sbandati.
Regna il caos. Modesti tentativi di resistenza ai tedeschi si hanno a Roma ma cessano subito.

12 settembre un audace commando di SS atterra con degli alianti a Campo Imperatore sul Gran Sasso e libera il Duce.  Il comportamento del Gen. Fernando Soleti e dei carabinieri di guardia evita il conflitto e ogni spargimento di sangue. Una “Cicogna”, piccolo apparecchio da ricognizione, lo conduce a Roma da dove, su un aereo militare, raggiunge Monaco di Baviera.
Alcune fonti ritengono che Mussolini, stanco e sfiduciato, avrebbe considerato anche la possibilità di ritirarsi, ma avrebbe poi accettato, su insistenza di Hitler, di creare il nuovo stato per evitare all’Italia le probabili rappresaglie dei tedeschi, furiosi per il vile tradimento.
Il 13 ottobre Badoglio, contraddicendo clamorosamente la sua dichiarata volontà di voler ottenere la pace, dichiara guerra ai tedeschi.


NASCE  IL  NUOVO  STATO


Il 18 settembre Mussolini parla da Radio Monaco, e gli italiani possono riudire la voce ben nota.
I fascisti, che fin dal 9 settembre avevano riaperto molte sedi, si riorganizzarono rapidamente. Il 1 marzo 1944 Pavolini, in una relazione a Mussolini, comunicherà che “sono stati ricostituiti 1072 Fasci con 487.000 iscritti”. Roma ne contò 35.000, Milano 20.000, Ferrara 14.000.
Il 23 settembre Mussolini rientra in Italia e, alla Rocca delle Caminate, sua residenza personale, costituisce il Governo della nuova Repubblica. Il giorno 23 stesso alle ore 14 si ha, nella sede dell’ambasciata germanica a Roma, la prima breve riunione del governo, presieduta da Pavolini.
Il nuovo stato si chiamerà Repubblica Sociale Italiana (tale denominazione verrà deliberata dal Consiglio dei Ministri il 24 novembre 1943). Essa avrà Mussolini come Capo dello Stato e del governo e Ministro degli Esteri, con Graziani Ministro della Difesa Nazionale, Buffarini Guidi Ministro dell’Interno, Ferdinando Mezzasoma Ministro della Cultura Popolare e tutti gli altri.
Il 28 settembre 1943 inizia il funzionamento del nuovo Stato.

Il giorno 11 novembre furono costituiti i Tribunali Straordinari Provinciali per giudicare i fascisti che avevano tradito e un tribunale straordinario  speciale per giudicare i membri del Gran Consiglio che avevano votato l’O.d.G. Grandi, accusati di tradimento. Fra essi c’era anche Galeazzo Ciano, marito di Edda figlia del Duce. Il processo ebbe inizio alle ore 9 dell’8 gennaio 1944 a Verona in Castelvecchio. Il 10 gennaio alle ore 13,40 fu emessa la sentenza. Furono comminate 18 condanne a morte (Cianetti, che aveva ritirato il suo voto a favore fu condannato a 30 anni di reclusione). Ma la maggior parte dei condannati a morte aveva riparato all’estero e furono condannati in contumacia. Solo cinque erano presenti al processo : Ciano, De Bono, Marinelli, Pareschi e Gottardi. Essi furono fucilati l’11 gennaio 1944.

Il 22 febbraio 1944 il Duce nomina il nuovo Direttorio del Partito Fascista Repubblicano. Intanto il nuovo stato  aveva  cominciato  a  funzionare  regolarmente.  Le  condizioni  erano  drammatiche:  le  città  erano martoriate dai bombardamenti (il 20 ottobre 1944 suscitò orrore il bombardamento della scuola di Gorla a Milano, dove trovarono la morte 300 bambini. I civili morti per bombardamenti assommeranno a 64.000), il problema degli approvvigionamenti era impellente, i rapporti spesso non facili con i tedeschi complicavano ulteriormente le cose. A tutto questo, poi, cominciò ad aggiungersi il problema dei partigiani, con i primi assassinii di fascisti. Si trattava in prevalenza di giovani renitenti alla leva che si erano rifugiati in montagna, ma anche di vecchi antifascisti, specie comunisti, che intravedevano la possibilità di abbattere il Fascismo. Ci furono anche dei tentativi di sciopero.
Malgrado tutto ciò i trasporti continuarono a funzionare anche se fra mille difficoltà, le fabbriche continuarono il loro lavoro, le scuole riaprirono regolarmente, l’amministrazione pubblica faceva il proprio dovere, l’economia era governata con mano ferma (l’inflazione, ad esempio, era insignificante se paragonata con quella scatenatasi al sud, nelle terre occupate). Subito dopo l’8 settembre i tedeschi avevano introdotto i Marchi d’occupazione. Una delle prime preoccupazioni del Ministro delle finanze fu quella di farli ritirare. Ciò accadde il 25 ottobre 1943. Da quella data essi persero ogni valore legale. In data 1° dicembre venne costituito un Comitato Economico Italiano col compito di studiare le questioni economiche, con particolare riguardo all’economia di guerra. E in data 5 dicembre viene istituito un Comitato nazionale dei prezzi, con Carlo Fabrizi Commissario, alle dirette dipendenze del Duce.
A riprova di come le cose abbiano sempre continuato a funzionare a dovere durante la R.S.I. sta la testimonianza davvero non sospetta del Maggiore americano Michael Noble del 15° Gruppo di armate alleato. Egli, inviato a Milano per riorganizzare l’uscita dei quotidiani, vi giunse il 27 aprile 1945 e rimase stupito per l’ordine e la normalità che vi regnavano: “…Per prima cosa restai sorpreso vedendo grandi palazzi pieni di una vita normale, i tram che funzionavano, i cinema e i teatri aperti regolarmente, gli uffici pubblici in piena attività, la gente che stava seduta ai caffè vestita decorosissimamente. Era uno spettacolo nuovo ed estremamente civile…”.

Molto intensa fu l’azione di governo tesa a mantenere integro il potere di acquisto della moneta, a mantenere ad alti livelli la produzione agricola e industriale, a mantenere su buoni livelli il tenore di vita della popolazione.
E anche in tale situazione di assoluta emergenza (si pensi alle ingentissime spese militari, alle spese per mantenere in efficienza i servizi continuamente devastati dalle incursioni aeree…), il bilancio dello Stato chiudeva rigorosamente in pareggio.
Anche l’Opera Nazionale Balilla era risorta. In una relazione di Renato Ricci del 19 febbraio 1944 si dice che si sono “costituiti 66 centri provinciali, 2255 vecchi ufficiali rispondono alle chiamate; 50000 organizzati, 8740 ospiti nelle colonie; 300.000 refezioni scolastiche giornaliere”.
Né furono dimenticati gli italiani internati in Germania che avevano rifiutato di aderire alla R.S.I. In data 11.10.1944 si apprende che la Croce Rossa Italiana assiste 520.000 connazionali in Germania.
Ciò  fu  fatto  con  la  prima  Assemblea  Nazionale  del  P.F.R.  che  si  riunì  a  Verona  in  Castelvecchio  il  14 novembre  1943.  Ad  esso  parteciparono:  3  rappresentanti  per  ogni  federazione,  in  gran  parte  elettivi,  i delegati  regionali,  i  capi  delle  organizzazioni  sindacali,  i  membri  del  governo,  i  direttori  dei  giornali quotidiani e dei principali settimanali, i rappresentanti delle associazioni combattentistiche e degli Enti Morali della Nazione. Il Congresso fissò nei 18 punti di un Manifesto Programmatico quella che sarebbe stata la politica interna, estera e sociale della nuova Repubblica. Nacquero, così, i famosi “18 punti di Verona”:

In materia costituzionale interna
1  –  Sia  convocata  la  Costituente,  potere  sovrano  di  origine  popolare,  che  dichiari  la  decadenza  della Monarchia, condanni solennemente l’ultimo Re traditore e fuggiasco, proclami la Repubblica Sociale e ne nomini il Capo.
2 – La Costituente sia composta dai rappresentanti delle provincie invase attraverso le delegazioni degli sfollati e dei rifugiati sul suolo libero.
Comprenda altresì le rappresentanze dei combattenti; quelle dei prigionieri di guerra, attraverso i rimpatriati per minorazione; quelle degli italiani all’estero; quelle della Magistratura, delle Università e di ogni altro Corpo o Istituto la cui partecipazione contribuisca a fare della Costituente la sintesi di tutti i valori della Nazione.
3 – La Costituente repubblicana dovrà assicurare al cittadino – soldato, lavoratore e contribuente – il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti della pubblica amministrazione.
Ogni cinque anni il cittadino sarà chiamato a pronunziarsi sulla nomina del Capo della Repubblica.
Nessun cittadino, arrestato in flagrante, o fermato per misure preventive, potrà essere trattenuto oltre i sette giorni senza un ordine della autorità giudiziaria. Tranne il caso di flagranza, anche per perquisizioni domiciliari occorrerà un ordine dell’autorità giudiziaria.
Nell’esercizio delle sue funzioni la Magistratura agirà con piena indipendenza.
4 – La negativa esperienza elettorale già fatta dall’Italia e l’esperienza parzialmente negativa di un metodo di nomina troppo rigidamente gerarchico contribuiscono entrambe ad una soluzione che concilii le opposte esigenze. Un sistema misto (ad esempio, elezione popolare dei rappresentanti alla Camera e nomina dei Ministri per parte del Capo della Repubblica e del Governo, e nel Partito, elezione di Fascio salvo ratifica e nomina del Direttorio nazionale per parte del Duce) sembra il più consigliabile.
5 – L’organizzazione a cui compete l’educazione del popolo ai problemi politici è unica.
Nel Partito, ordine di combattenti e di credenti, deve realizzarsi un organismo di assoluta purezza politica, degno di essere il custode dell’idea rivoluzionaria.
La sua tessera non è richiesta per alcun impiego od incarico.
6 – La religione della Repubblica è la cattolica apostolica romana. Ogni altro culto che non contrasti alle leggi è rispettato.
7 – Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.

In politica estera
8 – Fine essenziale della politica estera della Repubblica dovrà essere l’unità, l’indipendenza, l’integrità territoriale della Patria nei termini marittimi ed alpini segnati dalla natura, dal sacrificio di sangue e dalla storia, termini minacciati dal nemico con l’invasione e con le promesse ai Governi rifugiati a Londra. Altro fine essenziale consisterà nel far riconoscere la necessità degli spazi vitali indispensabili ad un popolo di 45 milioni di abitanti sopra una area insufficiente a nutrirli.
Tale politica si adopererà inoltre per la realizzazione di una comunità europea, con la federazione di tutte le Nazioni che accettino i seguenti principi fondamentali:
a)  eliminazione dei secolari intrighi britannici dal nostro Continente;
b)  abolizione del sistema capitalistico interno e lotta contro le plutocrazie mondiali;
c)   valorizzazione, a beneficio dei popoli europei e di quelli autoctoni, delle risorse naturali dell’Africa, nel rispetto  assoluto  di  quei  popoli,  in  ispecie  musulmani,  che,  come  l’Egitto,  sono  già  civilmente  e nazionalmente organizzati.


In materia sociale
9 – Base della Repubblica Sociale e suo oggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.
10 – La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.
11 – Nell’economia nazionale tutto ciò che per dimensioni o funzioni esce dall’interesse singolo per entrare nell’interesse collettivo, appartiene alla sfera di azione che è propria dello Stato.
I pubblici servizi, e di regola, le fabbricazioni belliche debbono venire gestiti dallo Stato a mezzo di Enti parastatali.
12 – In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente – attraverso una conoscenza diretta della gestione – all’equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi per parte dei lavoratori.
In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali Commissioni di fabbrica. In altre, sostituendo i Consigli di amministrazione con Consigli di gestione composti da tecnici e da operai con un rappresentante dello Stato. In altre, ancora, in forma di cooperativa parasindacale.

13 – Nell’agricoltura, l’iniziativa privata del proprietario trova il suo limite là dove l’iniziativa stessa viene a mancare.  L’esproprio  delle  terre  incolte  e  delle  aziende  mal  gestite  può  portare  alla  lottizzazione  fra braccianti da trasformare in coltivatori diretti, o alla costituzione di aziende cooperative, parasindacali, o
parastatali, a seconda delle varie esigenze dell’economia agricola.
Ciò è del resto previsto dalle leggi vigenti, alla cui applicazione il Partito e le organizzazioni sindacali stanno imprimendo l’impulso necessario.
14 – E’ pienamente riconosciuto ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai professionisti, agli artisti il diritto di esplicare le proprie attività produttive individualmente, per famiglie o per nuclei, salvo gli obblighi di consegnare agli ammassi la quantità di prodotti stabiliti dalla legge o di sottoporre a controllo le tariffe delle
prestazioni.
15 – Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà. Il Partito iscrive nel suo programma la creazione di un Ente nazionale per la casa del popolo, il quale, assorbendo lo Istituto esistente  e  ampliandone  al  massimo  l’azione,  provveda  a  fornire  in  proprietà  la  casa  alle  famiglie  dei lavoratori  di  ogni  categoria,  mediante  diretta  costruzione  di  nuove  abitazioni  o  graduale  riscatto  delle esistenti. In proposito è da affermare il principio generale che l’affitto – una volta rimborsato il capitale e pagatone il giusto frutto – costituisce titolo di acquisto.
Come primo compito, l’Ente risolverà i problemi derivanti dalle distruzioni di guerra, con requisizione e distribuzione di locali inutilizzati e con costruzioni provvisorie.
16 – Il lavoratore è iscritto d’autorità nel sindacato di categoria, senza che ciò gli impedisca di trasferirsi in altro  sindacato  quando  ne  abbia  i  requisiti.  I  sindacati  convergono  in  una  unica  Confederazione  che comprende tutti i lavoratori, i tecnici, i professionisti, con esclusione dei proprietari che non siano dirigenti o tecnici. Essa si denomina Confederazione generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti.
I dipendenti delle imprese industriali dello Stato e dei servizi pubblici formano sindacati di categoria, come ogni altro lavoratore.
Tutte le imponenti provvidenze sociali realizzate dal Regime fascista in un ventennio restano integre. La Carta del Lavoro ne costituisce nella sua lettera la consacrazione, così come costituisce nel suo spirito il punto di partenza per l’ulteriore cammino.
17 – In linea di attualità il Partito stima indilazionabile un adeguamento salariale per i lavoratori attraverso l’adozione di minimi nazionali e pronte revisioni locali, e più ancora per i piccoli e medi impiegati tanto statali che privati. Ma perché il provvedimento non riesca inefficace e alla fine dannoso per tutti occorre che con spacci cooperativi, spacci d’azienda, estensione dei compiti della “Provvida”, requisizione dei negozi colpevoli di infrazioni e loro gestione parastatale o cooperativa, si ottenga il risultato di pagare in viveri ai prezzi ufficiali una parte del salario. Solo così si contribuirà alla stabilità dei prezzi e della moneta e al risanamento del mercato. Quanto al mercato nero, si chiede che gli speculatori – al pari dei traditori e dei disfattisti – rientrino nella competenza dei Tribunali straordinari e siano passibili di pena di morte.
18 – Con questo preambolo alla Costituente il Partito dimostra non soltanto di andare verso il popolo, ma di stare col popolo.
Da parte sua, il popolo italiano deve rendersi conto che vi è per esso un solo modo di difendere le sue conquiste di ieri, oggi, domani : ributtare l’invasione schiavistica delle plutocrazie anglo-americane, la quale, per mille precisi segni, vuole rendere ancora più angusta e misera la vita degli italiani. V’è un solo modo di raggiungere tutte le mete sociali: combattere, lavorare, vincere.

E la politica sociale fu quella che caratterizzò veramente la R.S.I. Il 30 giugno 1944 entra in vigore la legge sulla socializzazione che era stata approvata il 12 febbraio. Il 22 gennaio 1945 viene socializzata la FIAT, il 1 febbraio  la  Pirelli,  la  Morelli,  la  Snia  Viscosa,  la  Marzotto,  i  Lanifici  Rossi…  E  il  5  aprile  1945  la socializzazione viene estesa a tutte le aziende.
In data 15 gennaio 1945 era stato creato il Ministero del Lavoro, trasformando in Ministero il Commissariato Nazionale del Lavoro che funzionava fin dal 7 dicembre 1943. Il nuovo ministero assorbì anche la politica sociale che era di competenza del Ministero dell’Economia Corporativa, il quale, da allora, assunse la denominazione di Ministero per la Produzione Industriale.
Il governo della RSI aveva sede sul lago di Garda, a Salò. Mussolini aveva la sua sede a Gargnano nella Villa Orsoline, mentre la sua residenza era a Salò nella Villa Feltrinelli.
E, naturalmente, impegno prioritario del governo della RSI era quello di contrastare, a fianco dei tedeschi, l’avanzata degli anglo-americani. La situazione si faceva sempre più drammatica. Eppure lo Stato continua a funzionare, Mussolini difende con le unghie e con i denti l’autonomia della sua Repubblica e tenta disperatamente, anche con atti di grande clemenza, di attenuare gli effetti nefasti della guerra civile. E anche l’attività legislativa non si arresta.

LA GLORIOSA “ DECIMA MAS ”

Il parallelismo tra Decima Legione e Decima MAS nasce da riferimenti comuni. La Decima Legione fu il corpo scelto di Giulio Cesare per la sua comprovata fedeltà agli ordini, al Comandante, a Roma. Composta da veterani di sperimentato valore, "I Triari", dotati di caratteristiche qualità morali e fisiche, costituiva il nerbo dell'esercito romano. Quando scoppiò la guerra civile, Cesare ricorse soprattutto alla Decima Legione per affrontare Pompeo e sconfiggerlo dopo aver attraversato il Rubicone.
Così, come prima, ma soprattutto dopo l'8 settembre del '43, la Decima MAS, corpo scelto di volontari votati all'estremo sacrificio, costituì la leggenda delle unità militari, per contendere al nemico ogni lembo di mare e di terra italiano; il nemico, che dopo l'armistizio fu reso imbaldanzito dal tradimento e da una guerra civile non voluta dall'autentico popolo italiano.

I partigiani? All'inizio, dopo l'8 settembre ‘43 non esistevano. Un grave errore fu quello di lasciare liberi i prigionieri di guerra inglesi, americani, greci, neo-zelandesi, che alla data dell'armistizio si trovavano nei campi di prigionia nel Nord. Nell'impossibilità di raggiungere i loro reparti, la quasi totalità di questi si nascose in alta montagna. Alimentati ed armati da lanci aerei degli anglo-americani, i quali avevano lo scopo di far continuare la guerra a danno del popolo italiano, questi ex prigionieri furono il punto di raccolta di sbandati italiani renitenti alla chiamata alle armi, "resistenza" che, per altro, prese consistenza operante solo nei mesi del '45, quando le armate anglo-americane stavano ormai dilagando sul suolo italiano.
Le stragi e le crudeltà commesse in quel periodo e nei giorni cosiddetti della "liberazione" sono ormai di dominio pubblico e servono ad indicare la bassezza morale di chi se ne è reso responsabile.
Oggi viene ancora ripetuto che la nostra Repubblica è nata dalla resistenza. Ma la realtà è che la Repubblica Italiana è nata da una guerra perduta, da una sconfitta perseguita da chi ha voluto tradire la Patria.
La caduta progressiva di principi eterni quali Dio, Patria, Famiglia, si accompagnava gradualmente alla caduta dei valori guida nella vita dell'uomo quali l'onestà, la lealtà, il coraggio, l'impegno, la competenza. Per questa ragione la società italiana si trova a vivere oggi uno dei periodi più bui della sua storia, mentre dalla nebbia che sembra avvolgere ogni cosa, riemergono invece le verità che la realtà storica non può tenere nascoste.

Come è noto la X° FLOTTIGLIA MAS del Comandante Principe Junio Valerio Borghese non ammainò mai la bandiera e, fin dall’8 settembre 1943 aprì a La Spezia un centro di reclutamento che vide subito l’affluenza di molti volontari.
In data 14 settembre fra il Comandante Borghese e il Capitano di Vascello Berninghaus, la più alta autorità germanica in sede, fu stipulato il seguente accordo:
1)    La X°  Flottiglia MAS è unità complessa appartenente alla marima militare italiana, con completa autonomia nel campo logistico, organico, della giustizia e disciplinare, amministrativo;
2)    È alleata delle forze armate germaniche, con parità di diritti e di doveri;
3)    Batte bandiera da guerra italiana;
4)    È riconosciuto a chi ne fa parte il diritto all’uso di ogni arma;
5)    È autorizzata a ricuperare e armare, con bandiera ed equipaggi italiani, le unità italiane trovantisi nei porti italiani; il loro impiego operativo dipende dal Comando della Marina germanica;
6)    Il Comandante Borghese ne è il Capo riconosciuto, con i diritti e i doveri inerenti a tale incarico.

Alcuni ordini interni, poi, caratterizzarono le Decima e ne marcarono la linea di condotta:
1)  Rancio e caldaio unico per Ufficiali, Sottufficiali e marinai.
2)  Sospensione di ogni promozione fino alla fine della guerra, esclusion fatta per le promozioni per merito di guerra sul campo.
3)  Reclutamento esclusivamente volontario.
4)   La pena di morte è prevista per i militari della “Decima” che siano riconosciuti colpevoli dai regolari Tribunali, dei seguenti reati:
a)  furto o saccheggio;
b)  diserzione;
c)  codardia di fronte al nemico.

Fu l'atto di nascita della Marina nazionale repubblicana, che consentì la ripresa della nuova forza armata: oltre al recupero di grandi quantità di materiali e mezzi, la Decima fece affluire nelle sue file anche un gran numero di marinai e soldati internati dai tedeschi.
Migliaia  di  volontari  si  presentarono  a  La  Spezia,  chiedendo  di  essere  arruolati  nella  formazione  e rapidamente tutti gli organici dei reparti e delle scuole navali furono al completo. Venne decisa così la formazione di reparti di fanteria di marina: nell'inverno 43/44 vennero costituiti i primi tre battaglioni, il Nuotatori Paracadutisti, il Maestrale (rinominato poi Barbarigo) ed il Lupo.

Il Principe Borghese si trovava a capo di una unità militare che aveva già dato filo da torcere agli anglo- americani. Suoi sono gli uomini che hanno sperimentato le tecniche più audaci e innovative per tentare di controbilanciare la superiorità dei mezzi avversari. I siluri umani, i barchini esplosivi, le cariche magnetiche, i bauletti esplosivi, mezzi usati contro navi nemiche, mezzi inventati dalla fantasia di uomini di mare italiani e che costituiscono una schiera di spiriti eletti, che partono per le più incredibili missioni con la consapevolezza di una probabile fine. Raggiungono e affondano navi della flotta avversaria, riparata nei munitissimi porti di Algeri, Alessandria, Malta, Suda, Gibilterra.
Il capo del governo inglese, Churchill, dopo l'impresa di Alessandria degli uomini di Borghese afferma: "L'Inghilterra ha perso, con la perdita delle navi affondate, la supremazia della flotta in Mediterraneo; prepariamoci a subirne le conseguenze".

Il  battaglione  BARBARIGO,  al  comando  del  Maggiore  Umberto  Bardelli,  fu  fra  i  primi,  insieme  ai paracadutisti del NEMBO, ad essere impiegati nella battaglia di Anzio dove si distinse per valore. Contava 1180 uomini.
Ma il contributo maggiore alla difesa dei confini della Patria fu dato nelle regioni orientali minacciate dagli slavi di Tito. Borghese era stato nominato dal Duce “comandante di tutte le truppe oltre Isonzo” ed egli fu a Fiume e in altre località della zona a organizzare la disperata difesa di quelle terre. Epico il combattimento del Btg. FULMINE, comandato dal Ten.Vasc. Elio Bini a Selva di Tarnova in difesa di Gorizia. La 1^, la 2^ e la 3^ Cmp del FULMINE per tre giorni, dal 19 al 21 gennaio 1945 resisterono all’attacco di 2000 slavi e pagarono un altissimo tributo di sangue: 86 morti di cui 5 ufficiali e 56 feriti, su una forza complessiva di 214 uomini. I nemici, però, ebbero 300 morti e 500 feriti. Le truppe della Decima furono spostate tutte in Venezia Giulia nell’ottobre 1944.

All'inizio del 1945 la Decima venne riorganizzata in due gruppi di combattimento:
1° Gruppo: Barbarigo, NP, Lupo, Gruppo artiglieria Colleoni ed una parte del battaglione genio Freccia
2° Gruppo: Valanga, Fulmine, Sagittario, gruppi di artiglieria San Giorgio e Da Giussano, più l'altra parte del Freccia.
Il 1° Gruppo venne inviato al sud mentre il 2° rimase a difesa dei confini orientali. Quando ai primi di aprile si scatenò l'offensiva alleata, i reparti della Decima si ritirarono ordinatamente verso il Veneto per tentare il ricongiungimento dei due gruppi; nei dintorni di Padova vennero circondati da unità corazzate alleate e furono costretti ad arrendersi, ricevendo l'onore delle armi. La Decima Mas venne sciolta ufficialmente dalsuo comandante a Milano, alla fine dell'aprile 1945, alla presenza dei rappresentanti del CLN.
Quando Borghese per l’ultima volta uscì dalla caserma, due partigiani di sentinella gli presentarono le armi.


LA  TRAGICA  FINE

Il 16 dicembre 1944 Mussolini si reca a Milano dove susciterà immensi entusiasmi e dove avrà il suo ultimo bagno di folla. Terrà al Teatro Lirico il suo ultimo discorso, nel quale esalterà il programma sociale della RSI e inciterà i camerati milanesi alla riscossa.
Il  19  giugno  i  tedeschi  cominciano  ad  arroccarsi  sulla  nuova  linea  difensiva  che  va  dalla  Versilia  alla Romagna: la “linea Gotica”. Tuttavia contrastano l’avanzata americana passo per passo.

Sulla linea “gotica” gli anglo-americani vengono bloccati per tutto l’inverno e fino ai primi di aprile del 1945. Nei primi giorni di quel mese riprende l’attacco e, poco dopo la metà del mese, le resistenze italo-tedesche vengono sopraffatte e il nemico dilaga nella pianura padana.
Intorno agli ultimi giorni del mese le truppe tedesche si arrendono, seguite da quelle italiane, che si erano battute valorosamente sui vari fronti di guerra. Qualcuno resiste in armi fino ai primi di Maggio e si arrende
agli americani. Molti dei militari arresisi ai partigiani verranno vigliaccamente trucidati. I sopravvissuti verranno rinchiusi nell’infernale campo di concentramento di Coltano.
Occorre qui precisare che il mito dell’insurrezione del 25 aprile è un mito assolutamente falso e infondato. Nessuna città è stata “liberata” da un atto insurrezionale, ma si è trovata “liberata” semplicemente perché i tedeschi e i fascisti si erano ritirati.

Mussolini, che il 25 aprile si era portato a Milano e il 26 a Como, alle ore 8 del 27 aprile viene catturato dai partigiani nei pressi di Dongo mentre con alcuni gerarchi, uomini della Brigata Nera di Lucca e un reparto tedesco si sta dirigendo verso Nord.
Secondo la versione partigiana (ormai da molti messa in dubbio) Mussolini, che era stato isolato dagli altri gerarchi, viene ucciso insieme a Claretta Petacci a Giulino di Mezzegra, davanti al cancello di Villa Belmonte,
alle ore 16,20 del 28 aprile 1944. A Dongo, alle ore 17,48 dello stesso giorno, vengono uccisi quindici gerarchi o  presunti  tali  :  Pavolini,  Barracu,  Mezzasoma,  Zerbino,  Liverani,  Romano,  Porta,  Coppola,  Daquanno, Utimpergher, Calistri, Casalinovo, Nudi, Bombacci, Gatti. Ed anche Marcello Petacci, che i gerarchi non vollero fosse fucilato con loro, fu ucciso subito dopo.
Il 29 i diciotto cadaveri vengono portati a Milano con un camion e appesi per i piedi alla tettoia di un distributore di benzina a Piazzale Loreto. I cadaveri vengono vergognosamente insultati e vilipesi da una folla imbarbarita.

E non furono i soli morti della R.S.I. In quei giorni si scatenò una feroce caccia al fascista e diverse decine di migliaia di fascisti, civili o militari, furono trucidati, spesso in modo orrendo, anche quando, fidando nella parola del nemico che garantiva salva la vita, avevano già deposto le armi. Molte le stragi da ricordare, avvenute soprattutto nel nord Italia, opera quasi sempre di partigiani comunisti.
Alcune decine di migliaia di combattenti della R.S.I., più fortunati, ebbero salva la vita e furono rinchiusi in campi di concentramento. Circa 35.000 di essi furono rinchiusi nel Campo di concentramento di Coltano, presso Pisa, dove vissero in condizioni disumane fino all’autunno, allorché i sopravvissuti poterono tornare in libertà. Non tutti, però, poterono tornare veramente liberi alle loro case. Molti dovettero vivere nascosti ancora per mesi, per non essere assassinati dai partigiani comunisti, ancora ben armati e ancora a caccia di fascisti. E per lunghi anni i fascisti superstiti patiranno le conseguenze di una feroce discriminazione, che li condannerà ai margini della società, costringendoli a lavori spesso umili, quasi sempre autonomi, essendo stati quasi tutti rimossi dai loro impieghi mediante la così detta “epurazione”. La lotta per la sopravvivenza delle loro persone e dei loro ideali fu, per molti fascisti della R.S.I., la continuazione di una guerra che per loro non era ancora finita. E nessuno si è arreso.

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