di Maurizio Barozzi
«Il 25 Aprile 1945, dopo quasi due anni di guerra civile e di lotta antifascista, all’invito del CLN alla insurrezione, il popolo si sollevò a fianco dei partigiani cacciando via i tedeschi e sbaragliando i fascisti».
Con questo ritornello, che ha anche l’avallo delle autorità costituite ed è immortalato in festività, ricorrenze e quant’altro, si ha la sintesi di quello che è un mito: la Resistenza del popolo italiano contro i nazi fascisti, una “vulgata” totalmente falsa.
L’esaltazione unilaterale di imprese, di episodi stravolti, spesso inventati è sempre avvenuta da parte del potere costituito: è un modo come un altro di darsi una dimensione storica, di dipingersi come buoni ed eroici. Non a caso spesso le guerre sono iniziate dall’aggressore con una false flag, una finta offesa ricevuta, in modo da giustificare l’aggressione.
Anche il Risorgimento, parliamoci chiaro, è per buona parte una invenzione a posteriori e l’agiografia risorgimentale copre molte mascalzonate, nasconde gli gli sporchi interessi anglo francesi e le porcherie massoniche e piemontesi, oltre a diverse stragi e assassini. Ma almeno il Risorgimento ebbe una, seppur contenuta, partecipazione da parte della borghesia, sia intellettuale che mercantile e l’idea-Nazione riuscì a mobilitare diversi giovani. Anche sul piano “militare” poi, pur ridimensionandolo nelle esagerazioni, si può annoverare la presenza di Garibaldi.
Dietro la Resistenza invece c’è il nulla.
Non che sia falso che ci siano stati degli antifascisti, anche dei partigiani e persone che hanno lottato contro la RSI e i tedeschi, ma il falso è costituito dal fatto che, semmai, la minoranza di italiani che hanno partecipato alla RSI di Mussolini fu più numerosa, ma sopratutto gli episodi di carattere militare di questa presunta “Resistenza” furono talmente scarsi da risultare insignificanti.
Non ci fu affatto una partecipazione di popolo alla lotta antifascista, perchè il popolo la gente comune, rimase in massima parte estranea alle diatribe politiche e in attesa di una sperata e celere conclusione della guerra. Ed infine, è falso che il 25 Aprile ci fu una insurrezione che sbaragliò e caccio via fascisti e tedeschi, che invece, incalzati dalle truppe Alleate, cercarono di ritirarsi verso l’estremo nord (i fascisti) oppure si arresero e si chiusero nei loro acquartieramenti (i tedeschi).
La “verità” è sempre una sola, anche se spesso nascosta o confusa e per uno storico, qualunque siano le sue convinzioni politiche, sarebbe assurdo cambiarla o edulcorala per sostenere la propria ideologia o visione politica. In questa sede (articolo) tralasciamo riferimenti e documentazioni a sostegno della nostra tesi che, in ogni caso, è sotto gli occhi di tutti.
Personalmente, essendo il sottoscritto nato nel 1947, sono arrivato a queste conclusioni per ricerche, studi, analisi del periodo in questione, come un qualsiasi storico contemporaneo che analizzi, per esempio, la rivoluzione francese.
In ogni caso, avendo ascoltato tantissimi reduci o contemporanei a quegli avvenimenti, ho trovato conferma alla mia asserzione (del resto condivisa da tanti storici, molti dei quali per prudenza o per carriera non lo dichiarano apertamente), ma ho percepito anche la convinzione che molti contemporanei ai quei fatti, oggi anziani, in particolare persone politicizzate, oltre al trascorre del tempo che nel ricordo sfuma o esagera i fatti, spesso sono talmente contraddittori e quindi non in grado di dare un quadro realistico degli avvenimenti.
Alquanto realistica ed esaustiva risulta invece la letteratura di qualche decennio addietro, quella che non affrontava argomenti bellici o politici, ma narrava, indirettamente o di passaggio, semplici vicende quotidiane di vita vissuta tra il 1943 e il 1945. Incrociandoli con i fatti conosciuti ed accertati, sono questi i racconti che ci danno il quadro reale della situazione.
LA RESISTENZA
In tutta obiettività possiamo oggi dire che la cosiddetta “Resistenza” è una invenzione a posteriori ed ogni serio ricercatore storico sa benissimo che, militarmente parlando, la Resistenza fu letteralmente inesistente.
Siamo quindi in presenza di una agiografia dove sono stati ingigantiti o inventati fatti, episodi e altro, per descrivere una inesistente lotta del popolo italiano contro i fascisti e il tedesco invasore. A latere, infine, tutta una editoria e pubblicistica, soprattutto quella orientata a sinistra, ma non solo, sfornò a getto continuo racconti, rievocazioni, memoriali, testimonianze che, da un punto di vista storiografico lasciano molto a desiderare.
Sulla base dell’opera dello storico ed ex partigiano Roberto Battaglia Storia della Resistenza Italiana – Einaudi, 1953, iniziò così poco a poco a crearsi un mito: il “mito della Resistenza” che prese forma e si impose verso la fine degli anni ’60, primi anni 70, anche sulla scia delle fiction, ovvero di una certa filmografia che fin dal primo dopoguerra si impegnò in questo campo: tra gli altri, ricordiamo per esempio: Roma città aperta del 1945 di Roberto Rossellini; Achtung! Banditi! del 1951 di Carlo Lizzani; Le quattro giornate di Napoli del 1962 di Nanni Loy; e soprattutto Mussolini ultimo atto, del 1974 di Carlo Lizzani.
Così come nel film di Loy sulla presunta sollevazione di Napoli, anche in questo sulla fine di Mussolini del Lizzani, veniva abbondantemente travisata la realtà dei fatti e inventati episodi mai avvenuti. Il film di Lizzani poi, non era altro che la messa in pellicola della “vulgata” ovvero della versione falsa e di comodo che elementi del Pci ebbero a fornire sulla morte del Duce addebitandone oneri e onori a tal Walter Audisio. Una “vulgata” che lo stesso regista Lizzani nel 2007, in un suo libro di memorie ebbe oltretutto a smentire clamorosamente (e con essa il suo stesso film in cui Franco Nero interpretava l’”eroico” colonnello Valerio) laddove, riportando una lettera che gli scrisse nel 1975 Sandro Pertini, questi ebbe ad affermare: “...e poi non fu Audisio a eseguire la ‘sentenza’, ma questo non si deve dire oggi”.
Ma anche le presunte “4 giornate di Napoli”, ci consentono di fare un paragone ed elevare una osservazione storica: si prenda ad esempio l’episodio di Firenze, dove nutriti gruppi di “franchi tiratori” fascisti, accolsero a fucilate dai tetti gli invasori americani. Di questo avvenimento ne abbiamo innumerevoli prove, testimonianze, anche statunitensi, riscontri e documentazioni.
Viceversa, della immaginaria sollevazione del popolo napoletano che caccia i nazisti, non c’è nulla, se non racconti distorti di episodi affatto diversi che poi sono stati travisati, ed appunto la fiction filmica.
Ergo i “franchi tiratori” fascisti sono un fatto storico acquisito, le “4 giornate di Napoli”, viceversa, appartengono alla fantasia o alla propaganda.
Ora, storicamente, non possiamo negare che nei due anni che stiamo prendendo in considerazione, 1943 – ’45, ci furono diversi italiani antifascisti, che, come naturale che accada, presero ad aumentare, mano a mano che si andava verso la sconfitta.
Del pari ci furono partiti e gruppi che in qualche modo avversarono il fascismo e i tedeschi e nel corso degli eventi, molti furono catturati, imprigionati e passati per le armi. Una seria indagine storica ci dice però che, sostanzialmente, il cosiddetto fenomeno “partigiano”, con tanto di presunta partecipazione popolare, fu talmente esiguo che non se ne ha traccia sensibile negli avvenimenti di quel tempo.
Ma ancor più insignificante è il riscontro militare di una effettiva lotta partigiana, quello che dovrebbe caratterizzare il valore e la portata di una vera e propria Resistenza, e che invece manca assolutamente.
Qualche imboscata, attentati nell’0mbra, occupazioni di località sgombrate dal nemico, ripiegamenti in montagna, ecc., non possono costituire un serio elemento per dare a questi episodi il carattere di una resistenza armata ai “nazifascisti”.
Mancano quindi i due elementi fondamentali: azioni ed eventi bellici significativi e partecipazione di popolo, per poter parlare di Resistenza.
Ingigantire qualche episodio e inventarne altri, con la complicità dei partiti e della editoria embedded, può creare un mito, non descrivere la storia.
I cosiddetti partigiani, di cui oggi se ne decantano le gesta, furono poche migliaia in tutto e su tutto il territorio nazionale e i renitenti alla leva che ne costituivano il grosso delle fila, erano andati in montagna, proprio per non combattere.
Gli idealisti antifascisti, comunisti e non, erano una presenza veramente minimale, comunque bisogna riconoscere che c’erano, e spesso furono proprio quei pochi a pagare con la vita.
Ma parlare di “liberazione”, di sollevazioni popolari, ovvero di Resistenza è non solo una esagerazione, ma un falso storico, perchè questa minoranza di antifascisti “attivi”, idealisti, renitenti o occasionali, alla macchia o clandestini nelle città, frange dell’Esercito monarchico, ecc., non compirono alcun atto bellico di rilievo.
Attentati, come quello di via Rasella, a Roma, compiuti da cinque, sei persone, che fanno scoppiare una bomba, nascosta in un carrettino, lo storico non può considerarli vere imprese di guerra.
Li considerarono purtroppo come atti di guerra a loro danno, con le conseguenze che sappiamo (rappresaglia delle Ardeatine) i tedeschi.
I dirigenti e i pochi membri del CLNAI, con i loro altisonanti nomi di “battaglia” svolazzavano nei conventi o in sicuri rifugi delle città, riunendosi, parlando e scrivendo di lotta al fascismo e di guerra ai nazifascisti, ma facendo poco o nulla sul piano militare. Anche qui, quindi, abbiamo una Resistenza più che altro sulla carta.
A guerra finita si tramutarono in gesta ed imprese, quelli che al massimo erano i loro intenti o quel poco di “trafficare” e contatti che ebbero a intraprendere.
Certo, leggendo i diari, i libri e i memoriali di questi antifascisti, sembra chissà quali gesta stessero compiendo, quali grandi attività antifasciste e armate, stessero portando avanti, ma non è così e le cronache storiche smentiscono o non registrano queste imprese
Non basta un “diario”, un memoriale, un articolo, per scrivere la storia!
Una qualche nefasta presenza la fecero sentire i GAP e le SAP, con le azioni terroristiche in incognito e usi a colpire alle spalle, istigati, da Radio Londra. Costoro importarono in Italia, metodi terroristici che poco ci avevano appartenuto e vien dal ridere che anni dopo, quegli stessi metodi del “mordi e fuggi”, colpisci alle spalle, praticati dalla Brigate Rosse, furono considerati “criminali” da parte del “padre della Resistenza”, quel Sandro Pertini divenuto ossequioso Presidente di una Italia liberal capitalista e colonia americana.
Ma tornando ai Gap, anche qui stiamo parlando di poche decine di componenti, nascosti tra la popolazione nelle grandi metropoli.
Ricapitolando: l’esiguo numero di partecipanti attivi alla lotta contro il fascismo e soprattutto le poche e insignificanti loro gesta militari, smentiscono la dimensione di quelli che pomposamente si definiscono: Resistenza, Insurrezione, Liberazione.
Le stesse fonti partigiane, per esempio, ci dicono che a Como, tra la sera del 25 aprile 1945, quando vi giunse indisturbato Mussolini con i membri del suo governo e la mattina successiva vi arrivarono circa 4 mila fascisti in armi, i membri clandestini del CLN locale ammontavano a circa 50, ovviamente, più che altro di nome che non come vera presenza attiva.
E pensare che era con questi “fantasmi” che le rinunciatarie autorità della RSI di Como: Questore, console della Milizia e Prefetto repubblicani, da alcuni giorni stavano trattando in segreto il passaggio dei poteri e il loro defilarsi.
A questo si aggiunse la scempiaggine, l’idiozia, la assoluta mancanza di senso militare e in alcuni casi la voglia di farla finita se non il tradimento, da parte di alcuni comandanti fascisti ivi sopraggiunti, che in poche ore fecero squagliare come neve al sole quei 4 mila uomini armati e a notte alta del 27 aprile firmarono una ignobile “tregua” che in realtà era una vera e propria resa che finì per avere tragiche conseguenze per molti fascisti oramai fatti arrendere, ma non per alcuni loro comandanti che evidentemente avevano concordato il modo per squagliarsi e che poi, alcuni di loro, troveremo a far carriera nel partito di destra, neofascista per nomina, ma antifascista di fatto.
É noto che quando Mussolini il pomeriggi del 25 aprile 1945 si recò in Arcivescovado per trattare un passaggio indolore dei poteri (non una resa, come si volle poi far credere) tra le sue milizie che si ritiravano verso la Valtellina e le nuove autorità cielleniste che sarebbero subentrate nel vuoto dei poteri di quei giorni, i rappresenanti ciellenisti, presenti in Curia con il Cardinale Shuster, avrebbero dovuto chiedere a Mussolini di “lasciargli” alcuni reparti della RSI, per mantenere l’ordine nel caos di quei momenti, perchè loro, i delegati del CLN e del CLV, non ne avevano affatto. Un Cadorna, comandante, più che altro nominale del CVL, il braccio armato della Rsistenza che si muoveva solo dietro l’arrivo delle truppe Alleate, e addirittura in quella sede pretendeva una resa senza condizioni da Mussolini, si indignò e disse “Ho 50 mila uomini!”. Battendo il pugno sul tavolo, il maresciallo Rodolfo Graziani gli rispose: “Tu hai 50 mila c...!”
Queste cose qualche storico o osservatore storico più onesto e serio o con meno remore (come fu ad esempio Franco Bandini) le ha spesso scritte apertamente.
La tanto decantata 57esima Brigata Garibaldi che alle 7 di mattina del 27 aprile, ebbe la ventura di incappare in Mussolini e la sua colonna comprensiva dei carri tedeschi in ritirata, mentre cercavano di defluire verso la Valtellina, era composta da poco più di una decina circa di partigiani. Furono le circostanze, la defezione tedesca, la strada impervia e a fettuccia facilmente sbarrabile e controllabile dalla soprastante altura (il “Puncet”) che consentirono a questi partigiani di fermare la colonna motorizzata bloccata appena fuori dell’abitato di Musso.
Questa era la consistenza numerica della Resistenza almeno che non vogliamo prendere in considerazione le adesioni a cose fatte, quelle che videro precipitarsi ad ingrossare le fila dei CLN o delle Brigate partigiane centinaia di “eroi dell’ultim’ora, o le grosse aliquote di popolazione che, spariti i tedeschi e arresisi i fascisti, scesero nelle piazze, spesso per curiosità, ma ovviamente facendo massa e partecipando emotivamente con i “vincitori”, ecc.
La resistenza quindi fu, più che altro un operare politico, un darsi da fare e un attività minimamente militare, per conto degli Alleati e su loro disposizioni, come dimostravano le direttive e le imposizioni di un Promemoria di accordo fra il Comandante Supremo Alleato del teatro di operazioni del Mediterraneo e il C.L.N.A.I del 7 dicembre 1944 firmato dal generale Maitland Wilson, e per il CLNAI da Alfredo Pizzoni, Ferruccio Parri, Giancarlo Paietta ed Edgardo S0gno.
Tra le forze principali che operarono in senso antifascista dobbiamo segnalare l’Alta Finanza, per suoi interessi, attraverso il suo uomo nel CLNAI Alfredo Pizzoni e gli esponenti industriali: i Valletta, i Falk, gli Edison, ecc., ostili al fascismo e preoccupati dalle Leggi sulla Socializzazione varate dal governo di Mussolini.
Nei giorni caldi della “Liberazione” al Nord, partigiani armati furono mandati a difendere le ville dei grandi industriali ai quali poi, a guerra finita, fu fatto il regalo, su ordine Alleato, di cancellare tutte le Leggi, da poco varate sulla Socializzazione.
Un discorso a parte andrebbe fatto per il Pci, l’unico che poteva contare su gruppi di militanti sparsi nel territorio, il quale però condusse una guerra civile tutta sua, quella che abbiamo accennato dei Gap e Sap, con agguati e imboscate, finalizzata ad assecondare i desiderata di Mosca la quale poi era in accordo con gli Alleati in virtù degli impegni di Jalta.
Togliatti e Longo, quindi, non solo furono fedeli servitori delle direttive di Mosca (che gli imposero la svolta “democratica” di Salerno del 1944, del resto gradita dai dirigenti comunisti), ma anche del SOE, l’Intelligence Britannica, che in varie località organizzò agli uomini del partito comunista i rifugi logistici, le attrezzature e i finanziamenti. Connubi questi che proseguirono anche nel dopoguerra, con la criminale cessione, agli inglesi, di importanti documentazioni di interesse nazionale.
Ma Togliatti fu anche un sodale di monsignor G. B. Montini, il futuro Papa, legato alla massoneria finanziaria statunitense, al tempo organizzatore del servizio segreto Vaticano che per sua natura aveva uomini, o meglio serpi, sia nella Resistenza che nella RSI. Insomma il Pci condusse una sua “lotta privata” che gli doveva far avere un posto politico e una sua funzione nella nuova Repubblica democratica e antifascista.
Altro che rivoluzione comunista in Italia! Solo le destre idiote o in malafede hanno potuto descrivere un PCI rivoluzionario dedito alla sovversione in Italia.
LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
A conti fatti, la RSI ebbe, seppur sempre una minoranza, una buona partecipazione di popolo, circa 800 mila aderenti, anche se molti vi aderirono “per ufficio”, ovvero perchè trovatisi a proseguire lavori o servizi nell’Italia del Nord.
Considerando però che furono adesioni verso uno Stato che oramai si sapeva andare verso la sconfitta, con tutte le conseguenze per i suoi seguaci, questi adesioni non furono poche.
Anche i fascisti, le Brigate Nere, le formazioni autonome, ecc., che bene o male a differenza dei partigiani, indossavano una divisa, furono una minoranza, ma comunque costituirono una sensibile presenza di popolo, ma ovviamente, anche loro, subivano da parte della popolazione un certo isolamento (non avversione) perchè considerati una presenza “pericolosa” e “fastidiosa”, che comprometteva e “faceva proseguire la guerra”.
Tutto questo gli occupanti, gli Alleati, lo sapevano benissimo ed ebbero a precisarlo apertamente in varie occasioni, negando anche ai cosiddetti partigiani, privi di divisa e segni distintivi, la qualifica di “combattenti”.
Anche una Sentenza del Tribunale Supremo Militare (n° 747 del 26.4.1954), tribunale, si noti, di questa Repubblica democratica, tra l’altro affermava:
1) I combattenti della RSI hanno diritto di essere riconosciuti belligeranti;
2) gli appartenenti alle formazioni partigiane non hanno diritto a tale qualifica, perché non portavano distintivi riconoscibili a distanza, né erano assoggettati alla legge penale militare.
IL POPOLO ITALIANO
La popolazione italiana, come si può riscontrare da una infinità di memorie non di parte, ma di gente semplice che magari parla di altre cose, di vita quotidiana, ecc., per lo più viveva nella speranza che la guerra finisse al più presto e con essa fame, miseria e disgrazie. Essendo la Nazione impegnata in una lotta mortale per la sua liberta e sopravvivenza, da un punto di vista “morale”, questo agnosticismo non depone certo a favore del nostro popolo, da sempre privo di grandi doti caratteriali, ma del resto quando si parla di civili, di popolazione, le cose sono sempre andate in questa maniera, seguendo le sorti della guerra: folle osannanti agli inizi o se le cose vanno bene, folle avverse che maledicono alla fine se le cose vanno male.
É la natura umana, tanto è vero che, sempre e comunque, i vincitori, hanno poi trovato uomini, civili e militari, pronti a cambiare casacca, a servirli, a interpretare ruoli di governo fantoccio loro assegnati e anche a fare da spie e da boia.
É ovvio che la popolazione con la sconfitta che pareva inevitabile (dal 1944 si avvicinava ogni giorno sempre più) e con l’Italia spaccata in due, Nord e Sud, dal tradimento badogliano e l’invasione in Sicilia, aveva perso il senso reale di chi fossero i veri invasori (che erano gli Alleati) e chi fossero i nostri alleati (i tedeschi) e tendeva a ragionare in termini utilitaristici e di pura sopravvivenza.
L’arrivo degli Alleati nelle cosiddette località “liberate”, di conseguenza, era accolto come la fine della guerra, delle privazioni e per questo festeggiato.
I tedeschi erano considerati soldati corretti, ma su di essi pesavano le loro insensate rappresaglie, non considerando ottusamente costoro che, comunque sia, la RSI era uno Stato alleato e quindi non si dovevano applicare con noncuranza le leggi di guerra. I tedeschi erano temuti e si era lieti quando se ne andavano, ma anche qui, più che altro, perchè agli occhi della popolazione rappresentavano la prosecuzione della guerra e delle privazioni. Insomma, per il popolo, non vi era partecipazione politica, tantomeno ideologica e neppure emotiva, né da una parte, né dall’altra.
IL 25 APRILE E LA “LIBERAZIONE”
Sostanzialmente, il “25 aprile” è la data della nostra sconfitta militare, della totale occupazione del suolo italiano e la fine, tutt’ora perdurante, di ogni nostra sovranità nazionale. Qualunque sia il pensiero e l’ideologia di ciascuno, non si può che prendere atto di questa realtà indiscutibile. Tutto il resto è retorica.
La guerra è la soggiogazione delle nazioni sconfitte, rapina in ogni campo, imposizione di un proprio modello economico, culturale e politico.
E il 25 aprile 1945 l’Italia venne sconfitta e occupata dal nemico e nemico vero, anglo americano. Chi: persona singola, gruppo o partito, da questa occupazione ci ha guadagnato, ne ha tratto benefici in qualsiasi modo, personale, ideale, politico o che altro, può esserne soddisfatto, ma la sostanza dell’avvenimento non cambia: Il 25 aprile l’Italia fu definitivamente occupata dallo straniero. Punto.
Ma a proposito di “liberazione” si sappia che a Milano il 25 aprile, data fatta passare alla storia come giorno dell’insurrezione popolare, proclamata dal CLN, ma in realtà non eseguita, tranne uno sciopero dei mezzi in giornata e gli uffici che presero a svuotarsi nel sentore di imminenti avvenimenti decisivi, non accadde proprio nulla e i fascisti restarono padroni della città, fino a notte alta, quando intorno alle 5 del mattino lasciarono, armati e indisturbati, Milano da Piazza S. Sepolcro, via Dante e Corso Sempione, per incamminarsi verso Como.
Solo dopo quell’ora, nella metropoli, rimasta priva di fascisti, le “nuove” autorità della Resistenza, uscite dai loro sicuri rifugi per ricoprire le cariche che si erano assegnati, ma privi di uomini, come abbiamo già accennato, dovettero far occupare il palazzo del Governo, ovvero la Prefettura di Corso Monforte, lasciata da Mussolini, da uomini della Guardia di Finanza del col. Alfredo Malgeri.
Una G.d.F. da sempre con i piedi in due staffe e ora, a vincitori sicuri, passata ufficialmente dalla parte della Resistenza.
Libri di storia (falsa) e riviste di storia (altrettanto falsa), mostrano sovente foto di gruppi di partigiani e di civili, armi alla mano, che sembrano intenti a formare barricate o studiare imminenti azioni militari. Trattasi quasi sempre di falsi, di pose realizzate da appositi Studi a guerra finita, oppure messe in scena, ben lontani da teatri bellici, atte a mostrare imminenti azioni.
Ma non è raro neppure il caso di alcuni nominativi di fucilati dai tedeschi, in alcune rappresaglie, che vengono dati come “martiri antifascisti, quando invece, addirittura, trattasi di aderenti alla RSI o suo personale che vennero insensatamente rastrellati dai tedeschi infuriati per qualche attentato e passati per le armi.
Certo, storicamente, sono esempi poco importanti, ma sono significativi per dimostrare come, di tante tragedie ed eccidi, di povera gente che non era ne “anti”, nè “pro”, si sono fatte generalizzazioni e vi sono state poste etichette di martiri per una presunta “lotta antifascista”.
Il 27 aprile poi, scesi precedentemente dalle montagne grazie all’arrivo delle truppe Alleate o per il rifluire dei presidi tedeschi e fascisti, arrivarono a Milano le “famose” divisioni partigiane, quelle dell’Oltrepò pavese e più avanti ancora le “famose” divisioni Garibaldi, Matteotti, di Moscatelli della Valsesia, ecc., spesso contrassegnate da cervellotiche e altisonanti numerazioni, ma che in realtà tranne gli “arruolamenti dell’ultim’ora”, erano sempre state costituite da pochi elementi.
Arrivarono e sfilarono con armi e belle divise e fazzoletti, nuove fiammanti, fornite dagli americani, a dimostrazione che mai erano state impegnate in veri combattimenti.
A secondo delle varie località del Nord, fu solo nel pomeriggio del 25 aprile, ma più che altro il 26 e 27 aprile, con i tedeschi che oramai avevano smesso di combattere, anzi si erano arresi agli Alleati e si ritiravano nei loro acquartieramenti e i fascisti che lasciavano i presidi e si ritiravano verso Como e la Valtellina, che si ebbero arruolamenti “tranquilli” e festanti nelle Brigate partigiane e nei CLN locali.
Allora sì che il numero “dei guerriglieri” ebbe a crescere con adesioni che in futuro fruttarono spesso una pensioncina a questi “eroi” dell’ultim’ora.
Sui pochi fascisti rimasti isolati, su quelli che si arresero e così via, si abbatté la furia omicida e vendicativa dell’antifascismo.
Gli Alleati, fin dalla fine del 1943, avevano per il fronte italiano la direttiva di procedere con lentezza, altrimenti avrebbero sfondato il “ventre molle” dell’Asse e sarebbero facilmente penetrati alle spalle del Reich mettendo fine alla guerra.
Ma questo non era contemplato, in quanto in base agli accordi di Jalta, l’Europa doveva essere divisa in due zone di influenza, Est - Ovest e quindi bisognava attendere che i sovietici superassero il fronte est e invadessero l’Europa prendendo possesso delle zone a loro assegnate.
Comunque sia, mano a mano che le truppe Alleate occupavano le località del Nord e imponevano il loro governo AMG, le loro direttive impositive emanate dal PWB, ecc., questi invasori ebbero un duplice comportamento: in alcuni casi lasciarono consumare le stragi dei fascisti e presunti tali e anzi le aizzarono; in altri casi invece le fermarono specialmente se c’erano ufficiali e sotto ufficiali della oramai ex RSI da salvare con il nascosto fine di utilizzare poi questo personale per i loro interessi di occupanti.
Le forze di polizia, il personale delle Prefetture, Commissariati, ecc., oltre agli agenti scelti per ricostruire i Servizi, vennero tutti prelevati o racimolati dalle precedenti strutture, formazioni e Istituzioni della RSI, perchè la “polizia partigiana” era inesistente, personale in gamba ancor di più e quelle poche pattuglie armate della resistenza erano formate da comunisti di cui, ovviamente, gli Alleati, non avevano fiducia, nè intendevano armarli e addestrarli.
E quei fascisti che ebbero salva la vita, grazie all’intervento Alleato, spesso furono quelli che poi fecero una fine peggiore: quella di diventare, in nome di uno strumentale e specioso anticomunismo, servi sciocchi degli statunitensi.
La storia del neofascismo del dopoguerra, inizia proprio in quei momenti, dove il dirigente in Italia dell’Oss James Jesus Angleton fu abilissimo nel mettersi in tasca questi oramai ex fascisti. Le Stay behind, le Gladio, il filo atlantismo, la strategia della tensione degli anni ’60, ne furono la logica conseguenza.
Un'ultima osservazione a proposito di liberazione e liberatori.
Fino a quando negli ultimi decenni, sono esistiti comunisti, o presunti tali, oggi scomparsi, collassati con la “casa madre” URSS o con la stessa ideologia marxista disintegrata dal modernismo, dal moderno capitalismo finanziario e dalle ideologie radicali, abbiamo visto come questi comunisti sono sempre stati caratterizzati da una grande contraddizione: consideravano, qui da noi, gli anglo americani dei “liberatori” e di essi ne erano stati fedeli sudditi.
Ora invece, anni ’50 /70, consideravano gli americani, e qui dobbiamo dire giustamente, imperialisti, aggressori della Corea, oppressori dell’America Latina, invasori del Vietnam, padroni delle Multinazionali e così via: USA = Colonialismo, massacri, bombardamenti, Cia, sfruttamento capitalista.
Ebbene: non si erano accorti, questi “comunisti rivoluzionari”, che gli americani non erano altro che gli stessi, loro alleati, loro festeggiati, della “Liberazione” in Italia ?
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