lunedì 8 luglio 2013

Svolta nel caso Moro: i servizi sapevano

Svolta nel caso Moro: i servizi sapevano, una telefonata fermò il salvataggio By Redazione dailySTORM
Il presidente della repubblica Francesco Cossiga

9 maggio 1978: la Notte della Repubblica. La morte di Aldo Moro segna un passaggio cruciale nella storia dell’Italia repubblicana, ma ancora oggi è avvolta di misteri, torbide presenze e regie occulte. Dopo 35 anni, è possibile che la storia della morte di Moro debba essere riscritta.
caso moro 
CASO RIAPERTO – Nei giorni scorsi, nel silenzio quasi totale dei media, la procura di Roma ha riaperto il caso Moro, in seguito a una denuncia che propone una sconvolgente ipotesi: la prigione di Moro, in via Montalcini 8, a Roma, era stata individuata dai servizi segreti e controllata per settimane. Non solo: l’8 maggio del 1978 lo statista DC doveva essere liberato con un blitz delle teste di cuoio, ma una telefonata dall’alto bloccò tutto. La sua morte fu dunque un atto terroristico, o un omicidio di Stato?
 caso moro
LA STORIA – Aldo Moro viene rapito il 16 marzo 1978 mentre, a bordo di una Fiat 130, si reca da Monte Mario a Montecitorio, da parte di un commando delle Brigate Rosse. L’agguato, all’incrocio tra via Mario Fani e via Stresa, provoca la morte dei cinque uomini della scorta. La prigionia di Moro dura 55 giorni, poi viene assassinato, il cadavere abbandonato in via Caetani. Secondo la ricostruzione ufficiale, il terribile gesto delle Br viene compiuto per colpire l’uomo del Compromesso Storico fra DC e PCI e, contemporaneamente, fermare la “lunga marcia comunista verso le istituzioni”, riaffermando la prospettiva dello scontro rivoluzionario.
Prima dell’assassinio, le Br propongono uno scambio fra Moro e alcuni brigatisti allo scopo di intavolare una trattativa alla pari con lo Stato. La politica si divide tra “fronte della fermezza”, maggioritario, comprendente il Presidente del Consiglio Andreotti e il Ministro dell’Interno Cossiga, nonché la maggior parte dei gruppi parlamentari, e “fronte possibilista”, nel quale spiccano Craxi, Pannella e il Presidente del Senato Fanfani.Prevale la linea del “no” a ogni dialogo con i terroristi. Ma oggi nuove sconcertanti testimonianze rivelerebbero che lo Stato non si è limitato a “rifiutarsi di trattare”, ma ha avuto un ruolo decisivo nella morte dello statista democristiano.
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LE RIVELAZIONI DI LADU – È l’ottobre 2008 quando allo studio di Ferdinando Imposimato, ex magistrato e oggi Presidente Onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, si presenta un brigadiere della Guardia di Finanza, Giovanni Ladu, con un memoriale sui giorni decisivi del sequestro Moro. Ladu, nel 1978 militare di leva nei Bersaglieri, dichiara di essere stato nelle squadre speciali addette alla sorveglianzadell’appartamento-prigione di Moro, in via Montalcini. Un appostamento iniziato il 24 aprile ’78, e conclusosi l’8 maggio, la vigilia dell’omicidio. Il racconto di Ladu è ricco di dettagli di singolare precisione: l’operazione prevedeva controllo visivo 24 ore su 24, micro-telecamere nascoste nei lampioni, controllo della spazzatura nei cassonetti. Per mimetizzarsi, i militari indossavano tute dell’Enel o del servizio di nettezza urbana
Nell’appartamento sopra la prigione di Moro erano stati piazzati dei microfoni che captavano le conversazioni. Sorprendentemente, osserva Ladu, il personale addetto alle intercettazioni parlava inglese. «Scoprimmo in seguito – ricorda – che si trattava diagenti segreti di altre nazioni, anche se erano i nostri 007 a sovrintendere a tutte le operazioni». L’8 maggio il blitz delle teste di cuoio è pronto: invece accade l’impensabile. «Quello stesso giorno ci comunicarono che dovevamo preparare i bagagli perché abbandonavamo la missione. […] Rimanemmo tutti interdetti perché non capivamo il motivo di questo abbandono. La nostra impressione fu che Moro doveva morire». Ma l’ordine era: «Dimenticate  tutto ciò che avete fatto in questi ultimi 15 giorni».
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LE PRIME CONFERME – Imposimato rimane inizialmente diffidente rispetto a questo racconto. Perché Ladu ha atteso ben 30 anni prima di parlare? La sua risposta: «Avevo avuto la consegna del silenzio e il vincolo al segreto, ma soprattutto avevo paura per la mia incolumità e per quella di mia moglie. La decisione di parlare mi costa molto, ma oggi spero che anche altri trovino il coraggio di farlo per ricostruire la verità». Prima di passare il dossier alla procura di Roma, Imposimato impiega quattro anni per verificare le dichiarazioni di Ladu (interrogato nel 2010 anche dal pm romano Pietro Saviotti).
Finché altre testimonianze rafforzano questa inquietante versione dei fatti. Su tutte, quelle di altri due ex “gladiatori” sardi, Oscar Puddu e Antonino Arconte; quest’ultimo, addirittura, ha svelato di aver ricevuto da Roma la richiesta di contattare in Libano i palestinesi dell’OLP per tentare una mediazione con le Br e favorire la liberazione di Moro, ben 14 giorni prima che lo statista venisse effettivamente rapito. L’uomo a cui Arconte avrebbe consegnato il dispaccio, il colonnello del Sismi Mario Ferraro, verrà in seguito trovato morto nella sua abitazione romana, in circostanze mai  chiarite. Ma da chi sarebbe partita la telefonata che avrebbe condannato a morte Moro? Secondo Piero Mannironi (La Nuova Sardegna) l’unica risposta possibile è: da Cossiga e Andreotti. Ladu riferisce il parere di alcuni militari, secondo i quali tutto era stato bloccato da una telefonata del Ministero dell’Interno. Puddu aggiunge che il generale dei Carabinieri Dalla Chiesa insisteva per il blitz, ma fu bloccato da Andreotti e Cossiga che lo convocarono a Forte Braschi, sede del Sismi, e «lo redarguirono duramente». Come si sa, Dalla Chiesa verrà poi ucciso in un agguato di mafia.
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BATTAGLIA PER LA VERITÀ – L’inchiesta che si sta riaprendo curiosamente dopo che sia Cossiga che Andreotti sono scomparsi, potrebbe ribaltare le (poche) certezzedelle versioni ufficiali, delle sentenze del passato, e, soprattutto, pone un problema terribile: bloccando il blitz, un uomo di Stato avrebbe decretato la morte di Aldo Moro. Dalla reticenza con cui gli organi d’informazione hanno divulgato una notizia che, nelle altre democrazie occidentali, avrebbe riempito giornali, tg e programmi di approfondimento per settimane, sorge il sospetto che, ancora una volta, in Italia si voglia far dimenticare.
Che si preferisca sorvolare, infittire il velo di indifferenza e mistero, nell’illusione di “proteggere” le istituzioni da se stesse. Quando, invece, è solo con la verità che le istituzioni possono sperare di recuperare un po’ della fiducia che anni di menzogne e complicità, sospette o accertate, coi più svariati poteri criminali nazionali e internazionali hanno fatto venir meno tra i cittadini.
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