Alessandro Mezzano |
06.12.2012 - Durante le ferie di Agosto del 1999 ci capitò tra le mani un libro dal titolo così intrigante e provocatorio che lo abbiamo dovuto comprare.
Si tratta di: ”Fascisti rossi, da Salò al PCI…” di P. Buchignani, edito da Mondadori. Aprendolo non sapevamo francamente cosa aspettarci, ma poi, man mano che le pagine scorrevano, il quadro si è chiarito, le tesi sottintese sono emerse si è evidenziato lo scopo recondito e malizioso per cui il libro era stato scritto.
Alla fine abbiamo provato l'irresistibile impulso di darne un giudizio critico, se pur mai siamo stati critici letterari, né per idoneità culturale, né per vocazione.
Sia quindi chiaro che non vogliamo fare una critica letteraria che d'altronde giudichiamo inutile dato il carattere di saggio giornalistico del libro.
Il nostro sarà un giudizio politico ed etico sul contenuto e sulle tesi sottintese.
Partendo dai rapporti intercorsi tra alcuni esponenti “fascisti” con i dirigenti del PCI dal 1943 al 1946/47 e proseguiti a livello di ufficiosa collaborazione fino al 1953 con azione politica e stampa del periodico “Pensiero Nazionale” finanziato dal PCI, l'autore ci presenta un quadro del fascismo pre e post bellico che sembra fatto su misura per liquidarne l'essenza, il valore, l'originalità, l'efficacia sociale e l'idealità.
Detta in soldoni, la tesi che risulta, spremendo e distillando le 316 pagine è la seguente: Nella R.S.I. militarono da una parte avventurieri che speravano di difendere interessi e posizioni politiche conservatrici e filo capitaliste e dall'altra una massa d'illusi i quali speravano che Mussolini volesse realizzare uno Stato socialista d'impostazione marxista.
Insomma, secondo le tesi interessa te del PCI, dei comunisti che non sapevano di esserlo e che portavano la camicia nera per sbaglio e perché “ingannati” dal DUCE.
Gli uni e gli altri, fondamentalmente dei coglioni..!
Per dimostrare tutto ciò, l'autore descrive la nascita e la crescita del MSI come un partito – rifugio dei reduci, che si sposta quasi subito verso la destra liberale e clericale, tradendo le proprie radici della R.S.I. e liquida così, in poche righe, la posizione del Movimento. Larghissimo spazio viene invece dato al movimento di Stanis Ruinas denominato “Pensiero Nazionale“, dal nome omonimo del periodico pubblicato.
Ruinas, con la collaborazione di Lando D'Amico, Ferruccio Ferrini ed altri, tra i quali alcuni ex gerarchi passati direttamente nelle file del PCI sia nel 43 che dopo il 45, opera per creare un movimento di ex fascisti per fiancheggiare il PCI.
Questo disegno, che si afferma essere creatura dello stesso Togliatti che ne affidò l'esecuzione a G. Pajetta e L. Longo aveva come scopo quello di impedire che i voti di qualche milione di ex fascisti andasse ad arricchire il carniere liberal clericale e di creare una massa di fiancheggiatori da usare in chiave anti NATO.
A tutto questo discorso, ribadito con ripetitività ossessiva, riferendo mille volte episodi analoghi, di incontri e di approcci, ciascuno dei quali nulla porta di nuovo a quanto già narrato, vogliamo, per chiarezza, contestare fatti, analisi e considerazioni.
- Dei transfughi dal Fascismo al Comunismo che cambiarono pelle tra il 1943 ed il 1945, non mette conto dilungarsi.
La loro posizione si può facilmente liquidare.
Noi non crediamo alle conversioni che coincidono con la convenienza!
Chi ha saltato il fosso quando la guerra si stava perdendo è un miserabile opportunista e la coscienza e la politica non c'entrano nulla.
Si tratta solamente di viltà e di miserabile calcolo.
Chi scrive ha avuto l'onore di conoscere dei veri antifascisti, quelli che lo furono sulla loro pelle, dal 22 al 45 quando per esserlo era necessario essere coraggiosi, onesti e determinati e questi erano di ben altra stoffa!
Sono i “buoni nemici” di Nietzschiana memoria…!
- Chi militò nella R.S.I. sapeva perfettamente che le probabilità di scamparla erano scarse! Lo fecero, è vero, per fedeltà al DUCE, alla Patria, al senso dell'onore che per loro era ed è un valore irrinunciabile, a differenza di chi praticava il pragmatismo morale dei marxisti o l'opportunismo dei Badogliani.
La R.S.I. non deluse la loro sete di giustizia sociale, perché con i “diciotto punti di Verona” pose le basi per la più avanzata e progressiva Legislazione sociale mai scritta in Italia ed in Europa.
Basti pensare alla “Socializzazione delle imprese” che la nuova Repubblica, nata dalla resistenza, copiò in parte nella nuova Costituzione (art.46), ma che in 50 anni è rimasta lettera morta.
- I “comunisti in camicia nera” esistevano solo nella mente e nei sogni di Togliatti.
La differenza enorme, abissale, tra il Fascismo ed il Comunismo è la spiritualità del primo ed il materialismo del secondo.
Il Comunismo propone solo una più equa distribuzione della ricchezza, mentre il Fascismo pone, in alternativa, una società in cui l'ingiustizia sociale si elimina perché non è più la ricchezza l'unità di misura dell'Uomo, ma ci si propone di sviluppare i valori spirituali della vita per un reale progresso dell'Uomo e non solo della tecnologia.
- Altrettanto falsa è la tesi dei Fascisti delusi dalla “conversione” del regime verso gli interessi del capitalismo.
Esaminando la legislazione vigente, balza evidente che TUTTO il blocco delle Leggi sociali promulgate in Italia, fu fatto negli anni del Fascismo, mentre negli ultimi 67 anni, poco o nulla di significativo fu concluso in questo settore!
- Può darsi che quettro gatti si siano fatti incantare da Ruinas e da Pajetta, ma di loro ben poco si è parlato.
Del MSI e del Fascismo invece se ne continua a parlare sin dal 1946.
Il progetto di Ruinas fallì perché i fascisti della RSI non erano degli ingannati dal DUCE, come invece lo furono i Comunisti da Stalin, per loro stessa ammissione.
Troppe 316 pagine per tante sciocchezze..!
Nessun commento:
Posta un commento