Nicola Bombacci uno dei tre fondatori del PCI |
Da Bombacci a Cianetti, dalle testimonianze nella Ddr, nella Cuba di Castro e nella Corea del nord
di: Sofia Giani Devi
La contrapposizione fra “rossi” e “neri” che i più avanti con l’età ricorderanno sicuramente e che è universalmente conosciuta con la dicitura “anni di piombo” non è servita a nulla. Ha solo mietuto vittime, in molti casi giovani, e ancora adesso, nel 2013, è presente in conversazioni, sia reali sia sui social network, che il più delle volte dimostrano scarsa competenza storica e giudizi affrettati da essa derivati. Insomma, è tutto un “divide et impera”.
Famosa la frase di Berto Ricci: “L’antiroma esiste, ma non è Mosca. Contro Roma, città dell’anima, sta Chicago, città del maiale”. Essa evidenzia dunque il reale nemico da combattere.
Si potrebbe definire questa situazione come un concorso di colpa, nel senso che non è solo colpa di chi ignora i fatti storici, ma anche di chi tradisce i proprio programmi e scompagina le carte nella mente della persona che vuole vederci chiaro. Due esempi su tutti: l’abrogazione della legge sulla Socializzazione e il fenomeno chiamato “neofascismo”.
La prima fu effettuata il 25 aprile 1945 nientemeno che da Mario Berlinguer, padre del più famoso Enrico: essendo un super proprietario terriero, curò i propri interessi che sarebbero stati intaccati dalla Legge sulla Socializzazione, allora approfittando della “mancanza di sensibilità politica e nazionale delle maestranze e della loro ignoranza”, in nome della democrazia e della libertà ha riconsegnato i lavoratori all’arbitrio del capitale.
Già Dostojevskij diceva che l’uomo ottiene dignità solo tramite il lavoro; ebbene, è opportuno un sistema economico che metta alla pari il capitale e il lavoro suddetto. Esso si chiama appunto “socializzazione dell’economia”.
Come manifesto illustrativo della socializzazione fu usato quello in cui si vedono un avambraccio muscoloso e un pugno con al polso il ceppo con scritto “Capitalismo”, ma le catene vengono rotte dalla parola “Socializzazione” scritta in rosso.
Il secondo errore è stato il cosiddetto “neofascismo”. Il dopoguerra spinse molti che si consideravano fascisti nell’anticomunismo più becero, con la scusa che “i comunisti avevano assassinato i camerati”, ignorando, fra le altre cose, che il fenomeno chiamato “resistenza” era composto da partigiani di varia estrazione politica, altrimenti non sarebbe mai potuto succedere un fatto come Porzus, ad esempio.
Come confessò Caradonna, l’espediente che era stato utilizzato era proprio quello, ossia farli scontrare con i “rossi”, secondo il ragionamento del “più si picchiavano e più si spingevano a destra”. Eppure la stessa RSI diceva: “la Patria al di sopra delle fazioni”. Dire quindi che la sua è stata una mossa intelligente e soprattutto fedele alla linea tracciata è a dir poco una bestemmia.
Nella Storia ci sono stati esempi di come i “rossi” e i “neri” sono andati d’accordo. Nell’ordine: Bombacci e il suo periodico “La Verità” (aprile 1936), la “benedizione” di Tullio Cianetti del patto Molotov-Von Ribbentrop (23 Agosto 1939), la presenza di “rossobruni” nella futura DDR (26 febbraio e 22 marzo 1948), il reclutamento di alcune SS tedesche da parte di Fidel Castro (29 ottobre 1962) e l’invito del Presidente della Corea del Nord a studiare il “Mein Kampf” (giugno 2013).
Nell’aprile 1933 uscì il primo numero de “La verità” (parola che è, ironia della sorte, traduzione italiana di “Pravda”, il famoso quotidiano sovietico) in 25.000 copie. Sergio Panunzio scrisse che si poteva ormai intravedere la sintesi equilibratrice di Roma e Mosca, punti d’irradiazione “delle due grandi forze e delle due grandi rivoluzioni moderne: il Comunismo ed il Fascismo”. Espulso nel 1927 dal PCd’I, del quale era stato tra i fondatori, Nicola Bombacci non aveva mai interrotto completamente i propri rapporti con l’Ambasciata dell’URSS e in particolare con l’addetto commerciale; nella sua qualità di intermediario d’affari della Delegazione Commerciale sovietica, nel 1930 aveva agevolato l’acquisto di grano russo da parte dell’Italia.
Nel 1931, in ogni caso, sembra aver avuto termine “ogni rapporto, anche di natura tecnico-commerciale, tra Bombacci e l’Ambasciata sovietica a Roma, dove aveva trovato nel frattempo lavoro anche il figlio Raoul, rientrato nel 1925 dalla Russia per assolvere gli obblighi di leva. Una volta in Italia, Raoul Bombacci – che a Mosca era entrato in rapporti con l’ambasciatore italiano Manzoni – aveva collaborato col padre all’interno della Società ‘L’Italo-Russa’”, una società anonima per gli scambi commerciali con l’URSS. Tale società aveva ottenuto dalle autorità fasciste il permesso di pubblicare una rivista sovvenzionata da Mosca, la quale si proponeva di “illustrare le ricchezze dell’URSS e le sue audaci innovazioni politiche, economiche e culturali per dimostrare agli italiani che l’Italia risolverà i suoi problemi e la sua dura crisi economica solo quando avrà compresa la necessità di un’unione solida e fraterna con la Russia soviettista”.
Forse non è necessario ipotizzare che Bombacci, col discorso tenuto alla Camera il 30 novembre 1923, abbia avuto un peso determinante sull’evento del 7 febbraio 1924, allorché l’Italia, prima tra le nazioni europee, riprese le normali relazioni diplomatiche con l’URSS, perseguendo – come rivendicherà Mussolini dieci anni più tardi – “una aperta e leale politica di intensificazione degli scambi con la Repubblica dei sovieti”; né è obbligatorio attribuire a Bombacci il merito del trattato di amicizia e non aggressione siglato tra Italia e URSS il 2 settembre 1933, “sbocco e coronamento” del precedente riconoscimento; neppure è indispensabile individuare in lui il tramite del successivo incontro di Litvinov con Mussolini. Fatto sta che “la conoscenza di personaggi e di retroscena sovietici che egli poteva vantare poteva rivelarsi utile per gli scopi di uno dei settori portanti della politica estera mussoliniana” .
Né va trascurato il fatto che nella prima metà degli anni Trenta Bombacci lavorò presso l’Istituto Internazionale di Cinematografia Educativa e che nel quadro di tale attività mantenne i rapporti con l’Associazione sovietica per i rapporti culturali con l’estero. In quegli stessi anni furono proiettate alla Mostra di Venezia parecchie pellicole sovietiche, tra le quali un apprezzatissimo “Gli eroi dell’Artico”, che si concludeva con questa frase di Stalin: “Non ci sono fortezze che non possiamo conquistare”. Che Bombacci abbia svolto un ruolo in tutto ciò, nessuno è stato finora in grado di accertarlo. Tornando a “La Verità”, la linea seguita dalla rivista era “una linea socialnazionale in critica aperta col bolscevismo sovietico e favorevole all’alleanza nazista” , ma tale indirizzo cambiò allorché il Reich germanico e l’URSS firmarono il Patto di non aggressione.
Come specificato, esso ebbe la “benedizione” di Tullio Cianetti, il ministro delle Corporazioni, considerato “il più rosso dei neri”, o il “comunista del Littorio”; lo accolse infatti dicendo che considerava “il sovietismo, il nazionalsocialismo ed il fascismo molto più vicini e simili di quanto non lo fossero nei confronti delle grandi democrazie plutocratiche”.
Cambiando Paese, se si pensa ai Nazional-socialisti nel secondo dopoguerra non passa inosservato il caso di Wernher Von Braun, le cui conoscenze in campo missilistico furono usate dagli Stati Uniti. In realtà, se si approfondisce, si scopre che il 26 febbraio del 1948, le autorità sovietiche avevano dichiarato ufficialmente terminata la “denazificazione” e chiusi tutti i procedimenti contro persone non colpevoli di concreti crimini di guerra o contro l’umanità. Addirittura lo stesso Stalin avrebbe contemporaneamente dichiarato che bisognava “rimuovere la linea di separazione tra ex-nazisti e non nazisti”. Il 22 marzo del 1948, i sovietici autorizzarono anche un quotidiano rivolto a questa area “nazionale” del pubblico – la National-Zeitung, che sarebbe uscito ogni giorno fino alla fine della DDR.
In uno dei suoi primi numeri, il nuovo quotidiano scrisse: “Mentre in altre parti della Germania si gioca ancora con pesante determinazione alla denazificazione, nella Zona Est gli occhi possono vedere più chiaro, oggi un semplice ‘Pg.’ [Parteigenosse, membro del partito nazionalsocialista] non deve più guardarsi attorno intimidito, sentendosi come un paria” (National-Zeitung del 25.3.1948, p. 1). Il 25 maggio del 1948, i sovietici autorizzarono l’NDPD, un “gruppo di tedeschi che amano la patria“: lo stesso SED dichiarò che lo scopo del nuovo partito era di evitare che queste persone “dalle idee politicamente confuse” finissero per votare per i democristiani o i liberali.
Durante tutto il periodo della DDR, l’NDPD – che alla fine degli anni Ottanta aveva oltre 100.000 membri – poteva contare su un numero prestabilito di 52 deputati in parlamento. Il fondatore del NDPD fu un ex-comunista, ma il suo successore, rimasto a dirigere il partito fino alla fine, fu un ex-membro dell’NSDAP ed ex-ufficiale dell’esercito, catturato dai sovietici a Stalingrado e subito incorporato nella Nationalkomitee Freies Deutschland, che nei propri stendardi adottava i vecchi colori, nero, bianco e rosso, della Germania imperiale, al posto del nero, rosso, oro della repubblica di Weimar.
Nella DDR… nel 1952, il governo lanciò una vasta campagna contro la sudditanza della Germania dell’Ovest alla NATO e alle potenze occidentali. L’NDPD contribuì a questa campagna con un “appello alla generazione tedesca che era stata al fronte durante la seconda guerra mondiale”: i 119 firmatari dell’appello scrissero, accanto al proprio nome e cognome, anche il proprio rango nella Wehrmacht, nelle SS, nella Hitler Jugend e altre organizzazioni dell’epoca.
E a proposito di SS, documenti del Bnd (servizi segreti tedeschi) finora inediti rivelano che Fidel Castro chiamò allora a Cuba almeno due ex SS naziste come addestratori militari. Parola del quotidiano Die Welt. All’apice della tensione internazionale, il 26 ottobre del 1962, racconta il quotidiano, il Bnd scrive in un rapporto di aver appreso che Castro aveva fatto assoldare ex membri delle SS naziste come ”istruttori per i militari cubani”. Alla data del rapporto il Bnd era riuscito a raccogliere prove della presenza sull’isola di almeno due ex SS dei quattro che avevano risposto all’invito di Cuba. Restando in tema hitleriano, è di giugno 2013 la notizia secondo cui il leader della Corea del Nord ha regalato alle sue persone di fiducia il “Mein Kampf”, stampato in tiratura limitata di 100 copie.
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=22325
AGGIUNTA da SOCIALE
Tratto da:
http://www.lamoscabianca.eu/OPINIONI/lo%20scaffale%20caro%20compagno%2005082009.htm
Il Fascismo fu solo violenza, olio di ricino, privazione delle libertà individuali? Ed allora come mai i tuoi più illustri compagni nel 1936 lanciarono il famoso “Appello ai fratelli in Camicia Nera”? La decisione di pubblicare il famoso appello nacque nel clima di sfiducia che pervadeva la dirigenza comunista in esilio alla metà degli anni 30. Essa si rendeva ormai conto che il consenso del popolo italiano nei confronti del fascismo era pressoché totale, anche se oggi te la raccontano molto diversamente, e che persino le masse operaie ormai appoggiavano il fascismo in blocco. I comunisti di allora, che conoscevano perfettamente la situazione italiana, riconobbero ciò che gli ignoranti di oggi si rifiutano di ammettere...
Nel giugno del 1936, sulla rivista “Stato operaio”, la rivista teorica del PCI, i dirigenti comunisti tentano un primo approccio: “Noi tendiamo la mano ai fascisti nostri fratelli di lavoro e di sofferenze perché vogliamo combattere insieme a essi la buona e santa battaglia del pane, del lavoro e della pace. Tutto quanto noi vogliamo, fascisti e non fascisti, possiamo ottenerlo unendoci e levando la nostra voce, che è la voce del popolo”.
Nell’agosto si arriva a un documento solenne, rivolto ai “fratelli in camicia nera”, che ha come base la riconciliazione tra fascisti e non fascisti: “Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere insieme a voi e a tutto il popolo italiano per la realizzazione del programma fascista del 1919 e per ogni rivendicazione che esprima un interesse immediato, particolare o generale, dei lavoratori e del popolo italiano”.
Tra i firmatari dell’appello figurano: Togliatti, Grieco, Gennari, Di Vittorio, Marabini, Montagnana, Longo, Ciufoli, Lampredi, Valiani e moltissimi altri.
I comunisti sono costretti a riconoscere i risultati conseguiti dal fascismo. Greco afferma che “Dobbiamo specificare che lotteremo per una democrazia nuova che tenga conto dell’esperienza fascista.”; Montagnana che “L’attività degli antifascisti, degli stessi comunisti, è pressoché nulla. Gli elementi attivi sono fascisti” e che “Noi dobbiamo avere il coraggio di dire che non ci proponiamo di abbattere il fascismo”; Longo che “Noi siamo dei pigmei e nulla possiamo ancora contro le organizzazioni avversarie”; Ciufoli che “Il PCI, facendo suo il programma del 1919, colmerà il vuoto che esiste ancora tra noi e le masse”; Gennari che “L’attività svolta dalle masse nei sindacati fascisti e i risultati ottenuti dimostrano che già i sindacati fascisti possono essere uno strumento di lotta contro il padronato e perciò essi debbono essere considerati come i sindacati operai nella attuale situazione italiana”.
Capito compagno? Nel 1936, dopo la conquista dell’Impero, non eravamo poi così male agli occhi dei tuoi dirigenti. Addirittura il programma Fascista del 1919 volevano adottare! E non si proponevano di abbattere il Fascismo, considerando addirittura i sindacati fascisti come strumenti di lotta operaia contro i padroni!
Chissà quando è che i tuoi compagni hanno scoperto che il Fascismo era solo violenza, che fu il braccio armato di borghesi e padroni, che privava il popolo della libertà… Fino al 1936 (dopo 14 anni di “dittatura Fascista”, compagno, è bene ricordarlo) parevano non pensarla così…
Avrà influito il fatto che l’appello rimase inascoltato dai Fascisti? Avrà influito il fatto che dopo il periodo delle vittorie cominciò quello dei sacrifici e delle sconfitte?
Tutto può essere, caro compagno… Tutto, tranne il fatto che i tuoi compagni raccontino le cose per quello che sono e che furono!
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