breccia di Porta Pia |
di Vittorio Messori
Converrà continuare il discorso iniziato nel precedente frammento: riflettere su Roma e il suo destino nell'epoca moderna non è certamente un esercizio provinciale e neppure soltanto italiano, visto il mistero di universalità che - dagli inizi della sua storia - è legato all'insediamento sul Tevere. L'Italia "laica" ha avuto un atteggiamento ambivalente davanti alla Città Eterna: da un lato il mito di Roma, nutrito di ricordi, conditi con non poca retorica, dell'antichità classica. Dall'altro, l'avversione per ciò che quel luogo era divenuto con i papi e per ciò che, dunque, significava per un cattolicesimo identificato come il nemico principale da battere perché colonna dell'oscurantismo, nocciolo duro delta reazione. trincea della resistenza ai "Lumi" della Scienza e del Progresso. Questa avversione per la città-simbolo della vicenda cristiana si estendeva (e si estende), un po' razzisticamente, verso i romani. Giordano Bruno Guerrì, nell'incredibile articolo da cui siamo partiti qui sopra, sentenzia: "lì papa si è ben guardato dal dire che lo sfascio di una città non può dipendere solo da chi l'amministra e che occorre la complicità di chi ci abita: il peggior male di Roma è la romanità dei romani, ovvero quell'accidia arrogante e spocchiosa che non è certo genetica, ma che si è formata in secoli di dominio papale". La Chiesa, dunque, come corruttrice di anime e di caratteri. Ancora Guerri: "Ci vuole la faccia tosta di Wojtyla per prendersela con una città i cui mali, tutt'altro che recenti, sono stati metodicamente preparati dai suoi predecessori nel corso dei secoli. Roma era certamente più fetida di oggi quando le miserabili catapecchie del popolino si addossavano alle mille chiese fastose, quando i papa-re angariavano la città per arricchirsi. impotentirsi, michelangiolarsi: impiccando, arrostendo sui roghi. immiserendo".
Siamo, come si vede, a una sorta di revival anticlericale. davvero sconcertante nella sua ingenua ripetitività ottocentesca che ignora la realtà effettiva, ben diversa, mostrata dagli studi storici. Certo, sorprende in modo particolare, in un intellettuale contemporaneo, considerare una colpa storica della Chiesa il "michelangiolarsi". L'avere cioè, con il costante amore per le arti, permesso agli artisti di esprimersi non lesinando loro i mezzi e a Roma, ridotta a rovine coperte di ortiche, di assumere una bellezza che neppure la "nuova" Italia, dopo il 1870, malgrado ce la mettesse tutta, riuscì a distruggere del tutto. Bellezza che, richiamando da tutto il mondo chi è sensibile alle arti, si è rivelata poi per la città anche il migliore e il più duraturo degli investimenti economici. I Guerri pensano forse che un solo turista si muoverebbe per visitare ciò che dopo il 1870 l'Italia - per oltre mezzo secolo polemicamente anticlericale - ha edificato sui Sette Colli? Quanto alle "miserabili catapecchie del popolino" nella città prima della breccia di Porta Pia, è ben noto (come ci hanno detto Marx, Engels e tutto il movimento socialista e umanitario), che, nello stesso periodo, il "popolino" dei Paesi protestanti - dunque acerrimi nemici del "papismo" toccati dalla rivoluzione industriale, godeva il suo comfort sereno nelle villette con giardino e pianoforte dei sobborghi operai di Manchester, di Londra, di Parigi, di Berlino... Quel "popolino" - che là, tra quelle brume, chiamavano "proletariato" - non si addensava attorno a "chiese fastose" ma a quelle nude, terribili, disumane cattedrali che erano opifici e fabbriche; templi innalzati dalla nuova casta sacerdotale, la borghesia, ai soli dei che ormai riconoscesse: il Denaro, il Profitto, la Produzione.
In realtà, in una certa cultura continua ad agire, magari inconsciamente, il rancore verso i romani per non avere fatto nulla per accelerare l'arrivo della "Ragione e del Progresso" all'interno delle Mura Aureliane. Cerchiamo di ripassare un poco quella storia che oggi sembrano ignorare anche tanti "storici". Nel marzo del l86~, aprendosi il primo parlamento del Regno non più di Sardegna ma d'Italia, la Roma ancora papale è acclamata, simbolicamente, capitale d'Italia. Cavour (che mai volle visitare Roma) è troppo realista per cedere alle declamazioni dei retori sulla mitologia dell'Urbe e sui suoi ricordi imperiali: a lui, quella votazione serve per bloccare sul nascere l'antico municipalismo (già molte città, da Milano a Napoli, avanzavano candidature) e per lasciare a tempo indefinito la capitale nella sua Torino, pur così decentrata e malamata dai sudditi del nuovo Regno. Cavour sa che quella proclamazione è platonica e che lo resterà: la Francia di Napoleone III presidia in armi la Città Eterna e minaccia guerra in caso di occupazione; anche le altre potenze europee, a cominciare dall'Austria cattolica e dalla stessa Prussia protestante, si oppongono alle pretese Italiane. Con la Convenzione con la Francia nel settembre 1864, il Regno, impegnandosi a trasferire la capitale a Firenze, sembra prendere atto definitivamente della impossibilità di installarsi sul Tevere. Due anni dopo, nel 1866, onorando quella Convenzione, la Francia ritira le sue truppe da Roma, lasciando solo un presidio internazionale (composto, tra l'altro, da giovani volontari delle famiglie cattoliche di tutta l'Europa e addirittura delle Americhe:.non solo il Risorgimento ma anche "l'altra parte" ebbe l'equivalente delle "camicie rosse" garibaldine). Nel 1870, schiacciato a Sedan dai prussiani il secondo impero napoleonico (e irritata l'Austria dalla proclamazione, fatta dal Vaticano I, dell'infallibilità papale), l'Italia ha mano libera per occupare Roma da dove i francesi si sono ritirati e per trasferirvi, l'anno seguente, la capitale. Ebbene: poco si riflette sulla grave sconfitta morale, sulla insanabile delusione del nazionalismo borghese, dovute al fatto che il 20 settembre i cannoni di Raffaele Cadorna dovettero sparare quattro ore per aprire una breccia nelle mura e fare irruzione in una città che aspettava muta, inerte, come rassegnata.
I dieci anni dal 1860 al 1870 erano stati, infatti, un testardo quanto inutile sforzo per ottenere l'insurrezione dei romani contro il papa, dando così al governo italiano un pretesto per intervenire. Fino al 1866 i patrioti si consolarono dicendo che la causa della mancata rivolta era la presenza dei francesi. Partiti questi, Garibaldi pensò che il momento fosse giunto ma, penetrato nell'autunno del 1867 in quel che restava dello Stato Pontificio, trovò una popolazione niente affatto festante, bensì largamente ostile (come egli stesso ammise). Riuscì a Spingersi sin quasi sotto le mura di Roma, fidando nella insurrezione che gli era stata promessa e per la quale il governo italiano non aveva lesinato aiuti in denaro e in armi. "Ci basterebbero solo dieci schioppettate dei romani!", gemeva, a Firenze, il capo del Governo, Giovanni Lanza. Ma quelle schioppettate non ci furono; anzi, non mancarono i popolani laziali che si arruolarono volontari per contrastare l'invasione garibaldina. I 'congiurati", pagati dal governo dì Firenze e da Garibaldi, spiegarono poi che la promessa rivoluzione contro il papa non era stata fatta perché, la sera convenuta, si era messo a piovere... Così, a Mentana, i pontifici e i francesi mettono in fuga i garibaldini e l'esercito italiano non può intervenire (come era stato programmato) prendendo a pretesto morale la rivolta degli abitanti del Lazio e di Roma che non ci fu. Lo stesso accade nel 1870, quando la Francia sconfitta e poi in preda al marasma della Comune richiama il suo presidio. Anche stavolta si cerca di suscitare un insurrezione; ma anche stavolta denari, sforzi, agenti provocatori si rivelano inutili. Tanto che ancora il 10 settembre, quando già le truppe di Cadorna convergono sulla città, Pio IX, acclamatissimo dal popolo, si reca a inaugurare una fontana sulla piazza di Termini. E, irrompendo dieci giorni dopo da Porta Pia su quella che sarà, appunto, la via XX Settembre, i bersaglieri trovano strade deserte, imposte chiuse, una città che sembra considerarsi più invasa che "liberata". E che sempre distinguerà tra essa e gli "italiani", chiamati buzzurri, cioè forestieri rozzi e non invitati.
Un bello smacco per la retorica nazionalista e laicista: questa delusione è tra i motivi di una tenace avversione contro i romani, colpevoli di non avere voluto muovere un dito per togliersi di dosso quella che (stando allo schema) sarebbe stata "l'intollerabile oppressione papalina". Un disprezzo "laico" che si aggraverà ancora perché, nel 1943, fuggito dal Quirinale il nipote del re giunto nel 1870, e dissoltosi non solo il governo ma persino lo Stato entrato a cannonate, i romani si strinsero di nuovo attorno al papa, ridandogli spontaneamente l'antica autorità; e, partiti i tedeschi, si riversarono in massa a piazza San Pietro per acclamarlo come "difensore della città" che, unico tra i potenti, non aveva abbandonato. Fu, questo, un finale coerente con gli inizi, con quel lontano 1793 in cui in Francia regnava il Terrore dei giacobini, i quali inviarono nella Roma papale - con funzioni di propagandista e di provocatore coperto dalla immunità diplomatica - Hugon de Bassville, tanto mediocre cantore della Rivoluzione quanto fazioso e virulento miscredente. Bassville, come sintetizza uno storico contemporaneo, "in occasione delle principali cerimonie religiose, accompagnato da servitori e guardie del corpo, era solito mescolarsi ai fedeli e, nei momenti di maggior devozione, si faceva beffe a gran voce dei sacramenti, dei celebranti e dei luoghi e oggetti di culto e invitava, bestemmiando, a devastare le chiese e a consegnargli i sacerdoti affinché, tradotti a Parigi, venissero decapitati". A fronte della eccessiva tolleranza del papa, che si limitava a proteste cui dalla Francia si rispondeva con sarcasmo, intervenne il popolo, quello vero (e non "la plebaglia" come ancora si legge in enciclopedie e testi scolastici), il popolo credente che, ferito nel suo sentimento religioso, un bel giorno perse la pazienza e alle bestemmie ripetute per l'ennesima volta proruppe in tumulti che culminarono con il linciaggio di Bassville. Ne seguì la dichiarazione di guerra della Francia giacobina allo Stato pontificio: dichiarazione, per il momento, platonica, visto che a Parigi c'era ben altro da fare in quei mesi che muovere a battaglia contro il papa. Ma Napoleone non dimenticò e anche per questo, quando giunse in Italia, calcò particolarmente la mano contro Roma. Ma questa, con l'uccisione del giacobino blasfemo Bassville, si assicurò un primato: era stata la prima città italiana a dimostrare, e violentemente, contro la Rivoluzione. Deve esserci anche questo nel subconscio degli "illuminati" che disprezzano il popolo romano. I Guerri, dunque, non hanno torto: come non detestare gente che massacrò Bassville, che non volle scacciare Pio IX e che ritrovò in Pio XII un "papa-re" cui essere grata?
© Pensare la storia, San Paolo, Milano 1992, p.243.
Converrà continuare il discorso iniziato nel precedente frammento: riflettere su Roma e il suo destino nell'epoca moderna non è certamente un esercizio provinciale e neppure soltanto italiano, visto il mistero di universalità che - dagli inizi della sua storia - è legato all'insediamento sul Tevere. L'Italia "laica" ha avuto un atteggiamento ambivalente davanti alla Città Eterna: da un lato il mito di Roma, nutrito di ricordi, conditi con non poca retorica, dell'antichità classica. Dall'altro, l'avversione per ciò che quel luogo era divenuto con i papi e per ciò che, dunque, significava per un cattolicesimo identificato come il nemico principale da battere perché colonna dell'oscurantismo, nocciolo duro delta reazione. trincea della resistenza ai "Lumi" della Scienza e del Progresso. Questa avversione per la città-simbolo della vicenda cristiana si estendeva (e si estende), un po' razzisticamente, verso i romani. Giordano Bruno Guerrì, nell'incredibile articolo da cui siamo partiti qui sopra, sentenzia: "lì papa si è ben guardato dal dire che lo sfascio di una città non può dipendere solo da chi l'amministra e che occorre la complicità di chi ci abita: il peggior male di Roma è la romanità dei romani, ovvero quell'accidia arrogante e spocchiosa che non è certo genetica, ma che si è formata in secoli di dominio papale". La Chiesa, dunque, come corruttrice di anime e di caratteri. Ancora Guerri: "Ci vuole la faccia tosta di Wojtyla per prendersela con una città i cui mali, tutt'altro che recenti, sono stati metodicamente preparati dai suoi predecessori nel corso dei secoli. Roma era certamente più fetida di oggi quando le miserabili catapecchie del popolino si addossavano alle mille chiese fastose, quando i papa-re angariavano la città per arricchirsi. impotentirsi, michelangiolarsi: impiccando, arrostendo sui roghi. immiserendo".
Siamo, come si vede, a una sorta di revival anticlericale. davvero sconcertante nella sua ingenua ripetitività ottocentesca che ignora la realtà effettiva, ben diversa, mostrata dagli studi storici. Certo, sorprende in modo particolare, in un intellettuale contemporaneo, considerare una colpa storica della Chiesa il "michelangiolarsi". L'avere cioè, con il costante amore per le arti, permesso agli artisti di esprimersi non lesinando loro i mezzi e a Roma, ridotta a rovine coperte di ortiche, di assumere una bellezza che neppure la "nuova" Italia, dopo il 1870, malgrado ce la mettesse tutta, riuscì a distruggere del tutto. Bellezza che, richiamando da tutto il mondo chi è sensibile alle arti, si è rivelata poi per la città anche il migliore e il più duraturo degli investimenti economici. I Guerri pensano forse che un solo turista si muoverebbe per visitare ciò che dopo il 1870 l'Italia - per oltre mezzo secolo polemicamente anticlericale - ha edificato sui Sette Colli? Quanto alle "miserabili catapecchie del popolino" nella città prima della breccia di Porta Pia, è ben noto (come ci hanno detto Marx, Engels e tutto il movimento socialista e umanitario), che, nello stesso periodo, il "popolino" dei Paesi protestanti - dunque acerrimi nemici del "papismo" toccati dalla rivoluzione industriale, godeva il suo comfort sereno nelle villette con giardino e pianoforte dei sobborghi operai di Manchester, di Londra, di Parigi, di Berlino... Quel "popolino" - che là, tra quelle brume, chiamavano "proletariato" - non si addensava attorno a "chiese fastose" ma a quelle nude, terribili, disumane cattedrali che erano opifici e fabbriche; templi innalzati dalla nuova casta sacerdotale, la borghesia, ai soli dei che ormai riconoscesse: il Denaro, il Profitto, la Produzione.
In realtà, in una certa cultura continua ad agire, magari inconsciamente, il rancore verso i romani per non avere fatto nulla per accelerare l'arrivo della "Ragione e del Progresso" all'interno delle Mura Aureliane. Cerchiamo di ripassare un poco quella storia che oggi sembrano ignorare anche tanti "storici". Nel marzo del l86~, aprendosi il primo parlamento del Regno non più di Sardegna ma d'Italia, la Roma ancora papale è acclamata, simbolicamente, capitale d'Italia. Cavour (che mai volle visitare Roma) è troppo realista per cedere alle declamazioni dei retori sulla mitologia dell'Urbe e sui suoi ricordi imperiali: a lui, quella votazione serve per bloccare sul nascere l'antico municipalismo (già molte città, da Milano a Napoli, avanzavano candidature) e per lasciare a tempo indefinito la capitale nella sua Torino, pur così decentrata e malamata dai sudditi del nuovo Regno. Cavour sa che quella proclamazione è platonica e che lo resterà: la Francia di Napoleone III presidia in armi la Città Eterna e minaccia guerra in caso di occupazione; anche le altre potenze europee, a cominciare dall'Austria cattolica e dalla stessa Prussia protestante, si oppongono alle pretese Italiane. Con la Convenzione con la Francia nel settembre 1864, il Regno, impegnandosi a trasferire la capitale a Firenze, sembra prendere atto definitivamente della impossibilità di installarsi sul Tevere. Due anni dopo, nel 1866, onorando quella Convenzione, la Francia ritira le sue truppe da Roma, lasciando solo un presidio internazionale (composto, tra l'altro, da giovani volontari delle famiglie cattoliche di tutta l'Europa e addirittura delle Americhe:.non solo il Risorgimento ma anche "l'altra parte" ebbe l'equivalente delle "camicie rosse" garibaldine). Nel 1870, schiacciato a Sedan dai prussiani il secondo impero napoleonico (e irritata l'Austria dalla proclamazione, fatta dal Vaticano I, dell'infallibilità papale), l'Italia ha mano libera per occupare Roma da dove i francesi si sono ritirati e per trasferirvi, l'anno seguente, la capitale. Ebbene: poco si riflette sulla grave sconfitta morale, sulla insanabile delusione del nazionalismo borghese, dovute al fatto che il 20 settembre i cannoni di Raffaele Cadorna dovettero sparare quattro ore per aprire una breccia nelle mura e fare irruzione in una città che aspettava muta, inerte, come rassegnata.
I dieci anni dal 1860 al 1870 erano stati, infatti, un testardo quanto inutile sforzo per ottenere l'insurrezione dei romani contro il papa, dando così al governo italiano un pretesto per intervenire. Fino al 1866 i patrioti si consolarono dicendo che la causa della mancata rivolta era la presenza dei francesi. Partiti questi, Garibaldi pensò che il momento fosse giunto ma, penetrato nell'autunno del 1867 in quel che restava dello Stato Pontificio, trovò una popolazione niente affatto festante, bensì largamente ostile (come egli stesso ammise). Riuscì a Spingersi sin quasi sotto le mura di Roma, fidando nella insurrezione che gli era stata promessa e per la quale il governo italiano non aveva lesinato aiuti in denaro e in armi. "Ci basterebbero solo dieci schioppettate dei romani!", gemeva, a Firenze, il capo del Governo, Giovanni Lanza. Ma quelle schioppettate non ci furono; anzi, non mancarono i popolani laziali che si arruolarono volontari per contrastare l'invasione garibaldina. I 'congiurati", pagati dal governo dì Firenze e da Garibaldi, spiegarono poi che la promessa rivoluzione contro il papa non era stata fatta perché, la sera convenuta, si era messo a piovere... Così, a Mentana, i pontifici e i francesi mettono in fuga i garibaldini e l'esercito italiano non può intervenire (come era stato programmato) prendendo a pretesto morale la rivolta degli abitanti del Lazio e di Roma che non ci fu. Lo stesso accade nel 1870, quando la Francia sconfitta e poi in preda al marasma della Comune richiama il suo presidio. Anche stavolta si cerca di suscitare un insurrezione; ma anche stavolta denari, sforzi, agenti provocatori si rivelano inutili. Tanto che ancora il 10 settembre, quando già le truppe di Cadorna convergono sulla città, Pio IX, acclamatissimo dal popolo, si reca a inaugurare una fontana sulla piazza di Termini. E, irrompendo dieci giorni dopo da Porta Pia su quella che sarà, appunto, la via XX Settembre, i bersaglieri trovano strade deserte, imposte chiuse, una città che sembra considerarsi più invasa che "liberata". E che sempre distinguerà tra essa e gli "italiani", chiamati buzzurri, cioè forestieri rozzi e non invitati.
Un bello smacco per la retorica nazionalista e laicista: questa delusione è tra i motivi di una tenace avversione contro i romani, colpevoli di non avere voluto muovere un dito per togliersi di dosso quella che (stando allo schema) sarebbe stata "l'intollerabile oppressione papalina". Un disprezzo "laico" che si aggraverà ancora perché, nel 1943, fuggito dal Quirinale il nipote del re giunto nel 1870, e dissoltosi non solo il governo ma persino lo Stato entrato a cannonate, i romani si strinsero di nuovo attorno al papa, ridandogli spontaneamente l'antica autorità; e, partiti i tedeschi, si riversarono in massa a piazza San Pietro per acclamarlo come "difensore della città" che, unico tra i potenti, non aveva abbandonato. Fu, questo, un finale coerente con gli inizi, con quel lontano 1793 in cui in Francia regnava il Terrore dei giacobini, i quali inviarono nella Roma papale - con funzioni di propagandista e di provocatore coperto dalla immunità diplomatica - Hugon de Bassville, tanto mediocre cantore della Rivoluzione quanto fazioso e virulento miscredente. Bassville, come sintetizza uno storico contemporaneo, "in occasione delle principali cerimonie religiose, accompagnato da servitori e guardie del corpo, era solito mescolarsi ai fedeli e, nei momenti di maggior devozione, si faceva beffe a gran voce dei sacramenti, dei celebranti e dei luoghi e oggetti di culto e invitava, bestemmiando, a devastare le chiese e a consegnargli i sacerdoti affinché, tradotti a Parigi, venissero decapitati". A fronte della eccessiva tolleranza del papa, che si limitava a proteste cui dalla Francia si rispondeva con sarcasmo, intervenne il popolo, quello vero (e non "la plebaglia" come ancora si legge in enciclopedie e testi scolastici), il popolo credente che, ferito nel suo sentimento religioso, un bel giorno perse la pazienza e alle bestemmie ripetute per l'ennesima volta proruppe in tumulti che culminarono con il linciaggio di Bassville. Ne seguì la dichiarazione di guerra della Francia giacobina allo Stato pontificio: dichiarazione, per il momento, platonica, visto che a Parigi c'era ben altro da fare in quei mesi che muovere a battaglia contro il papa. Ma Napoleone non dimenticò e anche per questo, quando giunse in Italia, calcò particolarmente la mano contro Roma. Ma questa, con l'uccisione del giacobino blasfemo Bassville, si assicurò un primato: era stata la prima città italiana a dimostrare, e violentemente, contro la Rivoluzione. Deve esserci anche questo nel subconscio degli "illuminati" che disprezzano il popolo romano. I Guerri, dunque, non hanno torto: come non detestare gente che massacrò Bassville, che non volle scacciare Pio IX e che ritrovò in Pio XII un "papa-re" cui essere grata?
© Pensare la storia, San Paolo, Milano 1992, p.243.
La Questione romana
di Giuseppe Bonvegna
Il 20 settembre 1870, intorno alle dieci del mattino, i cannoni dell’artiglieria italiana cessano di tuonare contro le mura di Roma e i bersaglieri del nuovo Regno d’Italia si lanciano all’assalto di Porta Pia, contrastati ancora dal fuoco di fucileria degli ultimi difensori del Papa.
Il conflitto tra la Chiesa cattolica e la Rivoluzione italiana viene così "risolto", da parte del governo sabaudo, con una breccia che calpesta i diritti della Santa Sede: inizia la Questione Romana, la storia cioè dei tentativi messi in atto dal governo italiano per ricucire una ferita che, da un punto di vista istituzionale, si rimarginerà con i Patti Lateranensi del 1929.
In realtà, anche se soltanto dopo Porta Pia si comincia a parlare di Questione Romana in senso proprio, il 1870 è il punto di arrivo di un decennio, nel corso del quale la classe dirigente italiana aveva cercato di ostacolare la missione della Chiesa, erodendone a poco a poco la base territoriale.
Il libro di Renato Cirelli, La Questione Romana. Il compimento dell’unificazione che ha diviso l’Italia, analizza questa prima fase della Questione Romana che inizia il 26 marzo 1860, quando Pio IX, con il breve Cum Catholica Ecclesia, scomunica i governanti italiani responsabili dell’annessione delle Legazioni Pontificie.
La consapevolezza del Pontefice di avere a che fare con "(...) un progetto filosofico, etico, religioso e solo successivamente politico radicalmente nemico del cattolicesimo" - sottolinea Cirelli - viene suffragata dal fatto che la classe dirigente del nuovo Regno d’Italia, "(...) è anche formata da uomini che aderiscono alle correnti del razionalismo, spesso massoni, non di rado con radici gianseniste".
Tuttavia, il potere liberale, consapevole della difficoltà di governare un Paese cattolico, si vede costretto a considerare aperture verso la Chiesa, che si concretizzano, tra la fine del 1860 e il settembre del 1868, in cinque tentativi di mediazione portati avanti da illustri personaggi del mondo politico e intellettuale italiano.
Ma la scarsa convinzione di concludere da parte del governo italiano e le pressioni degli ambienti anti-clericali, determinano il fallimento degli approcci di conciliazione. Anche la Convenzione di Parigi del 15 settembre 1864, tra il governo italiano e l’Impero francese, che prevede l’abbandono di Roma da parte delle truppe francesi, la formazione di un esercito di volontari al servizio de Papa, e l’impegno italiano nella protezione dello Stato della Chiesa, non soddisfa nessuno: "L’Italia sottoscrive con riserva mentale poiché nessun esponente politico italiano si pone il problema di rinunciare a Roma (...). Napoleone III accetta la Convenzione con spirito machiavellico, nell’intento di sottrarsi a una situazione imbarazzante (...)"; Pio IX, "tenuto all’oscuro delle trattative, viene messo davanti al fatto compiuto e rifiuta di prenderlo in considerazione sentendosi tradito e abbandonato".
Le truppe francesi lasciano Roma nell’agosto del 1870, in seguito allo scoppio della guerra franco-prussiana: l’esercito pontificio, che il 13 novembre del 1867 aveva sconfitto a Mentana i volontari garibaldini fuggiti davanti a ventimila francesi sbarcati a Civitavecchia, si prepara adesso da solo a difendere per l’ultima volta la città del Papa.
I diciotto brevi capitoli di Renato Cirelli - introdotti da Marco Invernizzi, preceduti da un quadro cronologico degli avvenimenti, completati da tre appendici che riportano i principali documenti relativi alla vicenda e da un’utilissima bibliografia - vogliono essere una semplice guida introduttiva a un problema complesso, la cui conoscenza è però indispensabile per chiunque desideri capire i nodi fondamentali della storia d’Italia e darne un giudizio sereno, al di là di certe interpretazioni ideologiche ormai di maniera.
Giuseppe Bonvegna
Recensione uscita sul n. 2 di Percorsi del gennaio 1998
di Giuseppe Bonvegna
Il 20 settembre 1870, intorno alle dieci del mattino, i cannoni dell’artiglieria italiana cessano di tuonare contro le mura di Roma e i bersaglieri del nuovo Regno d’Italia si lanciano all’assalto di Porta Pia, contrastati ancora dal fuoco di fucileria degli ultimi difensori del Papa.
Il conflitto tra la Chiesa cattolica e la Rivoluzione italiana viene così "risolto", da parte del governo sabaudo, con una breccia che calpesta i diritti della Santa Sede: inizia la Questione Romana, la storia cioè dei tentativi messi in atto dal governo italiano per ricucire una ferita che, da un punto di vista istituzionale, si rimarginerà con i Patti Lateranensi del 1929.
In realtà, anche se soltanto dopo Porta Pia si comincia a parlare di Questione Romana in senso proprio, il 1870 è il punto di arrivo di un decennio, nel corso del quale la classe dirigente italiana aveva cercato di ostacolare la missione della Chiesa, erodendone a poco a poco la base territoriale.
Il libro di Renato Cirelli, La Questione Romana. Il compimento dell’unificazione che ha diviso l’Italia, analizza questa prima fase della Questione Romana che inizia il 26 marzo 1860, quando Pio IX, con il breve Cum Catholica Ecclesia, scomunica i governanti italiani responsabili dell’annessione delle Legazioni Pontificie.
La consapevolezza del Pontefice di avere a che fare con "(...) un progetto filosofico, etico, religioso e solo successivamente politico radicalmente nemico del cattolicesimo" - sottolinea Cirelli - viene suffragata dal fatto che la classe dirigente del nuovo Regno d’Italia, "(...) è anche formata da uomini che aderiscono alle correnti del razionalismo, spesso massoni, non di rado con radici gianseniste".
Tuttavia, il potere liberale, consapevole della difficoltà di governare un Paese cattolico, si vede costretto a considerare aperture verso la Chiesa, che si concretizzano, tra la fine del 1860 e il settembre del 1868, in cinque tentativi di mediazione portati avanti da illustri personaggi del mondo politico e intellettuale italiano.
Ma la scarsa convinzione di concludere da parte del governo italiano e le pressioni degli ambienti anti-clericali, determinano il fallimento degli approcci di conciliazione. Anche la Convenzione di Parigi del 15 settembre 1864, tra il governo italiano e l’Impero francese, che prevede l’abbandono di Roma da parte delle truppe francesi, la formazione di un esercito di volontari al servizio de Papa, e l’impegno italiano nella protezione dello Stato della Chiesa, non soddisfa nessuno: "L’Italia sottoscrive con riserva mentale poiché nessun esponente politico italiano si pone il problema di rinunciare a Roma (...). Napoleone III accetta la Convenzione con spirito machiavellico, nell’intento di sottrarsi a una situazione imbarazzante (...)"; Pio IX, "tenuto all’oscuro delle trattative, viene messo davanti al fatto compiuto e rifiuta di prenderlo in considerazione sentendosi tradito e abbandonato".
Le truppe francesi lasciano Roma nell’agosto del 1870, in seguito allo scoppio della guerra franco-prussiana: l’esercito pontificio, che il 13 novembre del 1867 aveva sconfitto a Mentana i volontari garibaldini fuggiti davanti a ventimila francesi sbarcati a Civitavecchia, si prepara adesso da solo a difendere per l’ultima volta la città del Papa.
I diciotto brevi capitoli di Renato Cirelli - introdotti da Marco Invernizzi, preceduti da un quadro cronologico degli avvenimenti, completati da tre appendici che riportano i principali documenti relativi alla vicenda e da un’utilissima bibliografia - vogliono essere una semplice guida introduttiva a un problema complesso, la cui conoscenza è però indispensabile per chiunque desideri capire i nodi fondamentali della storia d’Italia e darne un giudizio sereno, al di là di certe interpretazioni ideologiche ormai di maniera.
Giuseppe Bonvegna
Recensione uscita sul n. 2 di Percorsi del gennaio 1998
Don Bosco e la persecuzione risorgimentale
di Gianpaolo Barra
Pubblichiamo il testo della conversazione che Gianpaolo Barra, direttore de "Il Timone", ha tenuto a Radio Maria giovedì 23 novembre 1999, durante la "Serata Sacerdotale", condotta da don Tino Rolfi. Conserviamo lo stile colloquiale e la divisione in paragrafi numerati, utilizzata per i suoi appunti dall' autore.
l. Continuiamo le nostre conversazioni sul tema delle persecuzioni che i cristiani hanno subito nel corso della ormai bimillenaria storia della Chiesa. Il nostro è un tentativo di leggere la storia, di conoscere quanto è accaduto m passato, nel passato lontano e in quello vicino, per trarne insegnamenti utili in primo luogo alla nostra vita di fede e poi per capire il significato dei fatti accaduti.
2. Questo compito è importante, perchè viviamo in tempi caratterizzati dal regno quasi incontrastato della menzogna, dove si offende la Chiesa e si denigra la sua storia, e che vedono i cattolici incapaci di reagire adeguatamente.
3. Anzi, tanto più cresce la calunnia contro la storia della Chiesa, tanto più viene chiesto al Papa, che è il Pastore della Chiesa universale, di scusarsi, di domandare perdono, perchè la Chiesa sarebbe colpevole di tutte, o quasi tutte le malefatte del passato.
4 Questo è il clima che si respira oggi. Noi non ci lasciamo certo impressionare da questa calunniosa campagna propagandistica. Anzi, crediamo che verrà il tempo in cui qualcuno domanderà perdono alla Chiesa e ai cattolici per i torti, le umiliazioni e le persecuzioni che hanno subito nella loro storia.
5. Vedete bene che il nostro è un intento anche un po' polemico - non lo si deve nascondere -, ma la polemica, quando è seria, e parte fondamentale dell'apologetica. E le nostre - lo sanno bene gli amici radioascoltatori - sono conversazioni di carattere apologetico.
6. Questa sera parleremo di una persecuzione avvenuta in casa nostra, nella nostra Italia, persecuzione della quale poco si parla e ancor più poco si conosce. E` la persecuzione scatenata contro la Chiesa cattolica dai governi liberali e massonici che, nel secolo scorso, hanno fatto il Risorgimento.
7. Studiamo il Risorgimento fin dalle scuole elementari. A scuola ci viene insegnato che, nel secolo scorso, i popoli italiani, divisi in tanti Stati, diedero vita ad un processo, sotto la guida del Regno piemontese, per liberarsi dall'occupazione straniera o dai sovrani reazionari e per conquistare l'unità della Penisola. Le famose "Guerre di indipendenza", ci viene detto, furono volute proprio per liberare l'Italia e per unificarla politicamente e geograficamente.
8. Per verificare l'attendibilità di questa storia, ci faremo guidare da un libro documentatissimo della studiosa Angela Pellicciari, intitolato significativamente "Risorgimenlo da riscrivere", edito da Ares e da un altro bel libro del giornalista Antonio Socci, intitolato "La società dell'allegria" edito da Sugarco, dove si parla di don Bosco, personaggio straordinariamente importante per la storia del secolo scorso e del quale parleremo anche nel corso di questa conversazione.
9. Sapete bene che la nostra Italia è l'unico Paese d'Europa che ha conquistato l'unità nazionale attraverso un duro contrasto con la propria Chiesa. Naturalmente, nel caso dell'Italia, si sta parlando della Chiesa cattolica.
10. Perchè lo Stato sabaudo, il Regno sardo-piemontese che si dice costituzionale e liberale, che si è messo alla guida del processo che ha portato all'unità d'Italia, che ha combattuto contro lo straniero per la libertà, ha perseguitato duramente la Chiesa? Perchè, nel secolo scorso, ha voluto colpire il potere temporale del Romano Pontefice?
11. Si può rispondere, seguendo il ragionamento della Pellicciari, che la persecuzione dei cattolici nell'Italia dell'Ottocento ha origini lontane. Parte dalla Roma descritta dall'eretico Martin Lutero, che ha dato inizio nel XVI secolo alla cosiddetta Riforma Protestante.
12. Lutero definiva Roma, la città del Papa, come la "prostituta Babilonia". Da allora, tutta la stampa moderna di impronta protestante, illuminista e liberal-massonica, ripete in modo ossessivo una serie di ritornelli, una serie di leggende contro Roma che a furia di essere raccontate finiscono per convincere i più sprovveduti.
13 Nasce cosi la leggenda della Roma cattolica, della città capitale della superstizione religiosa, della Roma papalina, dello Stato Pontificio dove, nel secolo scorso, regnava la barbarie e il potere del Papa veniva esercitato con la forza, per reprimere quel popolo che voleva liberarsi da un sovrano metà politico e meta religioso.
14. Per unificare l'Italia sotto il Piemonte, bisognava mettere fine allo Stato della Chiesa, allo Stato Pontificio. Ma non era un'impresa facile - ricorda Angela Pellicciari - perchè lo Stato Pontificio esisteva da più di mille anni, era l'unico Stato al mondo nato grazie a donazioni e quindi non costituito con la forza, era il baluardo dei cristiani di tutto il mondo, e soprattutto era lo strumento che consentiva al Papa di essere libero di fronte al potere politico (ricordiamo che tutte le "chiese" protestanti, che hanno abbandonato Roma, anche in nome di una presunta ricerca di libertà, hanno finito miseramente per essere controllate dai poteri politici locali).
15. A partire dal l848, il Parlamento piemontese dà il via ad una formidabile campagna di denigrazione della Chiesa cattolica, getta fango sui religiosi e sullo Stato Pontificio, accusato di essere male amministrato, sanguinario, retrogrado e nemico dell'unità d'Italia.
16. Ora, che lo Stato Pontificio fosse, nel secolo scorso, il più arretrato degli Stati preunitari, insieme al Regno delle due Sicilie, dei Borboni, questo lo abbiamo sentito dire fin da quando frequentavamo le classi elementari.
17. Qui sarebbe opportuno mettere mano ai documenti e studiare bene i dati. E qualche dubbio è più che lecito, visto che i documenti narrano, per fare un solo esempio, che lo Stato Pontificio, tanto denigrato, raggiunse il pareggio di bilancio nel l859.
18. Non abbiamo tempo per approfondire, ma le stesse cose potrebbero dirsi per il Regno delle due Sicilie. Antonio Socci ci ricorda che in quel Regno c'erano in proporzione meno poveri che a Parigi e a Londra. E ancora: erano in vigore le tasse più lievi di tutta l'Europa, la prima flotta italiana, una popolazione cresciuta di un terzo dal 1800 al 1860, un debito pubblico che era un quarto di quello dello Stato piemontese.
19. Continua Antonio Socci: "E` sorprendente verificare che nei primi tre censimenti generali si ha nel Sud una percentuale di addetti nel settore industriale addirittura superiore a quella delle zone più avanzate del Nord (con un 17,4% contro un l4,8% della Lombardia" (p. l59).
20. Tutti dati che ci fanno capire come la favola di un Sud che nel secolo scorso era rozzo e arretrato rispetto al Nord progressista e avanzato, la favola di un Sud borbonico che ha ricevuto dal Nord piemontese liberal-massonico il progresso e la civiltà sia sostanzialmente - appunto - solo una favola.
21. Torniamo alla campagna di denigrazione nei confronti della Chiesa cattolica. Non è un caso se il primo Parlamento elettivo dello Stato piemontese, nel 1848, inizia i suoi lavori con una furibonda battaglia parlamentare contro gli Ordini religiosi, e specialmente contro i Gesuiti. La dura persecuzione contro la Chiesa dal Piemonte si estenderà man mano a tutti gli Stati italiani, quando questi cadranno uno dopo l'altro sotto il dominio della dinastia sabauda.
22. I liberali, e naturalmente la Massoneria, identificano gli Ordini religiosi, che sono attivissimi in tutta Italia sia nella missione, sia nell'aiuto ai poveri e soprattutto nell'istruzione e nell'educazione, come i nemici del nuovo Stato. Liberali e massoni vogliono creare una nuova morale e una nuova Religione, vicina al Protestantesimo, a scapito della religione cattolica, professata da tutto il popolo.
23. Per realizzare il compito di eliminare gradualmente il Cattolicesimo dalla testa e dal cuore del popolo italiano, obbiettivo primario della Massoneria, lo Stato piemontese trova aiuta nelle altre potenze internazionali, specialmente nell'Inghilterra protestante.
24. E non è un caso che Garibaldi decise con i suoi Mille di sbarcare a Marsala, che allora era una sorta di feudo britannico. Sì, perchè dobbiamo sapere che fu il governo inglese, decisamente avverso alla Chiesa cattolica, a finanziare con una somma che oggi può essere stimata in molti milioni di dollari, la spedizione garibaldina (cfr. Vittorio Messori, Pensare la storia, pag. 260). E l'Inghilterra aveva come scopo colpire il papato nel suo centro temporale, cioè l'Italia, per dare vita ad uno Stato protestante e laico.
25. E non è un caso che il 20 settembre l870, giorno che vede i bersaglieri entrare da Porta Pia e che segna la fine dello Stato Pontificio preunitario, si vede anche un pastore protestante entrare a Roma con un carro carico di Bibbie protestanti, stampate dalla Società Biblica britannica. Il progetto di "de-cattolicizzare" l'Italia e di "protestantizzarla" muoveva passi molto concreti.
26. Ora, noi non abbiamo il tempo di soffermarci sugli innumerevoli episodi di questa persecuzione. Molti fatti, molti dati, li potete trovare nei testi di Antonio Socci e di Angela Pellicciari che ho citato. Ma qui non possiamo dimenticare alcuni tra i primi provvedimenti presi contro la Chiesa.
27. Dopo l'approvazione, nel l850, delle leggi Siccardi (Siccardi era un ministro) con le quali si aboliva il foro ecclesiastico, veniva diminuito il numero delle feste religiose, si stabiliva l'obbligo agli ecclesiastici di chiedere l'autorizzazione per ricevere eredità e donazioni (questa norma andava a colpire un antichissimo costume dei credenti, grazie al quale la Chiesa aveva avuto i mezzi necessari per svolgere la sua missione senza farsi ricattare dal potere politico), con l'approvazione delle leggi Siccardi - dicevo - legge approvata l'8 aprile l850 e sanzionata dal Re il giorno dopo, si scatena una feroce persecuzione.
28. L'arcivescovo di Torino, monsignor Fransoni, viene arrestato, gli vengono sequestrati tutti i beni, poi viene esiliato e morirà lontano dalla sua città. Anche l'arcivescovo di Cagliari, monsignor Marangiu-Nurra viene arrestato e deportato. Il direttore del giornale cattolico L'Armonia viene arrestato e incarcerato per avere criticato le leggi Siccardi.
29. Dunque, vedete bene che lo Stato liberal-massonico si vantava di combattere per la "liberta", arrestando vescovi, sacerdoti e laici che difendevano la Chiesa. Sarà opportuno ricordare tutte queste cose, specialmente quando gli eredi politici di quei signori ci vengono a dare lezioni di democrazia.
30. Proseguiamo nelle nostre considerazioni. Teniamo ben presente che quando sui libri di testo scolastici si parla di Parlamento piemontese non si deve intendere una assemblea eletta dal popolo, espressione di una sovranità popolare, come avviene nelle democrazie moderne. Tutt'altro. Infatti, quando si vota il 27 aprile del 1848 per eleggere il primo Parlamento, su un totale di 4.904.059 abitanti, il diritto di voto viene dato solo a 83.369 elettori, pari all'1,70% della popolazione.
31. Se poi teniamo presente che vanno a votare solo 53.924 cittadini, cioè poco più della meta degli aventi diritto, capite bene che le misure repressive contro la Chiesa cattolica vengono prese in un Parlamento che è tutto tranne che democratico, è tutto tranne che espressione della volontà popolare.
32. La persecuzione contro la Chiesa viene dunque decisa, non dai popoli oppressi, ma da poche èlites liberal-massoniche. E queste èlites stabiliscono, tra le altre cose, anche la soppressione della Compagnia di Gesù, cioè dei Gesuiti, l'esproprio di tutti i suoi beni (compresi libri, arredi sacri e quadri) e decretano il domicilio coatto dei Padri, per evitare che abbiano contatti (allora si usava dire "per evitare che appestassero") con la popolazione.
33. Contemporaneamente a Roma, il triumvirato capitanato da Mazzini decreta la fine del potere temporale dei papi nell'anno 1849. Il Papa Pio IX, costretto a fuggire a Gaeta, denuncia questa aggressione ricordando come sia impedita al Pontefice ogni comunicazione con il clero, con i vescovi e con i fedeli. Roma si riempie di personaggi strani: apostati, socialisti, eretici, pieni di odio verso la Chiesa. La grande borghesia liberale si impossessa dei beni, dei redditi e delle terre della Chiesa. Gli edifici ecclesiastici sono spogliati dei loro ornamenti e vengono adibiti ad altri usi. I preti e i religiosi vengono aggrediti, imprigionati e uccisi.
34. Tutto questo, si badi bene, in nome della "libertà" dalla tirannia del Papa.
35. L'anno l855 vede un'altra tappa della persecuzione anticattolica. Il Re firma il decreto del Parlamento che sopprime gli Ordini contemplativi e gli Ordini mendicanti, cioè Francescani e Domenicani, con la motivazioni che questi Ordini religiosi sono ormai inutili, i loro membri non lavorano, non producono. Lo Stato risorgimentale può benissimo fare a meno di loro.
36. Sono le stesse motivazioni che abbiamo sentito in questo secolo in molti paesi comunisti, motivazioni accampate per eliminare fisicamente la presenza dei cattolici.
37. Torniamo alla persecuzione. Nel 1861 si possono contare ben 70 vescovi rimossi dalla loro sede o addirittura incarcerati, centinaia di preti in prigione, 12.000 religiosi e suore che vivevano nel Sud appena annesso al Piemonte sbattuti fuori dai conventi. Antonio Socci riferisce anche di 64 sacerdoti e 22 frati fucilati, perlopiù in Meridione. Dopo la presa di Roma, si registrano ben 89 sedi vescovili vacanti in tutta Italia. I vescovi nominati dal Papa non possono prendere possesso delle loro chiese perchè lo Stato unitario lo impedisce.
38. A questo punto, per una lettura cattolica di quanto sopra descritto, mi pare opportuno ricordare la figura di un grande santo che ha vissuto di persona quella persecuzione: don Giovanni Bosco.
39. Nel dicembre del 1854, mentre in Parlamento era in discussione la legge per la soppressione degli Ordini religiosi e l'incameramento dei loro beni, il nostro Don Bosco fa un sogno destinato a scatenare un vero terremoto nella famiglia reale. Un sogno così importante che don Bosco sente la necessità di informare immediatamente il Re.
40. Invia una lettera al Re con la quale lo informa di aver sognato un bambino che gli affidava un messaggio. Il messaggio diceva: "Una grande notizia! Annuncia: gran funerale a corte".
41. Un messaggio inquietante, capite bene, ma evidentemente urgente e grave, secondo il santo torinese.
42. Alcuni giorni dopo, don Bosco invia un'altra lettera, visto l'atteggiamento non certo incoraggiante del Re dopo il primo avvertimento. Un altro sogno e di nuovo quel bambino che diceva: "Annunzia: non gran funerale a corte, ma grandi funerali a corte". E don Bosco invitava espressamente il Re a schivare i castighi di Dio, cosa possibile solo impedendo a qualunque costo l'approvazione di quella legge.
43. Il Re, per la verità mal consigliato, non presta ascolto. E quanto aveva previsto don Bosco comincia inesorabilmente ad avverarsi.
44. Il 5 gennaio l855, mentre il disegno di legge è presentato ad uno dei rami del Parlamento, si diffonde la notizia di una improvvisa malattia che ha colpito Maria Teresa, la madre del Re Vittorio Emanuele IL E sette giorni dopo, a soli 54 anni di età, dunque ancor giovane, la Regina madre muore.
45. I funerali sono previsti per il giorno 16 gennaio. Mentre sta tornando dal funerale, la moglie di Vittorio Emanuele II, Maria Adelaide, che ha partorito da appena otto giorni, subisce un improvviso e gravissimo attacco di metro-gastroenterite.
46. Proprio quel giorno il Re riceve un'altra lettera di don Bosco, una lettera chiara. Ecco ciò che vi era scritto: "Persona illuminata ab alto [cioè dall'alto] ha detto: Apri l'occhio: è già morto uno. Se la legge passa, accadranno gravi disgrazie nella tua famiglia. Questo non è che il preludio dei mali. Erunt mala super mala in domo tua [saranno mali su mali in casa tua]. Se non recedi, aprirai un abisso che non potrai scandagliare".
47. Ora, queste cose possono anche turbare qualcuno. E turbano anche quei cattolici che non sono più capaci di leggere la storia come la leggevano don Bosco e i cattolici dell'Ottocento. E quella lettura della storia dice che Dio è Re e Signore della storia e che l'uomo non può sfidarlo impunemente.
48. Sarebbe opportuno ed estremamente utile riflettere e meditare su questo punto.
49. Quattro giorni dopo quest'ultima lettera, la giovane moglie del Re, la regina Maria Adelaide, a soli 33 anni, muore. Era il 20 gennaio l855.
50 Non è finita. Quella stessa sera del 20 gennaio, il fratello del Re, Ferdinando, duca di Genova, riceve il sacramento dei morenti e muore l'11 febbraio. Aveva anche lui, come la Regina, solo 33 anni.
51. Nonostante questi avvertimenti, nonostante l'avverarsi di tutte le previsioni di don Bosco, il Re non si muove. La legge viene approvata il 2 marzo, con 117 voti a favore contro 36. In maggio la legge passa al Senato per la definitiva approvazione. Ma il giorno 17, a un passo dall'approvazione, si verifica una nuova sconcertante morte nella famiglia reale: muore il piccolo Vittorio Emanuele Leopoldo, il figlio più giovane del Re.
52. Il Re firmò e con quella legge ben 334 case religiose venivano soppresse per un totale di 5456 religiosi (cfr. Renato Cirelli, La Questione romana, Mimep-Docete, p. 31). Era il 29 maggio del 1855. Da Roma arrivo la "scomunica maggiore" (che può essere annullata solo dal Papa) per tutti "gli autori, i fautori, gli esecutori della legge". La scomunica andava a colpire un Re che si diceva cattolico.
53. Pio IX, nonostante le offese, le umiliazioni e le persecuzioni subite personalmente e dalla Chiesa di cui Lui era pastore, nel 1859, su richiesta di Vittorio Emanuele, accorderà il perdono pieno e senza condizioni al Re. Fatto, questo, che ci fa comprendere la grandezza di un Pontefice che la storiografia ha purtroppo denigrato.
54. Sempre intorno a questa legge, Messori ci ricorda, nel suo bel libro "Pensare la storia" un altro fatto straordinario, che riguarda ancora don Bosco.
55. Nel 1855, in piena lotta della Chiesa contro la legge Rattazzi, don Bosco pubblica un opuscolo. Dapprima, il governo liberale piemontese ne decide il sequestro, che poi non viene eseguito per paura di fare pubblicità al prete di Valdocco.
56. In quell'opuscolo don Bosco ammoniva Vittorio Emanuele II, rifacendosi a qualcuno dei suoi sogni e alle sue abituali e straordinarie intuizioni, perchè non firmasse quella legge. Scriveva testualmente don Bosco: "la famiglia di chi ruba a Dio è tribolata e non giunge alla quarta generazione".
57 Un avvertimento grave e inquietante, ma pur sempre una profezia che oggi è facilmente verificabile, solo facendo un po' di conti.
58. Vittorio Emanuele II muore a soli 58 anni, a quanto pare di malaria, cioè di quella febbre presa proprio a Roma dove i suoi bersaglieri erano entrati otto anni prima.
59. Il suo primo successore, Umberto I muore 56enne a Monza, sotto i colpi di pistola dell'anarchico Bresci.
60. II secondo successore, Vittorio Emanuele III, scappa di notte, di nascosto, dal Quirinale, l'8 settembre del 1943 e tre anni dopo sarà costretto ad abdicare.
61. Come non ricordare - a questo punto - l'enorme smacco per quel mondo laicista che aveva soppresso lo Stato Pontificio. Infatti, in quel tragico 8 settembre del 1943, il popolo romano, visto che il governo si era dissolto e dissolto era anche quello Stato che si era costituito con le cannonate di Porta Pia, si stringe di nuovo intorno al Papa Pio XII, ridandogli spontaneamente l'antica autorità. E quando i tedeschi lasciano la città, la popolazione di Roma si riversa in Piazza San Pietro per acclamare Pio Xll con il titolo di "difensore della città".
62. Come non ricordare a chi si esercita nella denigrazione del Papa e della Chiesa che Pio XII era l'unico dei potenti che non aveva abbandonato Roma nel momento del pericolo. tutti gli altri erano scappati.
63. Torniamo alla profezia di don Bosco. Il terzo successore, Umberto II, fu un re "provvisorio", per meno di un mese e, perduto il referendum popolare, deve accettare un esilio senza ritorno.
64. Come si vede facilmente, alla quarta successione, alla "quarta generazione" come scriveva don Bosco, i Savoia non sono giunti.
65. Che lezione possiamo trarre da questi fatti, lezione che risulti utile - come dicevo in apertura di conversazione - alla nostra fede?
66. Propongo una riflessione. Possiamo ricordare che i cattolici alla don Bosco, che tutti i cattolici del secolo scorso, come i cattolici di sempre, leggevano la storia sub specie aeternitatis, cioè con gli occhi rivolti a Dio, con uno sguardo alla vita eterna.
67. Per loro Dio era veramente il Signore della storia, della storia dei singoli e delle nazioni, il Signore dei sudditi ma anche dei Re. Per loro la Chiesa era veramente la Chiesa di Gesù Cristo e attaccare la Chiesa, perseguitarla, umiliarla, opprimerla, era lo stesso che perseguitare Gesù Cristo.
68. E per quanto possa sembrare un po' duro, soprattutto in tempi di buonismo imperante, la storia insegna che offendere Dio non è un gesto che resta impunito, se ovviamente non ci si pente.
69. Allora l'invito che emerge da questa conversazione è duplice. Da un lato: preghiamo per quelli che ancora oggi perseguitano la Chiesa, perché Dio usi loro misericordia; ma rallegriamoci per il dono della fede e per l'appartenenza alla Chiesa cattolica. Ce ne rallegriamo e non ci vergogniamo.
70. Naturalmente, operiamo anche perché queste persecuzioni non si abbiano a ripetere.
71. Questo è tutto. Ci risentiamo, a Dio piacendo, fra quindici giorni.
Bibliografia
Angela Pellicciari, Risorgimento da riscrivere. Liberali e massoni contro la Chiesa, Ares, Milano l998
Antonio Socci, La società dell'allegria. Il partito piemontese contro la Chiesa di don Bosco, Sugarco, Milano l989
Vittorio Messori, Un italiano serio. Il beato Francesco Faà di Bruno, Paoline, CiniseIlo B.mo (MI) 1990
Renato Cirelli, La Questione Romana. Il compimento dell'unificazione che ha diviso l'Italia, Mimep-Docete, Pessano (MI) l997
Il Timone - n. 5 Gennaio/Febbraio 2000
di Gianpaolo Barra
Pubblichiamo il testo della conversazione che Gianpaolo Barra, direttore de "Il Timone", ha tenuto a Radio Maria giovedì 23 novembre 1999, durante la "Serata Sacerdotale", condotta da don Tino Rolfi. Conserviamo lo stile colloquiale e la divisione in paragrafi numerati, utilizzata per i suoi appunti dall' autore.
l. Continuiamo le nostre conversazioni sul tema delle persecuzioni che i cristiani hanno subito nel corso della ormai bimillenaria storia della Chiesa. Il nostro è un tentativo di leggere la storia, di conoscere quanto è accaduto m passato, nel passato lontano e in quello vicino, per trarne insegnamenti utili in primo luogo alla nostra vita di fede e poi per capire il significato dei fatti accaduti.
2. Questo compito è importante, perchè viviamo in tempi caratterizzati dal regno quasi incontrastato della menzogna, dove si offende la Chiesa e si denigra la sua storia, e che vedono i cattolici incapaci di reagire adeguatamente.
3. Anzi, tanto più cresce la calunnia contro la storia della Chiesa, tanto più viene chiesto al Papa, che è il Pastore della Chiesa universale, di scusarsi, di domandare perdono, perchè la Chiesa sarebbe colpevole di tutte, o quasi tutte le malefatte del passato.
4 Questo è il clima che si respira oggi. Noi non ci lasciamo certo impressionare da questa calunniosa campagna propagandistica. Anzi, crediamo che verrà il tempo in cui qualcuno domanderà perdono alla Chiesa e ai cattolici per i torti, le umiliazioni e le persecuzioni che hanno subito nella loro storia.
5. Vedete bene che il nostro è un intento anche un po' polemico - non lo si deve nascondere -, ma la polemica, quando è seria, e parte fondamentale dell'apologetica. E le nostre - lo sanno bene gli amici radioascoltatori - sono conversazioni di carattere apologetico.
6. Questa sera parleremo di una persecuzione avvenuta in casa nostra, nella nostra Italia, persecuzione della quale poco si parla e ancor più poco si conosce. E` la persecuzione scatenata contro la Chiesa cattolica dai governi liberali e massonici che, nel secolo scorso, hanno fatto il Risorgimento.
7. Studiamo il Risorgimento fin dalle scuole elementari. A scuola ci viene insegnato che, nel secolo scorso, i popoli italiani, divisi in tanti Stati, diedero vita ad un processo, sotto la guida del Regno piemontese, per liberarsi dall'occupazione straniera o dai sovrani reazionari e per conquistare l'unità della Penisola. Le famose "Guerre di indipendenza", ci viene detto, furono volute proprio per liberare l'Italia e per unificarla politicamente e geograficamente.
8. Per verificare l'attendibilità di questa storia, ci faremo guidare da un libro documentatissimo della studiosa Angela Pellicciari, intitolato significativamente "Risorgimenlo da riscrivere", edito da Ares e da un altro bel libro del giornalista Antonio Socci, intitolato "La società dell'allegria" edito da Sugarco, dove si parla di don Bosco, personaggio straordinariamente importante per la storia del secolo scorso e del quale parleremo anche nel corso di questa conversazione.
9. Sapete bene che la nostra Italia è l'unico Paese d'Europa che ha conquistato l'unità nazionale attraverso un duro contrasto con la propria Chiesa. Naturalmente, nel caso dell'Italia, si sta parlando della Chiesa cattolica.
10. Perchè lo Stato sabaudo, il Regno sardo-piemontese che si dice costituzionale e liberale, che si è messo alla guida del processo che ha portato all'unità d'Italia, che ha combattuto contro lo straniero per la libertà, ha perseguitato duramente la Chiesa? Perchè, nel secolo scorso, ha voluto colpire il potere temporale del Romano Pontefice?
11. Si può rispondere, seguendo il ragionamento della Pellicciari, che la persecuzione dei cattolici nell'Italia dell'Ottocento ha origini lontane. Parte dalla Roma descritta dall'eretico Martin Lutero, che ha dato inizio nel XVI secolo alla cosiddetta Riforma Protestante.
12. Lutero definiva Roma, la città del Papa, come la "prostituta Babilonia". Da allora, tutta la stampa moderna di impronta protestante, illuminista e liberal-massonica, ripete in modo ossessivo una serie di ritornelli, una serie di leggende contro Roma che a furia di essere raccontate finiscono per convincere i più sprovveduti.
13 Nasce cosi la leggenda della Roma cattolica, della città capitale della superstizione religiosa, della Roma papalina, dello Stato Pontificio dove, nel secolo scorso, regnava la barbarie e il potere del Papa veniva esercitato con la forza, per reprimere quel popolo che voleva liberarsi da un sovrano metà politico e meta religioso.
14. Per unificare l'Italia sotto il Piemonte, bisognava mettere fine allo Stato della Chiesa, allo Stato Pontificio. Ma non era un'impresa facile - ricorda Angela Pellicciari - perchè lo Stato Pontificio esisteva da più di mille anni, era l'unico Stato al mondo nato grazie a donazioni e quindi non costituito con la forza, era il baluardo dei cristiani di tutto il mondo, e soprattutto era lo strumento che consentiva al Papa di essere libero di fronte al potere politico (ricordiamo che tutte le "chiese" protestanti, che hanno abbandonato Roma, anche in nome di una presunta ricerca di libertà, hanno finito miseramente per essere controllate dai poteri politici locali).
15. A partire dal l848, il Parlamento piemontese dà il via ad una formidabile campagna di denigrazione della Chiesa cattolica, getta fango sui religiosi e sullo Stato Pontificio, accusato di essere male amministrato, sanguinario, retrogrado e nemico dell'unità d'Italia.
16. Ora, che lo Stato Pontificio fosse, nel secolo scorso, il più arretrato degli Stati preunitari, insieme al Regno delle due Sicilie, dei Borboni, questo lo abbiamo sentito dire fin da quando frequentavamo le classi elementari.
17. Qui sarebbe opportuno mettere mano ai documenti e studiare bene i dati. E qualche dubbio è più che lecito, visto che i documenti narrano, per fare un solo esempio, che lo Stato Pontificio, tanto denigrato, raggiunse il pareggio di bilancio nel l859.
18. Non abbiamo tempo per approfondire, ma le stesse cose potrebbero dirsi per il Regno delle due Sicilie. Antonio Socci ci ricorda che in quel Regno c'erano in proporzione meno poveri che a Parigi e a Londra. E ancora: erano in vigore le tasse più lievi di tutta l'Europa, la prima flotta italiana, una popolazione cresciuta di un terzo dal 1800 al 1860, un debito pubblico che era un quarto di quello dello Stato piemontese.
19. Continua Antonio Socci: "E` sorprendente verificare che nei primi tre censimenti generali si ha nel Sud una percentuale di addetti nel settore industriale addirittura superiore a quella delle zone più avanzate del Nord (con un 17,4% contro un l4,8% della Lombardia" (p. l59).
20. Tutti dati che ci fanno capire come la favola di un Sud che nel secolo scorso era rozzo e arretrato rispetto al Nord progressista e avanzato, la favola di un Sud borbonico che ha ricevuto dal Nord piemontese liberal-massonico il progresso e la civiltà sia sostanzialmente - appunto - solo una favola.
21. Torniamo alla campagna di denigrazione nei confronti della Chiesa cattolica. Non è un caso se il primo Parlamento elettivo dello Stato piemontese, nel 1848, inizia i suoi lavori con una furibonda battaglia parlamentare contro gli Ordini religiosi, e specialmente contro i Gesuiti. La dura persecuzione contro la Chiesa dal Piemonte si estenderà man mano a tutti gli Stati italiani, quando questi cadranno uno dopo l'altro sotto il dominio della dinastia sabauda.
22. I liberali, e naturalmente la Massoneria, identificano gli Ordini religiosi, che sono attivissimi in tutta Italia sia nella missione, sia nell'aiuto ai poveri e soprattutto nell'istruzione e nell'educazione, come i nemici del nuovo Stato. Liberali e massoni vogliono creare una nuova morale e una nuova Religione, vicina al Protestantesimo, a scapito della religione cattolica, professata da tutto il popolo.
23. Per realizzare il compito di eliminare gradualmente il Cattolicesimo dalla testa e dal cuore del popolo italiano, obbiettivo primario della Massoneria, lo Stato piemontese trova aiuta nelle altre potenze internazionali, specialmente nell'Inghilterra protestante.
24. E non è un caso che Garibaldi decise con i suoi Mille di sbarcare a Marsala, che allora era una sorta di feudo britannico. Sì, perchè dobbiamo sapere che fu il governo inglese, decisamente avverso alla Chiesa cattolica, a finanziare con una somma che oggi può essere stimata in molti milioni di dollari, la spedizione garibaldina (cfr. Vittorio Messori, Pensare la storia, pag. 260). E l'Inghilterra aveva come scopo colpire il papato nel suo centro temporale, cioè l'Italia, per dare vita ad uno Stato protestante e laico.
25. E non è un caso che il 20 settembre l870, giorno che vede i bersaglieri entrare da Porta Pia e che segna la fine dello Stato Pontificio preunitario, si vede anche un pastore protestante entrare a Roma con un carro carico di Bibbie protestanti, stampate dalla Società Biblica britannica. Il progetto di "de-cattolicizzare" l'Italia e di "protestantizzarla" muoveva passi molto concreti.
26. Ora, noi non abbiamo il tempo di soffermarci sugli innumerevoli episodi di questa persecuzione. Molti fatti, molti dati, li potete trovare nei testi di Antonio Socci e di Angela Pellicciari che ho citato. Ma qui non possiamo dimenticare alcuni tra i primi provvedimenti presi contro la Chiesa.
27. Dopo l'approvazione, nel l850, delle leggi Siccardi (Siccardi era un ministro) con le quali si aboliva il foro ecclesiastico, veniva diminuito il numero delle feste religiose, si stabiliva l'obbligo agli ecclesiastici di chiedere l'autorizzazione per ricevere eredità e donazioni (questa norma andava a colpire un antichissimo costume dei credenti, grazie al quale la Chiesa aveva avuto i mezzi necessari per svolgere la sua missione senza farsi ricattare dal potere politico), con l'approvazione delle leggi Siccardi - dicevo - legge approvata l'8 aprile l850 e sanzionata dal Re il giorno dopo, si scatena una feroce persecuzione.
28. L'arcivescovo di Torino, monsignor Fransoni, viene arrestato, gli vengono sequestrati tutti i beni, poi viene esiliato e morirà lontano dalla sua città. Anche l'arcivescovo di Cagliari, monsignor Marangiu-Nurra viene arrestato e deportato. Il direttore del giornale cattolico L'Armonia viene arrestato e incarcerato per avere criticato le leggi Siccardi.
29. Dunque, vedete bene che lo Stato liberal-massonico si vantava di combattere per la "liberta", arrestando vescovi, sacerdoti e laici che difendevano la Chiesa. Sarà opportuno ricordare tutte queste cose, specialmente quando gli eredi politici di quei signori ci vengono a dare lezioni di democrazia.
30. Proseguiamo nelle nostre considerazioni. Teniamo ben presente che quando sui libri di testo scolastici si parla di Parlamento piemontese non si deve intendere una assemblea eletta dal popolo, espressione di una sovranità popolare, come avviene nelle democrazie moderne. Tutt'altro. Infatti, quando si vota il 27 aprile del 1848 per eleggere il primo Parlamento, su un totale di 4.904.059 abitanti, il diritto di voto viene dato solo a 83.369 elettori, pari all'1,70% della popolazione.
31. Se poi teniamo presente che vanno a votare solo 53.924 cittadini, cioè poco più della meta degli aventi diritto, capite bene che le misure repressive contro la Chiesa cattolica vengono prese in un Parlamento che è tutto tranne che democratico, è tutto tranne che espressione della volontà popolare.
32. La persecuzione contro la Chiesa viene dunque decisa, non dai popoli oppressi, ma da poche èlites liberal-massoniche. E queste èlites stabiliscono, tra le altre cose, anche la soppressione della Compagnia di Gesù, cioè dei Gesuiti, l'esproprio di tutti i suoi beni (compresi libri, arredi sacri e quadri) e decretano il domicilio coatto dei Padri, per evitare che abbiano contatti (allora si usava dire "per evitare che appestassero") con la popolazione.
33. Contemporaneamente a Roma, il triumvirato capitanato da Mazzini decreta la fine del potere temporale dei papi nell'anno 1849. Il Papa Pio IX, costretto a fuggire a Gaeta, denuncia questa aggressione ricordando come sia impedita al Pontefice ogni comunicazione con il clero, con i vescovi e con i fedeli. Roma si riempie di personaggi strani: apostati, socialisti, eretici, pieni di odio verso la Chiesa. La grande borghesia liberale si impossessa dei beni, dei redditi e delle terre della Chiesa. Gli edifici ecclesiastici sono spogliati dei loro ornamenti e vengono adibiti ad altri usi. I preti e i religiosi vengono aggrediti, imprigionati e uccisi.
34. Tutto questo, si badi bene, in nome della "libertà" dalla tirannia del Papa.
35. L'anno l855 vede un'altra tappa della persecuzione anticattolica. Il Re firma il decreto del Parlamento che sopprime gli Ordini contemplativi e gli Ordini mendicanti, cioè Francescani e Domenicani, con la motivazioni che questi Ordini religiosi sono ormai inutili, i loro membri non lavorano, non producono. Lo Stato risorgimentale può benissimo fare a meno di loro.
36. Sono le stesse motivazioni che abbiamo sentito in questo secolo in molti paesi comunisti, motivazioni accampate per eliminare fisicamente la presenza dei cattolici.
37. Torniamo alla persecuzione. Nel 1861 si possono contare ben 70 vescovi rimossi dalla loro sede o addirittura incarcerati, centinaia di preti in prigione, 12.000 religiosi e suore che vivevano nel Sud appena annesso al Piemonte sbattuti fuori dai conventi. Antonio Socci riferisce anche di 64 sacerdoti e 22 frati fucilati, perlopiù in Meridione. Dopo la presa di Roma, si registrano ben 89 sedi vescovili vacanti in tutta Italia. I vescovi nominati dal Papa non possono prendere possesso delle loro chiese perchè lo Stato unitario lo impedisce.
38. A questo punto, per una lettura cattolica di quanto sopra descritto, mi pare opportuno ricordare la figura di un grande santo che ha vissuto di persona quella persecuzione: don Giovanni Bosco.
39. Nel dicembre del 1854, mentre in Parlamento era in discussione la legge per la soppressione degli Ordini religiosi e l'incameramento dei loro beni, il nostro Don Bosco fa un sogno destinato a scatenare un vero terremoto nella famiglia reale. Un sogno così importante che don Bosco sente la necessità di informare immediatamente il Re.
40. Invia una lettera al Re con la quale lo informa di aver sognato un bambino che gli affidava un messaggio. Il messaggio diceva: "Una grande notizia! Annuncia: gran funerale a corte".
41. Un messaggio inquietante, capite bene, ma evidentemente urgente e grave, secondo il santo torinese.
42. Alcuni giorni dopo, don Bosco invia un'altra lettera, visto l'atteggiamento non certo incoraggiante del Re dopo il primo avvertimento. Un altro sogno e di nuovo quel bambino che diceva: "Annunzia: non gran funerale a corte, ma grandi funerali a corte". E don Bosco invitava espressamente il Re a schivare i castighi di Dio, cosa possibile solo impedendo a qualunque costo l'approvazione di quella legge.
43. Il Re, per la verità mal consigliato, non presta ascolto. E quanto aveva previsto don Bosco comincia inesorabilmente ad avverarsi.
44. Il 5 gennaio l855, mentre il disegno di legge è presentato ad uno dei rami del Parlamento, si diffonde la notizia di una improvvisa malattia che ha colpito Maria Teresa, la madre del Re Vittorio Emanuele IL E sette giorni dopo, a soli 54 anni di età, dunque ancor giovane, la Regina madre muore.
45. I funerali sono previsti per il giorno 16 gennaio. Mentre sta tornando dal funerale, la moglie di Vittorio Emanuele II, Maria Adelaide, che ha partorito da appena otto giorni, subisce un improvviso e gravissimo attacco di metro-gastroenterite.
46. Proprio quel giorno il Re riceve un'altra lettera di don Bosco, una lettera chiara. Ecco ciò che vi era scritto: "Persona illuminata ab alto [cioè dall'alto] ha detto: Apri l'occhio: è già morto uno. Se la legge passa, accadranno gravi disgrazie nella tua famiglia. Questo non è che il preludio dei mali. Erunt mala super mala in domo tua [saranno mali su mali in casa tua]. Se non recedi, aprirai un abisso che non potrai scandagliare".
47. Ora, queste cose possono anche turbare qualcuno. E turbano anche quei cattolici che non sono più capaci di leggere la storia come la leggevano don Bosco e i cattolici dell'Ottocento. E quella lettura della storia dice che Dio è Re e Signore della storia e che l'uomo non può sfidarlo impunemente.
48. Sarebbe opportuno ed estremamente utile riflettere e meditare su questo punto.
49. Quattro giorni dopo quest'ultima lettera, la giovane moglie del Re, la regina Maria Adelaide, a soli 33 anni, muore. Era il 20 gennaio l855.
50 Non è finita. Quella stessa sera del 20 gennaio, il fratello del Re, Ferdinando, duca di Genova, riceve il sacramento dei morenti e muore l'11 febbraio. Aveva anche lui, come la Regina, solo 33 anni.
51. Nonostante questi avvertimenti, nonostante l'avverarsi di tutte le previsioni di don Bosco, il Re non si muove. La legge viene approvata il 2 marzo, con 117 voti a favore contro 36. In maggio la legge passa al Senato per la definitiva approvazione. Ma il giorno 17, a un passo dall'approvazione, si verifica una nuova sconcertante morte nella famiglia reale: muore il piccolo Vittorio Emanuele Leopoldo, il figlio più giovane del Re.
52. Il Re firmò e con quella legge ben 334 case religiose venivano soppresse per un totale di 5456 religiosi (cfr. Renato Cirelli, La Questione romana, Mimep-Docete, p. 31). Era il 29 maggio del 1855. Da Roma arrivo la "scomunica maggiore" (che può essere annullata solo dal Papa) per tutti "gli autori, i fautori, gli esecutori della legge". La scomunica andava a colpire un Re che si diceva cattolico.
53. Pio IX, nonostante le offese, le umiliazioni e le persecuzioni subite personalmente e dalla Chiesa di cui Lui era pastore, nel 1859, su richiesta di Vittorio Emanuele, accorderà il perdono pieno e senza condizioni al Re. Fatto, questo, che ci fa comprendere la grandezza di un Pontefice che la storiografia ha purtroppo denigrato.
54. Sempre intorno a questa legge, Messori ci ricorda, nel suo bel libro "Pensare la storia" un altro fatto straordinario, che riguarda ancora don Bosco.
55. Nel 1855, in piena lotta della Chiesa contro la legge Rattazzi, don Bosco pubblica un opuscolo. Dapprima, il governo liberale piemontese ne decide il sequestro, che poi non viene eseguito per paura di fare pubblicità al prete di Valdocco.
56. In quell'opuscolo don Bosco ammoniva Vittorio Emanuele II, rifacendosi a qualcuno dei suoi sogni e alle sue abituali e straordinarie intuizioni, perchè non firmasse quella legge. Scriveva testualmente don Bosco: "la famiglia di chi ruba a Dio è tribolata e non giunge alla quarta generazione".
57 Un avvertimento grave e inquietante, ma pur sempre una profezia che oggi è facilmente verificabile, solo facendo un po' di conti.
58. Vittorio Emanuele II muore a soli 58 anni, a quanto pare di malaria, cioè di quella febbre presa proprio a Roma dove i suoi bersaglieri erano entrati otto anni prima.
59. Il suo primo successore, Umberto I muore 56enne a Monza, sotto i colpi di pistola dell'anarchico Bresci.
60. II secondo successore, Vittorio Emanuele III, scappa di notte, di nascosto, dal Quirinale, l'8 settembre del 1943 e tre anni dopo sarà costretto ad abdicare.
61. Come non ricordare - a questo punto - l'enorme smacco per quel mondo laicista che aveva soppresso lo Stato Pontificio. Infatti, in quel tragico 8 settembre del 1943, il popolo romano, visto che il governo si era dissolto e dissolto era anche quello Stato che si era costituito con le cannonate di Porta Pia, si stringe di nuovo intorno al Papa Pio XII, ridandogli spontaneamente l'antica autorità. E quando i tedeschi lasciano la città, la popolazione di Roma si riversa in Piazza San Pietro per acclamare Pio Xll con il titolo di "difensore della città".
62. Come non ricordare a chi si esercita nella denigrazione del Papa e della Chiesa che Pio XII era l'unico dei potenti che non aveva abbandonato Roma nel momento del pericolo. tutti gli altri erano scappati.
63. Torniamo alla profezia di don Bosco. Il terzo successore, Umberto II, fu un re "provvisorio", per meno di un mese e, perduto il referendum popolare, deve accettare un esilio senza ritorno.
64. Come si vede facilmente, alla quarta successione, alla "quarta generazione" come scriveva don Bosco, i Savoia non sono giunti.
65. Che lezione possiamo trarre da questi fatti, lezione che risulti utile - come dicevo in apertura di conversazione - alla nostra fede?
66. Propongo una riflessione. Possiamo ricordare che i cattolici alla don Bosco, che tutti i cattolici del secolo scorso, come i cattolici di sempre, leggevano la storia sub specie aeternitatis, cioè con gli occhi rivolti a Dio, con uno sguardo alla vita eterna.
67. Per loro Dio era veramente il Signore della storia, della storia dei singoli e delle nazioni, il Signore dei sudditi ma anche dei Re. Per loro la Chiesa era veramente la Chiesa di Gesù Cristo e attaccare la Chiesa, perseguitarla, umiliarla, opprimerla, era lo stesso che perseguitare Gesù Cristo.
68. E per quanto possa sembrare un po' duro, soprattutto in tempi di buonismo imperante, la storia insegna che offendere Dio non è un gesto che resta impunito, se ovviamente non ci si pente.
69. Allora l'invito che emerge da questa conversazione è duplice. Da un lato: preghiamo per quelli che ancora oggi perseguitano la Chiesa, perché Dio usi loro misericordia; ma rallegriamoci per il dono della fede e per l'appartenenza alla Chiesa cattolica. Ce ne rallegriamo e non ci vergogniamo.
70. Naturalmente, operiamo anche perché queste persecuzioni non si abbiano a ripetere.
71. Questo è tutto. Ci risentiamo, a Dio piacendo, fra quindici giorni.
Bibliografia
Angela Pellicciari, Risorgimento da riscrivere. Liberali e massoni contro la Chiesa, Ares, Milano l998
Antonio Socci, La società dell'allegria. Il partito piemontese contro la Chiesa di don Bosco, Sugarco, Milano l989
Vittorio Messori, Un italiano serio. Il beato Francesco Faà di Bruno, Paoline, CiniseIlo B.mo (MI) 1990
Renato Cirelli, La Questione Romana. Il compimento dell'unificazione che ha diviso l'Italia, Mimep-Docete, Pessano (MI) l997
Il Timone - n. 5 Gennaio/Febbraio 2000
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