di Antonio Rossiello
Le origini del Fascismo albergano nel socialismo massimalista, indi con molti elementi in comune con il marxismo e con il socialismo comunista, depurati da elementi antipopolari ed antisociali che, erroneamente e deviazionisticamente, furono instaurati nella storia seguente dall’applicazione teorico-dottrinaria di punti avulsi dalla realtà umana, con tutte le nefandezze che ne sono seguite. Il Fascismo movimento fu antagonista alla società borghese capitalista sia privatistica che di stato, vedendo come Antonio Gramsci dell’ ‘’Ordine Nuovo’’, socialcomunista di origini liberali di sinistra, nella società capitalistica americana in consolidamento e nel capitalismo di stato sovietico stalinista in fieri, i suoi due più grandi nemici sociali e culturali. Queste premesse furono cancellate dal tradimento dei valori insiti nel Programma di Sansepolcro, mediante il quale molti camerati originari si allontanarono, delusi, dalla politica, mentre la vanità e l’aspirazione al potere in sé e per sé di tronfi e complici soggetti del nuovo governo in divenire si instaurava con una rivoluzione culturale-sociale copernicana di 180 gradi, ormai lontana dagli albori dei Fasci di combattimento e pronta a raggiungere il potere trasformandosi nel Fascismo regime. Diverse potentati lobbystici contribuirono all’approdo ed al rafforzamento del nuovo governo al potere: la massoneria, la Monarchia, la borghesia, la finanza, i militari, la chiesa, che volevano cambiare tutto per non mutare niente nei sistemi di poteri. Il Fascismo comunque fu una Terza via, definizione che si riferisce a un'alternativa alle due classiche teorie economiche del capitalismo e comunismo, elaborata agli inizi del XX secolo come sistema economico a sé stante e diverso da entrambi. In precedenza le alternative alle due maggiori teorie erano rappresentate dalla mescolanza di alcuni punti di ciascuna di esse, sotto il nome di Repubblicanesimo mazziniano e Radicalismo risorgimentale, prima, e Socialdemocrazia, più avanti, le cui espressioni politiche più alte furono individuabili nel Socialismo Riformista, nella Rivoluzione liberale di Piero Gobetti, in Giustizia e Libertà dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, ebrei, nel socialismo anarchico e libertario di Francesco Saverio Merlino e di Camillo Berneri, poi del radicale Ernesto Rossi e del partito azionista. Ironia della sorte nella Storia, la lotta politica interna fra queste espressioni politiche fu aspra e fratricida, più basata su differenze ideologico-teoriche che sostanziali dal punto di vista sociale e dottrinario. Le accuse reciproche, spesso strumentali, di attività cospirative ebraico-protestante-massoniche, di rafforzamento di una elite borghese repubblicana ed antimonarchica posero freno ad un’attività unitaria o cooperativa concreta per il cambiamento della società, fino a eccedere in uno stravolgimento totale delle origini, da cui ci si allontanò fino ad avere il fenomeno perverso dell’odierna partitocrazia. Espressione della socializzazione dell’economia nel Fascismo fu il federale Giuseppe Solaro.
Nato da una modesta famiglia, il padre era operaio alle ferrovie ed aveva altri due figli, Giuseppe Solaro (Torino, 1914 – Torino, 29 aprile 1945), aveva aderito entusiasticamente al Gruppo Universitario Fascista (G.U.F.) di Torino, riuscendo con sacrificio e ferrea volontà a conseguire la laurea.
Combattè volontario nella Guerra di Spagna. Dal 1940 partecipò con onore alla Seconda Guerra Mondiale come Ufficiale di complemento in artiglieria.
Dopo l'armistizio di Cassibile, da socialista nazionale, ebbe contatti con Gino
Barbero, responsabile del Partito Socialista clandestino aderì alla Repubblica Sociale Italiana per difendere l’onore d’Italia, segretario provinciale del Partito fascista repubblicano a Torino dal 1943 al 1945. Dopo l'8 settembre fu tra i primissimi ricostruttori dei Fascismo torinese e fu Segretario Federale fino al sopraggiungere del crollo. Sapeva trasfondere la fede purissima che lo animava in quegli italiani che avevano voluto raccogliersi attorno al vessillo della rinascita e con mano ferma guidava il Fascismo torinese nel travagliatissimo periodo che straziava la Patria. Vasto e profondo fu il contributo di cultura e di opere che dedicava alla vita della Repubblica Sociale Italiana. Già collaboratore dell'organo del GUF, trattava nell'organo Federale ‘’La Riscossa’’ che su ‘’La Stampa’’ i principali problemi di quei momenti difficilissimi, e quello della socializzazione, di cui era uno studioso competente e un convinto e fervente assertore. Istituì, dopo la emanazione delle leggi relative, dei corsi di preparazione operaia sull'economia socializzata e pubblicò opuscoli illustrati accessibili al lavoratori. Un suo studio fu anche presentato al Duce e fu particolarmente apprezzato. In questo periodo seguì con particolare attenzione l'attuazione dei decreti sulla socializzazione dei mezzi di produzione promuovendo diverse iniziative tra i lavoratori (conferenze, stampa di opuscoli, ecc.) al fine di rendere noti i contenuti della nuova legislazione sociale di cui è convinto assertore. Denunciò a Mussolini, insieme al prefetto Zerbino, gli intrallazzi della Fiat e dei tedeschi che, insieme ai comunisti, boicottarono ogni iniziativa sociale.
Il modo in cui il Partito Nazionale Fascista governò l’Italia nel ventennio non coincise con gli ideali proposti nel congresso di San Sepolcro del futuro Fascismo movimento, ma questo fu addebitato al freno esoterico posto da quei poteri (Monarchia, finanza, massoneria, chiesa, militari, borghesia) verso cui il Fascismo delle origini per instaurarsi al potere e poi trasformarsi e divenire regime aveva un concreto debito di riconoscenza per averlo inizialmente favorito come scudo contro il bolscevismo, e dai quali non poteva esulare data l’influenza che essi avevano nel sistema sociale italiano, come poi si rivelò prima con l’omicidio affaristico-massonico dell’agrario social riformista e democratico Giacomo Matteotti e poi con i fatti cospirativi monarchico-massonici della seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943. Solo nella fase crepuscolare della Repubblica Sociale Italiana, una volta fuori gioco molti di qui poteri ostracisti, si potè proporre argomentazioni più ardite. I cardini su cui si rifondò la politica fascista riprendendo le posizioni del sansepolcrismo furono originati dal sincretismo tra teorici marxisti comunisti quali Nicola Bombacci, economisti eretici quali Giuseppe Spinelli e Giuseppe Solaro, politici quali Angelo Tarchi e il teorico sociale-nazionale Stanis Ruinas, e un poeta, l’americano italianizzato Ezra Pound. Essi furono: Socializzazione, Corporativismo, Fiscalità monetaria del poeta Ezra Pound.
Al momento del crollo militare seguì personalmente le trattative con il C.N.L. non per la resa, ma per il passaggio dei poteri civili, poi si consegnò ad un colonnello dei Carabinieri. Amico del camerata torinese Arturo Pontecorvo.
Viveva per la Causa e tutto se stesso aveva votato alla Causa; in un modesto ambiente, nell’ammezzato della Federazione, erano con lui la moglie e due tenere bambine. Il fervore, la fede degli Italiani che credevano nella rinascita a nulla valsero e venne il giorno del crollo, al quale Solaro non sapeva rassegnarsi. Per evitare un bagno di sangue, ordinò ai volontari fascisti di seguire i ventimila soldati che lasciavano Torino. Lui restò in città. Egli voleva realizzare lo scopo di tutelare le famiglie, gli averi e la vita dei fascisti e per questo si assunse la responsabilità di intavolare trattative col CLN, con la mediazione di Don Garneri, parroco dei Duomo, onde, evitare spargimento di sangue. Avvennero alcuni incontri in Prefettura per concordare il trapasso delle consegne. Egli, con grande altruismo, pose subito come condizione che si escludesse qualsiasi riferimento alla sua sorte personale. Dal 25 al 27 aprile Torino, il gruppo Leonessa, insieme con altri reparti della RSI riuscì ad impedire che si realizzasse la completa occupazione della città da parte del movimento partigiano, con duri combattimenti in molte zone centrali di Torino. L’estrema resistenza e l’estremo sacrificio furono compiuti dall’insurrezione fascista delle Brigate Nere di Torino agli ordini di Solaro.
Il 27, in seguito ad un ordine del comando fascista, le truppe lasciarono ordinatamente il capoluogo piemontese: si trattava ancora di migliaia di uomini perfettamente armati, che, attraverso Piazza Castello, si incamminarono in direzione di Milano, unendosi, lungo il tragitto, con altre unità provenienti da altre zone operative del Piemonte occidentale. A Torino era rimasto il federale fascista, Giuseppe Solaro, che aveva organizzato gruppi di franchi tiratori che impegnarono i partigiani fino al 30 aprile. Avendo saputo che nella zona di Ivrea era stata costituita una "zona franca" per i militari della Rsi, organizzata dalle truppe americane, tutte le forze uscite da Torino e le altre che si erano aggiunte, si concentrarono a Strambino Romano, dove, il 5 maggio, le truppe fasciste e le unità tedesche si arresero agli alleati i quali concessero l’onore delle armi. Il giorno prima, i fascisti, avvicinati da alcuni partigiani di Giustizia e Libertà, si erano rifiutati di arrendersi ad altri che non fossero soldati regolari e pertanto attesero, appunto, l’arrivo degli americani. Un ultimo convegno avrebbe dovuto avvenire in Prefettura il giorno di venerdì 27 aprile per la ratifica degli accordi intervenuti: ma nessuno dei CLN si fece più vivo. Telefonò soltanto Don Garneri dicendo che all'ultimo momento gli elementi dei CLN non vollero saperne di trattative coi fascisti e tutto fu annullato. Un episodio che fa onore tanto alla memoria di Solaro quanto all'ora Alto Commissario per il Piemonte, Grazioli. I tedeschi avevano, a loro volta, intavolato trattative col CLN, tendenti ad ottenere il ripiegamento indisturbato dei loro reparti dalla frontiera alpina, e, per ottenere lo scopo, avevano concentrato al Vallino, scalo commerciale della stazione di Porta Nuova, alcuni vagoni carichi di esplosivi con la minaccia di farli saltare qualora i patti non fossero stati conclusi ed osservati. Venuto ciò a conoscenza di Solaro e Grazioli, entrambi intervennero con energia ed ottennero che i vagoni venissero allontanati, e così fu sventata la minaccia di distruzioni gravissime nel centro della città. Naufragata ogni speranza di un pacifico trapasso di poteri, fu stabilito il ripiegamento delle forze fasciste, che vennero concentrate nella Caserma Bergia della GNR, in Piazza Carlina; la colonna partì nella notte verso la Lombardia. Ma i mezzi di trasporto erano scarsi, e vi erano dei familiari, donne e bambini, e dei feriti da porre in salvo, per cui non vi era posto per tutti. Coloro che partirono si salvarono, poiché furono concentrati poi a Coltano (PI) e, dopo i soliti processi e le non meno solite condanne, poterono, col tempo, fruire delle amnistie; e così sarebbe stato anche per Solaro. Ma egli preferì cedere il suo posto nella colonna ad altri e restò, con alcuni dei più fedeli, in città, passando la notte negli uffici dei Consorzio dei latte, di cui era Commissario uno dei Vice Federali, Astengo. Questi, il mattino successivo, fidando sulla bontà di elementi dello stesso Consorzio (il cui stabilimento era in corso Stupinigi ora Corso Unione Sovietica, e gli uffici in Via Ospedale, ora Via Giolitti, angolo Via Carlo Alberto, dov'erano Solaro e compagni), propose di consegnarsi ai membri dei CLN dello stesso Consorzio. Questi vennero, ma presero con sé il solo Astengo, dicendo che sarebbe tornato il camioncino a prendere gli altri. Dopo parecchio tempo venne un camion, ma era condotto da partigiani installatisi nella Caserma Bergia, dove Solaro e altri tre camerati vennero riportati. Si consegnò spontaneamente ad un colonnello dei carabinieri di cui si riteneva amico, ma questi non poté o non volle salvarlo. Solaro non fu più rivisto dai suoi tre compagni di sventura, i quali, nella stessa giornata del 28 aprile, vennero trasferiti alla Questura centrale. Rimasero colà tutta la notte del 28, assistendo a scene selvagge di percosse e maltrattamenti inflitti a fascisti ed ausiliarie, mentre vennero risparmiati i quattro, che risultavano ancora sconosciuti ai loro carcerieri. Erano già in servizio carabinieri ancora in borghese, i quali fecero quanto potevano per frenare gli istinti belluini dei partigiani col fazzoletto rosso, assetati di sangue. Solaro si presentò poi alla Caserma Cernaia, che era stata sede della Brigata Nera 'Ather Capelli', della quale Solaro, come Federale, era stato comandante, e che è situata a pochi metri da Corso Vinzaglio; qui vennero scattate fotografie, fra cui quella che pubblichiamo. Il contegno di Solaro fu improntato a grande e serena fierezza, nessun segno di debolezza, ma la cosciente, intima forza derivante dalla certezza di immolarsi per una Causa in cui aveva fermamente creduto e che un giorno avrebbe finito col trionfare.
Giuseppe Solaro poco prima di essere impiccato
L'indomani, domenica 29, nelle prime ore del pomeriggio si aprì lo sportellino della cella dov'erano rinchiusi i tre camerati e si affacciò una bieca figura di partigiano comunista, il quale disse con compiacimento: 'Il vostro Solaro è stato impiccato poco fa e la stessa sorte subirete anche voi tra breve'. Il che, fortunatamente non si verificò. Risultò poi che Solaro, al quale era stato concesso di parlare con Don Garneri, dal quale sperava per lo meno un benevolo intervento, venne portato dinnanzi ad una specie di tribunale partigiano, presieduto da Oscar Luigi Scalfaro, del quale facevano parte, tra altri, i comunisti Osvaldo Negarville, fratello di Celeste (che fu, oltre che parlamentare, anche Sindaco di Torino), Barbato (Pompeo Colaianni) e un comandante Maian, non meglio identificato, che lo sottopose ad un sommario processo iniquo al termine del quale fu condannato all’impiccagione due giorni dopo. A Solaro venne attribuita, fra le tante altre, anche la responsabilità dell'impiccagione di quattro partigiani in Corso Vinzaglio, come rappresaglia per l'uccisione di Camicie Nere della Divisione Leonessa. Responsabilità da cui Solaro era completamente immune, poiché la rappresaglia era stata unicamente opera dei tedeschi. Conseguenza fu che Solaro venne condannato a subire, a sua volta, l'impiccagione nello stesso sito di Corso Vinzaglio. La radio, alle ore 13, aveva dato notizia della condanna, aggiungendo che alle 14 avrebbe avuto luogo l'esecuzione insieme a quella di altri tre fascisti; ma all'ultimo momento il supplizio venne riservato al solo Solaro. Alcuni giorni dopo fu prelevato in Questura, fu caricato su di un camion alla Caserma Bergia, e con lui fu fatto salire anche Don Garneri per l'assistenza spirituale; il tragitto fino al luogo dell’esecuzione avvenne fra sputi e contumelie. Prima dell'esecuzione fu portato in processione per le vie cittadine ed umiliato dai partigiani presenti. Il federale di Torino ebbe un sorriso, un’espressione di scherno e di disprezzo verso i propri carnefici, sapendo essere fedele al giuramento combattendo e morire. Poi fu impiccato, in un primo tempo la macabra e orrenda scena dell'impiccagione fallì, poiché il ramo cui era stato appeso il martire si ruppe ed egli rimase in vita, ormai in stato di semi-incoscienza. In altri tempi pare che gli scampati ad un'esecuzione capitale venissero graziati; ma questo non fu il caso di Solaro, i cui carnefici si affrettarono a ripetere l'operazione con un ramo più robusto, e questa volta, per loro, la cosa andò bene. Questo orrendo spettacolo avvenne in Corso Vinzaglio, nello stesso luogo dove alcuni mesi prima erano stati impiccati alcuni partigiani. La scena obbrobriosa che ricorda, per la sua bestiale efferatezza, Piazzale Loreto, avvenne in seguito. Dopo questa tragica fine, venne nuovamente portato in processione per le vie. Le spoglie, sempre col cappio al collo, vennero legate ad uno dei traversini che sorreggono la copertura dei camion, e in bocca al 'giustiziato' fu introdotto un mozzicone di sigaretta. Il macabro veicolo percorse le vie principali, con fermate al crocicchi per fare ammirare alla folla il triste spettacolo. Si disse poi, che in quel momento e in quel clima rovente, verosimilmente, che, giunto il camion sulle rive del Po, il cadavere sia stato gettato fra le onde e fatto bersaglio ai tiri di coloro che erano sulla sponda del fiume. Infine fu ripescato e gettato sul parapetto, donde, in una rudimentale cassa, fu fatto proseguire per l’obitorio. Un popolo, ricco di millenaria civiltà, abbia potuto esprimere dal suo seno certa gente, che di umano aveva solo le sembianze, è inspiegabile. Alla sua vicenda è dedicato il saggio Come ha saputo morire Solaro, (Edizioni 'La Legione', Milano, 1997), che ne celebra l'onestà personale ed il coraggio di fronte alla morte. Questa la lettera di Solaro alla moglie prima di essere ucciso: "Cara Tina, prima di morire ti esprimo tutto il mio amore e la mia devozione. Sono stato onesto tutta la vita e onesto muoio per un’idea. Che essa aiuti l’Italia sulla via della Redenzione e della costruzione. Ricordami e amami, come io ho sempre amato l’Italia. Cara Tina, viva l’Italia libera, viva il Duce ! Tuo Peppino". Inoltre la sua vicenda è menzionata nel libro "Il sangue dei vinti" di Giampaolo Pansa. Contro questa testimonianza e ricostruzione si pone altresì in maniera assai decisa il ricordo di Giorgio Amendola, dirigente del P.C.I. e comandante partigiano ( nel suo libro di memorie "Lettere a Milano", Editori Riuniti, Roma, 1973, pp. 572-573). Tutta l'esperienza di Giuseppe Solaro, fino all'estremo sacrificio, affrontato con una serenità e una fierezza che hanno del sovrannaturale, è un fulgido esempio di fede, di passione italiana.
17/11/2012
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