Volevamo attendere l’uscita della rivista che – per causa indipendenti dalla nostra volontà – è slittata di qualche giorno rispetto alla data prevista. Poiché il libro è stato reso disponibile esattamente una settimana fa, abbiamo deciso di pubblicare qui la recensione.
RECENSIONE di MICHAEL
È il 1929 quando la Franz Eher Verlag pubblica Michael – Diario di un destino tedesco (titolo originale: Michael – Ein deutsches Schicksal in Tagebuchblättern), il romanzo scritto da Joseph Goebbels. In quell’anno, il futuro ministro del Reich è già responsabile della propaganda del Partito, è deputato al Reichstag (dove è stato eletto nel 1928), è Gauleiter della “rossa” Berlino (carica che detiene dal 1926) ed è considerato uno dei più brillanti ed efficaci oratori dello NSDAP.
Unico romanzo di Goebbels – all’interno di una ricca produzione letteraria, fatta di diari, discorsi politici, articoli di giornale e persino una pièce teatrale come Der Wanderer (Il viaggiatore) – Michael ha avuto una genesi alquanto lunga, che abbraccia un lasso di tempo di una decina di anni. Prima di giungere alla versione definitiva del 1929, infatti, il romanzo ha conosciuto due altre stesure, rimaste però solo sotto forma di manoscritto: Michael Voormanns Jugendjahre (“Gli anni della gioventù di Michael Voormann”), scritto nel 1919, quando il futuro ministro della Propaganda è ancora uno studente universitario, e Michael Voormann. Ein Menschenschicksal in Tagebuchblättern (“Michael Voormann. Il diario del destino di un uomo”), del 1923, l’anno successivo alla laurea, conseguita ad Heidelberg.
Michael narra la storia di un giovane soldato tedesco che torna in patria alla fine del Primo conflitto mondiale, e si ritrova a fare i conti con la Germania sconfitta e umiliata di Weimar. Inizialmente s’iscrive all’università, dove incontra l’amore per la studentessa Hertha Holk, e dove comincia a sviluppare il suo pensiero, che si alterna tra lo strazio di vedere la devastazione fisica e morale della sua terra e il travolgente desiderio di aiutare il Paese e il popolo a risollevarsi. Un desiderio che è permeato di ideali socialisti e che lo spingerà ad abbandonare gli studi per trasformarsi in lavoratore. Michael decide quindi di andare in miniera, per dedicare tutto se stesso al sogno di risvegliare il popolo, poiché soltato un lavoratore può parlare in maniera credibile ad altri lavoratori. Qui il suo destino si compirà. Inesorabilmente. Non prima però di avere incontrato – a Monaco, durante un comizio – l’uomo destinato a cambiargli la vita e che vedrà come faro e guida della nuova Germania e dell’Uomo nuovo: Adolf Hitler.
Pieno di fervore e d’idealismo, ma anche costellato di momenti di travolgente romanticismo, questo romanzo è inusuale rispetto al Goebbels dei diari e dei discorsi politici. E forse qualcuno rimarrà stupito, iniziando la lettura di Michael, sentendosi avvolto dal pathos e dagli slanci romantici del protagonista. Un clima che rimanda agli studi universitari di Goebbels, che nel 1922 si laureò con una tesi su Wilhelm von Schütz (Wilhelm, von Schütz. En Beitrag zur Geschichte des Dramas der Romantischen Schule, università di Heidelberg, 1922, ndr), un drammaturgo del Romanticismo tedesco. Ma poi, addentrandosi nella lettura – e leggendo di questo giovane idealista disposto a morire per il proprio Paese, della sua lotta per risvegliare il popolo e vederlo felice e unito; questo giovane studente romantico pieno di ardente passione, convinto dell’importanza di diventare prima soldato e poi lavoratore per servire una causa più grande – ecco apparire la reale natura di Michael: davanti a noi si staglia sempre più preciso e netto un romanzo politico. Che si dipana seguendo una sorta di percorso iniziatico, che porta il protagonista da soldato a studente, da studente a lavoratore. Come l’autore scrive efficacemente: «Sono i soldati, gli studenti e i lavoratori che costruiranno il nuovo Reich. Io sono stato soldato, ora sono uno studente e voglio diventare lavoratore. È necessario che attraversi tutti e tre questi stadi per mostrare la via da seguire. Mi è stato negato il diritto alla parola, ora per me è venuto il momento di agire. Ognuno al proprio posto».
L’apogeo di questa scelta è raggiunto con la decisione di diventare minatore. Una discesa agli inferi che, se da un lato ricorda il viaggio di Dante nella Divina Commedia – dall’Inferno su su verso il Paradiso –, dall’altro rammenta la discesa del Cristo dai cieli sulla terra per redimere l’umanità. Ecco allora Michael che scende nelle viscere della terra – umile tra i più umili, diseredato tra i diseredati – e si fa “apostolo” tra quegli umili e diseredati per mostrar loro la Germania del futuro. Con l’obiettivo di risalire poi con tutti loro verso la luce, lasciando quella tenebra. Che non è solo materiale ma è anche spirituale. Senza esitare neppure davanti all’estremo atto eroico: arrivare – come una sorta di Cristo socialista – al totale sacrificio di sé per il risveglio del popolo, anche a costo della vita. Un «percorso iniziato» al termine del quale sta la costruzione del nuovo Tedesco, dell’Uomo nuovo: «La Guerra mi ha svegliato da un sonno profondo. Mi ha riportato alla coscienza. Lo Spirito mi tormentava e mi spingeva verso la catastrofe, mi ha mostrato le vette e gli abissi. Il Lavoro mi ha liberato. Mi ha reso orgoglioso e libero. E ora, a partire da questi tre elementi, mi sono dato una nuova forma. Un nuovo uomo. L’Uomo tedesco, consapevole, fiero e libero, al quale appartiene il domani! (…) Un giovane Tedesco! Un combattente che attende pazientemente la propria ora! Tutti noi Tedeschi dobbiamo fonderci insieme! Attorno agli ultimi valori che ci restano! Se riusciremo a proporre agli altri popoli il prototipo di un nuovo Tedesco cui potersi ispirare, allora avremo dato forma al prossimo millennio».
Romanzo politico, dunque, ma anche romanzo in gran parte autobiografico, in cui ritroviamo non solo alcuni capisaldi ideologici di Joseph Goebbels, ma anche avvenimenti e protagonisti della sua vita. C’è il suo primo grande amore: Anka Stalherm, la studentessa appartenente a una famiglia alto-borghese della Renania che il futuro ministro conobbe sui banchi dell’università di Friburgo e che nel romanzo diventa la bella Hertha Holk di cui s’innamora Michael-Goebbels. E c’è Richard Flisges, il grande amico di Goebbels fin dai tempi dell’adoloscenza, colui che – diventato anarchico al ritorno dal fronte – lo avvicinò ai testi di Marx e di Engels, e allo spirito antiborghese. Flisges diventa nel romanzo lo studente russo Ivan Wienurovskij, prima amico e poi antagonista di Michael, che avrà con lui vari incontri-scontri parlando di Russia e socialismo. E Flisges rappresenta anche una parte dello stesso Michael, quella parte in cui non c’è corrispondenza autobiografica tra Goebbels e il protagonista del suo romanzo. Michael, infatti, è stato al fronte ed è stato ferito, come Flisges ma non come Goebbels. E Michael diventerà minatore e per un incidente in miniera perderà la vita, come accadde a Flisges. Che il 19 luglio del 1923 morì nella miniera bavarese di Schliersee. Tant’è che Goebbels scelse di dedicare il romanzo proprio al suo grande amico: «Questo libro è dedicato alla memoria del mio amico Richard Flisges, che il 19 luglio 1923, in una miniera vicino a Schliersee, andò incontro alla dura morte da valoroso soldato».
In Michael ritroviamo il rapporto di Goebbels con la religione, con quel Cristo che per lui non è l’uomo della croce e dei deserti ma è il combattente che scaccia i mercanti dal tempio; e per il quale nel romanzo scrive il dramma in cinque atti Gesù Cristo – Fantasia poetica (richiamando il Judas Iscariot, la tragedia in cinque atti d’ispirazione religiosa sulla Giuda Iscariota che Goebbels scrisse, durante il periodo universitario, nel 1918).
E c’è il socialismo. Un socialismo ferocemente antiborghese, antiebraico e antimarxista, che si scaglia contro le tre “forze” che hanno portato la Germania alla rovina di Weimar. A quello strazio in cui la gioventù non ha un futuro e il Paese è stato consegnato ai vincitori. («Borghese: è un terribile insulto. Ciò che sta cadendo, deve essere demolito. Siamo tutti soldati della rivoluzione del lavoro. Vogliamo la vittoria del lavoratore sul denaro»…. «Il denaro governa il mondo! Un’espressione terribile che si è concretizzata. Oggi stiamo andando in rovina proprio perché è diventata realtà. Il denaro – l’Ebreo: la cosa e la persona che formano un tutt’uno»… «Distribuisci i tuoi beni ai poveri: Cristo. La proprietà è furto, a mano che non si tratti della mia: Marx»). Un socialismo in cui c’è però anche tanto amore per la patria, per l’adorata Germania. E per quei lavoratori, per quel popolo tedesco, cui Michael sceglie di votarsi e sacrificarsi.
E, ovviamente, c’è Adolf Hitler, che nel libro non è mai citato per nome, ma permea di sé tutta la terza ed ultima parte del volume. L’incontro romanzesco rimanda a quello reale, avvenuto nel giugno del 1922, quando Joseph Goebbels, immerso tra il pubblico al circo Krone di Monaco, vide parlare per la prima volta Hitler. Per Michael-Goebbels, il Führer è «il profeta», colui che porterà alla salvezza la Germania. E che farà risvegliare il popolo, ridandogli forza e coesione, facendolo diventare una vera comunità popolare. È una vera folgorazione. Indimenticabile, la descrizione dell’incontro Michael-Hitler, che si chiude con queste parole: «Resto lì a lungo, gli occhi fissi sul volto di quell’uomo unico. Non è un oratore. È un profeta! Il sudore gli scorre a rivoli sulla fronte. Sul suo pallido volto, ardono due occhi che lanciano saette. I suoi pugni si chiudono. Come nel giudizio universale, ogni parola, ogni frase risuona come fosse un fragoroso tuono. Non so più ciò che faccio. È come se fossi impazzito. Grido “Hurrà!”! Nessuno se ne stupisce. Dal palco, l’uomo mi guarda per un istante. I suoi occhi blu come stelle mi colpiscono come una fiamma. Ecco l’ordine! In quel preciso momento, rinasco».
Fin dalla sua prima pubblicazione, Michael fu un libro controverso. Talvolta forse eccessivamente lodato, fu più spesso criticato eccessivamente, subendo attacchi feroci dalla stampa che sosteneva la coalizione di Weimar. «Alla prima lettura viene da ridere, alla seconda fa vomitare», scrisse per esempio il critico ebreo Heinz Pol sulla Weltbühne del 27 gennaio 1931. Ma la sua lettura resta oggi fondamentale per cogliere appieno quell’atmosfera del primo dopoguerra tedesco in cui nacque e si sviluppò il nazionalsocialismo, e per afferrare il pensiero, i sentimenti e le capacità di coinvolgimento delle masse di quegli uomini che furono i fautori e gli artefici di quel movimento – profondamente socialista e nazionalista – che ha portato alla nascita del Terzo Reich.
Dopo la prima uscita, Michael venne rieditato ripetutamente fino al 1942 e fu proposto anche per il Premio Kleist, il più prestigioso premio letterario della Repubblica di Weimar. La consacrazione definitiva giunse allorché, nel 1937, venne realizzato un compendio del romanzo, intitolato Michaels Weg zum Volk (“La via di Michael verso il popolo”), che fu introdotto come libro di testo nelle scuole secondarie tedesche.
Monica Mainardi
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